Barghouti :intervista dal carcere



Niente. Israele non fa niente per incoraggiare il processo di pace. E un simile atteggiamento può annullare gli effetti del "passettino" che si è compiuto con la Conferenza di Annapolis. Marwan Barghouti, il leader palestinese di gran lunga più popolare tra la sua gente, lancia l'allarme sul possibile, ennesimo fallimento dell'ennesimo piano di pace. Le parole escono dal carcere israeliano dove è detenuto e vogliono arrivare, idealmente, alle orecchie di George Bush, l'uomo che ha speso il proprio prestigio per riavviare le trattative e che in questi giorni è impegnato nel suo viaggio in Medio Oriente, il primo in Israele e in Palestina. In questa intervista a 'L'espresso', Barghouti disegna, punto per punto, quelle che per lui sono le condizioni minime per arrivare a un accordo. Invita Hamas a riconsegnare il potere a Gaza nelle mani di Abu Mazen. Racconta, nei dettagli, anche la sua giornata in galera. E confida la speranza che la sua detenzione finisca presto.

Marwan Barghouti, crede davvero possibile la pace entro il 2008 come ha auspicato alla Conferenza di Annapolis il presidente Bush?
"Mi dispiace constatare che Israele non abbia avviato alcuna procedura che dia sostegno e fiducia ai palestinesi, che li incoraggi ad appoggiare la conferenza di Annapolis. Non è stato rimosso alcuno dei 623 sbarramenti che interessano oltre seimila chilometri quadrati di territorio. Una cosa simile non esiste in nessun altra parte della Terra. Tutto questo porta a sofferenza, tortura ed umiliazione. Israele non ha rilasciato un numero consistente di prigionieri, ma soltanto 400 persone che avevano terminato di scontare la pena o a cui mancavano pochi mesi. Nelle carceri israeliane vi sono undicimila prigionieri. Inoltre Israele ogni giorno cattura 300-400 palestinesi. Comunque ad Annapolis un passo, anche se piccolissimo, è stato fatto e questo dà rilevanza internazionale alla causa palestinese. Ma questa strada è lunga, difficile e piena di ostacoli. L'accordo entro il 2008 sarebbe possibile se il governo israeliano riuscisse a prendere delle decisioni coraggiose, come porre fine all'occupazione. Sembra però che l'atteggiamento del governo israeliano non vada verso questa direzione. Ad ogni modo i palestinesi faranno tutto il possibile affinché le trattative abbiano successo, anche se deboli sono le loro   speranze".



Svisceriamo i nodi del contendere. Qual è la soluzione accettabile per Gerusalemme?
"C'è solo un'unica soluzione: il ritiro da Gerusalemme orientale, occupata da Israele nel 1967, perché diventi la capitale di uno Stato palestinese indipendente e democratico. Dopo il ritiro di Israele, Gerusalemme diverrà la capitale dello Stato palestinese, sarà simbolo di pace. Lo Stato sarà garante dei diritti delle tre religioni monoteiste".

Ritorno dei profughi. Secondo le stime sono 4 milioni. È pensabile possano tornare tutti, alterando in modo irrevocabile la composizione etnica dello Stato ebraico?

"Israele, al momento della proclamazione del suo Stato, ha espulso centinaia di migliaia di abitanti dal proprio paese, ha distrutto centinaia di villaggi e città, ha costretto i palestinesi a vivere in uno dei più grandi accampamenti di profughi e per un tempo così lungo che non vi è pari nella storia moderna. Noi tutti continuiamo a chiedere l'applicazione della Risoluzione 194 dell'Onu, relativa ai profughi palestinesi, ai loro diritti di tornare nelle loro case ed al risarcimento dei danni".

Accettereste l'ipotesi di scambi territoriali per garantire l'omogeneità etnica nei due Stati, Israele e Palestina?
"I territori occupati nel 1967 rappresentano solo il 22 per cento della Palestina storica. Nonostante questo, abbiamo accettato di fondare lo Stato in quell'esiguo territorio, vicino allo Stato di Israele. Quando Israele deciderà il ritiro completo e riconoscerà i diritti del popolo palestinese allora si potrà trattare su qualsivoglia idea e progetto".

Come si può dividere un bene come l'acqua?
"Dall'inizio dell'occupazione Israele ha avuto il controllo completo di tutte le risorse idriche in Cisgiordania e a Gaza. Ha destinato ai palestinesi una quantità di acqua pari ad un decimo di quella che ricevono gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi. La carenza di acqua, comporta naturalmente un forte danno sia per l'uso comune sia per l'uso industriale. Per poter scavare un pozzo è necessario richiedere un permesso alle autorità israeliane. In città come Betlemme, l'acqua arriva ogni dieci giorni. Israele deve lasciare le fonti, le sorgenti principali ed i bacini presenti in Cisgiordania ai legittimi proprietari, i palestinesi, i quali potranno cooperare riguardo le risorse idriche sulla base delle norme internazionali".



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