Carlo Strenger / Ahmadinejad, Netanyahu e l'Olocausto: L'etica della memoria

Sintesi personale

Mentre l'Olocausto nazista ha sicuramente caratteristiche uniche, non credo che questo dovrebbe essere un argomento morale o politico a favore o contro qualsiasi cosa, compresa l'esistenza dello Stato di Israele che oggi è semplicemente un dato di fatto e gran parte degli stati arabi ne stanno prendendo atto . Il popolo ebraico, dopo un periodo di shock iniziale, ha trasformato il ricordo della Shoah e delle sue vittima in un dovere morale. Storici, scrittori, psicologi e registi hanno investito enormi energie per ricordare; musei sono stati costruiti in tutto il mondo, semplicemente per assicurarsi che tali uccisioni non svaniscono senza lasciare traccia o cadano nell'oblio.Ecco la domanda che vorrei porre al signor Ahmadinejad - senza aspettarmi una risposta, ovviamente. Potrebbe essere che il problema principale che ha con l'Olocausto, sia dovuto al fatto che gli ebrei aderiscono a un'etica molto rigorosa della memoria, per usare l'espressione felice del filosofo israeliano Avishai Margalit ? Che non permettiamo di dimenticare le vittime ? Che cerchiamo di piangere gli orrori che le nostre famiglie hanno sopportato, senza trasformare questi orrori in eroismo mitico?Ahmadinejad perpetua un regime che ha agito in modo orribile verso il proprio popolo.Khomeini ha inviato decine di migliaia di bambini in una inutile guerra di logoramento,(l'esercito iracheno non era più sul suolo iraniano) facendoli marciare su campi minati. Ha il popolo iraniano elaborato il lutto per questi orrori? O il loro ricordo serve per alimentare il mito degli shaheeds?
Netanyahu ha paragonato l'Iran alla Germania nazista delineando un nuovo Olocausto .Come Aluf Benn ha sottolineato,a Netanyahu piace pensare a se stesso come il Churchill che si rifiutò di accogliere Hitler. Lasciamo da parte la questione se il confronto tra la Germania nazista e l'Iran sia corretto - penso che non lo sia. Nel suo discorso all'ONU è giustificato il suo attacco ad Ahmadinejad quando nega l'Olocausto ,ma non lo è più quando difende l'operazione Piombo fuso confrontandolo con il Blitz di Londra. Netanyahu gioca la carta della Shoah per difendere l'indifendibile E' politicamente inutile ed eticamente insostenibile il costante insistere sulla Shoah per giustificare le politiche di Israele a Gaza e in Cisgiordania Nessuno al mondo può vedere alcun nesso tra la minaccia iraniana e la Cisgiordania . Nessuno può pensare che ,rendendo la vita dei palestinesi miserabile, si fermeranno i missili iraniani E molti se, in Israele, ritengono che lo Stato ha il diritto di difendersi dagli attacchi Qassam, sono ugualmente convinti che l'operazione Piombo Fuso è indifendibile Così,usando la Shoah, Netanyahu danneggia l'etica stessa della memoria . Ricordare l'Olocausto è un dovere morale per gli ebrei e non ebrei.La politicizzazione di Netanyahu non solo non adempie a questo dovere, ma lo infanga .Invece di indebolire Ahmadinejad, dimostra ,in modo non dissimile dal premier iraniano,che la storia viene utilizzata per fini politici,delegittiamano Raul Hilberg, un soldato ebreo che documentò per primo lo sterminio nazista degli ebrei, Primo Levi, Shaul Friedlander e Steven Spielberg, uomini che si sono impegnati a ricordare la tragedia dell'Olocausto senza abbellimenti e manipolazioni Le lezioni che dovremmo imparare da Ahmadinejad è questa: il ricordo di per se stesso è una virtù e non deve mai essere compromesso
allegati
Israele e l'uso politico della Shoah


2  L’Olocausto non è un clichè  l primo ministro Benjamin Netanyahu ha paragonato la minaccia iraniana contro Israele all’Olocausto degli ebrei europei, e Mahmoud Ahmadinejad a Adolf Hitler. Questo è ciò che ha fatto quando era il leader dell’opposizione, ed è ciò che sta facendo da quando è tornato al potere. “Non permetteremo a coloro che negano l’Olocausto di commettere un altro Olocausto contro il popolo ebraico”, ha dichiarato Netanyahu nel Giorno di commemorazione dell’Olocausto lunedì scorso, sulla scia dell’aggressivo discorso di Ahmadinejad alla Conferenza di Ginevra sul razzismo.

Il discorso politico è pieno di analogie con la Repubblica di Weimar, con la seconda guerra mondiale e con l’Olocausto, che sono già diventati clichè. I sostenitori e gli oppositori di Israele frequentemente paragonano i loro avversari ai nazisti, ed è facile comprendere perché. Il pubblico conosce i fatti storici , e chi erano i buoni e i cattivi. Ma questo paragone è un’esagerazione, respinta sia dalla destra che dalla sinistra.
Gli avversari di Israele non sono necessariamente discepoli di Hitler, così come i posti di blocco e gli insediamenti nei territori non sono il ghetto di Varsavia o Treblinka. Trasformare l’Olocausto in una banalità politica è un segno di mancanza di rispetto nei confronti della sua unicità storica e della memoria delle vittime, ma i politici ed i giornalisti trovano difficile vincere la tentazione.
L’attuale presidente iraniano, nei suoi incitamenti all’odio, predica l’eliminazione del “regime sionista”, e la sua pretesa che l’Olocausto sia un mito pianificato per danneggiare i musulmani si attaglia allo stereotipo del tiranno più che ai passati nemici di Israele – come il gran Mufti di Gerusalemme Hajj Amin al-Husseini (nell’epoca precedente alla nascita dello stato di Israele), Gamal Abdel Nasser e Yasser Arafat. Gli sforzi iraniani per entrare in possesso di armi nucleari ed ottenere l’egemonia regionale, il suo attivo appoggio nei confronti di Hezbollah e Hamas, e la crescente propensione in Occidente ad assecondare l’Iran aumentano la sensazione di pericolo. Anche se un Iran nucleare esitasse a lanciare una bomba atomica su Tel Aviv, spiega Netanyahu, imporrebbe delle richieste ad Israele e relegherebbe il paese in una posizione di inferiorità strategica.
Non vi è alcun dubbio che una situazione del genere non sarebbe piacevole, ma non costituirebbe nemmeno una catastrofe nazionale o un genocidio. Anche di fronte a un nemico risoluto e pericoloso come Ahmadinejad, ci si deve comportare con intelligenza e discernimento, astenendosi dal seminare il panico e la paralisi nazionale. Gli ammonimenti di Netanyahu su un secondo Olocausto, avvalorati dalle indiscrezioni sugli avanzati preparativi per attaccare le installazioni nucleari a Natanz, Arak e Isfahan , sono interpretati come un tentativo di mobilitare l’appoggio interno e la comprensione internazionale per una guerra preventiva contro l’Iran. “Se voi non agite, lo faremo noi”, ammonisce Netanyahu rivolto al mondo, ma il mondo non sembra agitarsi. Al contrario, getta di nuovo la palla al primo ministro a Gerusalemme.
La retorica di Netanyahu sta avvicinando Israele al punto in cui non sarà più in grado di trattenersi dal muovere guerra all’Iran . Continuando a parlare di un possibile Olocausto, il primo ministro sta chiudendo le vie di fuga – sue e del paese – da un possibile confronto militare, e sta abbandonando altre possibili linee di condotta. L’interrogativo non è più se Israele può e deve attaccare, ma come potrebbe essere possibile non attaccare.
Questo è un approccio semplice e diretto ad un complesso problema strategico. Il messaggio di Netanyahu alla sua opinione pubblica interna è ancor più problematico e potenzialmente demoralizzante. Se il programma nucleare iraniano è il treno per Auschwitz, cosa faranno gli israeliani e gli ebrei, se un’operazione per sventare tale programma nucleare dovesse fallire e l’Iran dovesse entrare in possesso della bomba? Cosa dovrebbero pensare i giovani riflettendo sul loro futuro? Se l’analogia con l’Olocausto viene presa sul serio, la risposta è chiara: essi dovrebbero cercare rifugio altrove. Molti di coloro che si salvarono dall’Olocausto lasciarono l’Europa in tempo, prima dell’invasione nazista, soprattutto in direzione degli Stati Uniti e della terra di Israele. Se davvero Israele sta andando incontro a un Olocausto, allora Netanyahu dovrebbe chiedere a Barack Obama i visti di immigrazione per 6 milioni di israeliani, non solo il via libera per attaccare l’Iran.
Certamente Netanyahu vuole incoraggiare la mobilitazione nazionale, non causare il panico o l’emigrazione. Egli sottolinea che, a differenza del 1939, questa volta gli ebrei hanno uno stato, un esercito e la capacità di difendersi, e che un altro Olocausto può essere fermato prima che accada. Ma nel momento in cui la responsabilità per il destino dello stato è nelle sue mani, egli dovrebbe pensare al significato delle sue parole.
Se gli israeliani si convincono che la loro esistenza fisica è in pericolo, e che sarebbe bene per loro fuggire di fronte al nemico, Ahmadinejad otterrebbe il suo obiettivo senza sparare un colpo. Invece di temere un Olocausto alle porte, Netanyahu deve dimostrare una capacità di statista – in grado di affrontare la minaccia iraniana minimizzando i danni.
Titolo originale:The Holocaust is not a cliche Aluf Benn è corrispondente diplomatico del quotidiano israeliano ‘Haaretz’; segue la politica estera israeliana ed il processo di pace israelo-palestinese dal 1993
Titolo originale:


3 L’Olocausto non proteggerà Israele per sempre  “Mi chiamo Hanna Weiss, sono nata in Italia, N. A5377. Ho lasciato Auschwitz viva. Sento di aver trionfato. Ho avuto una vita piena, ricca. Ogni giorno che una persona vive è un giorno di festa”.L’affermazione di questa sopravvissuta all’Olocausto ben riassume la settimana più importante del calendario ebraico-israeliano, la settimana tra la Giornata dell’Olocausto e la Giornata della Memoria dei soldati caduti in Israele, la settimana che incarna la rivoluzione sionista, dalla Shoah alla resurrezione.

E’ vero che non sono stati i 6 milioni di vittime ad aver fondato lo stato, ma nel corso degli anni lo hanno protetto con uno “scudo”. Le migliaia di persone che hanno pagato il prezzo dell’indipendenza con la loro vita, quelle che commemoriamo questa settimana, dovrebbero essere incluse nei 6 milioni.
Quei 6 milioni furono il motivo che nel novembre del 1947 condusse alla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la spartizione della Palestina. Se non fosse stato per loro, la maggioranza richiesta non sarebbe stata raggiunta. E’ stato solamente il pesante senso di colpa delle nazioni del mondo, che non hanno fatto nulla per fermare la cosiddetta Soluzione Finale mentre era in fase di attuazione, a far pendere a nostro favore l’ago della bilancia. Il 30 novembre del 1947, Haaretz pubblicò un editoriale in prima pagina che recitava: “Le nazioni del mondo hanno deciso di porre rimedio ad un’ingiustizia di 2.000 anni … l’aspirazione di un popolo perseguitato, che ha conosciuto la sofferenza e ha subito l’Olocausto, sta per essere realizzata”.
Se non fosse stato per quei sensi di colpa, i cecoslovacchi non ci avrebbero spedito armi durante la Guerra d’Indipendenza, i tedeschi non sarebbero rimasti al nostro fianco nella buona e nella cattiva sorte, e gli americani non ci avrebbero fornito denaro e aerei da combattimento anno dopo anno. Quindi è giusto collegare la Giornata dell’Olocausto alla Giornata della Memoria. Entrambe costituiscono la base per la Festa dell’Indipendenza.
Il mondo si sente in colpa perché l’assassinio degli ebrei d’Europa è stato senza precedenti negli annali del genere umano. Di certo non sono mancate le atrocità nel corso della storia, ma una liquidazione pianificata secondo un programma ben organizzato, volto ad eliminare un intero popolo dalla faccia della Terra, non si era ancora verificata.
I paesi occidentali si sentono in colpa anche perché non accettarono di aprire le porte ai rifugiati provenienti dalla Germania e dall’Austria, prima della Seconda Guerra Mondiale. Rinunciarono ad intervenire anche nel 1942, quando le attività di annientamento erano già note. Non bombardarono nemmeno una volta le linee ferroviarie che conducevano alle camere a gas e ai forni crematori, o agli stessi campi della morte, benché ci fossero migliaia di raid aerei, e decine di migliaia di bombe venissero sganciate nei pressi di Auschwitz, mentre la macchina di morte nazista ogni giorno uccideva e bruciava i corpi di 12.000 ebrei.
La crudele verità è che non importava a nessuno. Centinaia di anni di propaganda antisemita, persecuzioni, pogrom ed espulsioni avevano preparato il terreno per l’odio.
La conclusione deve essere quindi inequivocabile: nel nostro mondo cinico e crudele dobbiamo continuare a cercare di rafforzare le Forze di Difesa Israeliane (IDF), indipendentemente dalle nostre prospettive politiche. Il mondo deve sapere: Mai più. Mai più del sangue ebraico sarà versato impunemente, né qui né in qualsiasi altro angolo del globo.
E nel nostro mondo cinico e crudele non dobbiamo nemmeno ignorare il dominio del male. Fu il male ad assassinare 6 milioni di ebrei e ad infuocare l’intera Europa (l’Unione Sovietica da sola sacrificò 27 milioni di persone nella guerra contro la Germania). E questo male non ha cessato di esistere.
Tuttavia, rafforzare le IDF non dipende solo da noi. Dipende dallo stato di questo paese, che, a sua volta, dipende dalle nazioni del mondo e dall’opinione pubblica. Sessantacinque anni dopo che gli orrori dell’Olocausto sono stati svelati, sempre più voci in Europa dicono ad Israele: Basta. Anche i sensi di colpa hanno un limite. D’ora in poi vi tratteremo come un paese normale. Sarete giudicati attraverso le vostre azioni, nel bene e nel male.
E, in effetti, le ultime notizie indicano che il numero di episodi di antisemitismo è notevolmente aumentato nel 2009. Si tratta di un nuovo tipo di antisemitismo che combina l’antico odio con una forte opposizione all’occupazione. In altre parole, il tempo gioca a nostro sfavore. L’appoggio ad Israele ed al rafforzamento della potenza delle IDF non può più essere dato per scontato. I sensi di colpa del mondo si stanno gradualmente affievolendo, rafforzando la critica globale nei confronti dell’occupazione dei Territori Palestinesi.
E poiché in Occidente è l’opinione pubblica che, in ultima analisi, determina l’operato dei governi, dobbiamo raggiungere un accordo che ci conduca fuori da quei territori, e che riporti Israele ad essere un paese morale e giusto.
Questo perché lo “scudo” dell’Olocausto non durerà per sempre. Si sta disintegrando sotto i nostri occhi, e presto non sarà più in grado di proteggerci.
Nehemia Shtrasler è un giornalista israeliano specializzato in questioni economiche; scrive abitualmente sul quotidiano Haaretz

4 Giorgio Bernardelli  :La Shoah a sproposito   Gira e rigira il discorso va a finire sempre lì. Qualsiasi cosa accada in Medio Oriente il termine di paragone è la Shoah. In un gioco che non è affatto innocente, perché rischia sempre di coprire con una coltre di emotività l'analisi di questioni che invece sono complesse. Per questo motivo è una buona notizia il fatto che - su due quotidiani israeliani - due voci significative denuncino i rischi di questa cattiva abitudine.La prima è addirittura la cancelliera tedesca Angela Merkel, che ricevendo il premier israeliano Benjamin Netanyahu a Berlino ieri ha assicurato l'impegno della Germania sulla questione del nucleare iraniano (il cavallo di battaglia preferito della destra israeliana), ma ha anche aggiunto senza peli sulla lingua che sono indebiti i paragoni tra la Shoah e le minacce di Ahmadinejad. Ora: se c'è qualcuno che avrebbe da guadagnarci dal dilagare di questo tipo di paragoni è proprio la Germania. Perché più si associa quell'immagine a qualcos'altro e più le colpe dei nazisti sbiadiscono. Invece con intelligenza la Merkel si sottrae al gioco. E lo fa proprio nel momento in cui è l'unico leader europeo a fare realmente da sponda a Barack Obama sulla questione del congelamento degli insediamenti. Due posizioni che devono essere andate entrambe di traverso oggi a Netanyahu. Ed è significativo che Yediot Ahronot titoli il suo articolo da Berlino proprio sulla battuta riguardante la Shoah: il paragone tra Ahmadinejad e Hitler, infatti, è ormai unmantra della politica israeliana (e anche di tante voci dell'ebraismo italiano). Non si tratta di essere indulgenti con Teheran. Ma bisogna riconoscere che la questione iraniana non si risolve dipingendo una svastica sulle vesti degli ayatollah. Proprio quanto è successo in Iran in questo inizio estate sta lì a dimostrarlo. C'è una società civile coraggiosa sotto il pugno di ferro di Ahmadinejad. Cosa che non c'era in Germania negli anni Trenta. Se un paragone si può fare oggi è piuttosto quello con l'Europa dell'Est sotto il regime comunista. E - guarda caso - anche allora in ballo c'era la questione nucleare. Che cosa sarebbe successo se ci fossimo comportati come Netanyahu oggi vorrebbe si facesse con l'Iran?Ma il paragone con la Shoah viene tirato in ballo spesso a sproposito anche contro Israele. E qui allora diventa interessante la seconda voce, quella di Gideon Levy suHaaretz. Anche qui: se c'è qualcuno che è al di sopra di ogni sospetto di connivenza con gli abusi commessi da Israele contro i palestinesi è proprio Gideon Levy. Il suo nome è visto come il fumo negli occhi da tanti israeliani, che lo considerano un estremista di sinistra. Ebbene: proprio lui oggi si scaglia con forza contro il famigerato articolo apparso su un quotidiano svedese in cui si accusa l'esercito israeliano di traffico di organi che sarebbero stati prelevati da vittime palestinesi. Levy denuncia l'approssimazione di questa denuncia, priva di qualsiasi riscontro che possa renderla almeno verosimile. Ma è importante la sua motivazione: questo tipo di operazioni, alla fine, si ritorcono contro chi invece denuncia abusi reali. Perché tutto alla fine finisce sotto l'etichetta delle «accuse false di chi ce l'ha con noi». In questo senso Levy allarga il discorso anche ai paragoni con la Shoah: «Ogni esagerazione nel descrivere la crudeltà dell'occupazione - scrive - alla fine danneggia la lotta contro di essa. È facile provare che Israele non traffica organi palestinesi, come è facile provare che i soldati palestinesi non si comportano come i nazisti e non stanno compiendo un genocidio. Ma questo non significa che l'occupazione non sia un male, criminale e brutale».Parole sagge. Che indicano un punto fermo dell'impegno per la pace: il primo nemico da combattere è l'emotività che «in nome della causa» è pronta a ricorrere a qualsiasi arma retorica. Teniamolo presente in questi giorni in cui finalmente si torna a parlare del processo di pace in Medio Oriente. Sono davvero molto difficili i passi in avanti finché i discorsi di tutti continuano a essere costellati di iperboli.




6  Shlomo Ben Ami Non usiamo l’Olocausto come metro di paragone per la bomba nucleare iraniana Impregnati dalla loro storia spesso tragica, gli ebrei hanno la tendenza a nutrire profondo rispetto per il loro passato. Ma il passato, specialmente se non è maneggiato con cura, può essere il nemico del futuro, e distorcere il modo in cui interpretiamo le sfide del presente. Quest’affermazione si applica certamente all’analogia che i leader israeliani si ostinano a tracciare tra la distruzione degli ebrei d’Europa durante l’Olocausto e la minaccia allo stato ebraico rappresentata da un Iran nucleare.Anche quest’anno il Giorno di Commemorazione dell’Olocausto a Gerusalemme ha visto i leader israeliani competere l’uno con l’altro per alimentare la cupezza dello stato d’animo nazionale e l’isteria pubblica in merito alle intenzioni dell’Iran.Il presidente Shimon Peres, che, diversamente dal primo ministro Benjamin Netanyahu, è scettico riguardo all’utilità di un attacco alle installazioni nucleari iraniane, ha parlato della “minaccia di sterminio” con cui Israele deve confrontarsi. Anche il ministro della difesa Ehud Barak, un pensatore solitamente freddo e razionale, ha scelto Yad Mordechai, un kibbutz che prende il nome da Mordechai Anilewitz, il leader della rivolta del ghetto di Varsavia, per mettere in guardia l’opinione pubblica mondiale contro “chi nega l’Olocausto, primo fra tutti il presidente iraniano, che invita alla distruzione del popolo ebraico”.Non sorprende che Netanyahu sia stato particolarmente esplicito. Per lui, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è un nuovo Hitler, e il mondo sta assistendo di nuovo alle stesse minacce che aveva affrontato alla vigilia dell’ascesa al potere di Hitler. La corsa dell’Iran allo sviluppo di armi nucleari, ha ammonito Netanyahu, può essere compresa solo nel contesto delle “ripetute promesse dei suoi leader di cancellare lo stato ebraico dalla faccia della terra”. Apparentemente, ora, come allora, il mondo sarebbe criminosamente indifferente.L’analogia con l’Olocausto fatta da Netanyahu sarebbe solo una curiosità intellettuale, se egli non fosse la persona responsabile di prendere la decisione di un eventuale attacco alle installazioni nucleari iraniane, trascinando così il Medio Oriente in un conflitto apocalittico. La carriera del suo mentore politico, Menachem Begin, ha dimostrato che le analogie distorte tra passato e presente possono spingere a politiche irresponsabili.Nella sua disastrosa invasione del Libano nel 1982, Begin si era sentito come un uomo inviato da Dio a vendicare l’eredità dell’Olocausto. Egli scelse di dipingere ciò che era una cinica alleanza di convenienza tra Israele e le Forze Cristiane Libanesi come una lezione per l’umanità e un rimprovero contro quell’Europa cristiana che aveva tradito gli ebrei durante l’Olocausto. Egli avrebbe mostrato loro come lo stato ebraico, creato dai sopravvissuti dell’Olocausto e ora guidato da uno di loro, sarebbe andato in soccorso di una minoranza cristiana minacciata di distruzione.Per Begin, Arafat a Beirut era come Hitler nel suo bunker di Berlino. In realtà, Abba Eban (diplomatico e scrittore israeliano (1915-2002); fu ambasciatore presso gli Stati Uniti e l’ONU (N.d.T.) ) aveva messo in ridicolo Begin per essersi comportato “come se Israele fosse una specie di Costa Rica privo di esercito e l’OLP fosse Napoleone Bonaparte, Alessandro Magno, e Attila re degli Unni messi insieme”.Begin fu la prova lampante di cui avevano bisogno i critici di Israele per affermare che la rivoluzione sionista, sebbene avesse creato uno stato a partire dalle ceneri dell’Olocausto, non era riuscita ad estirpare l’immagine collettiva di “vittime” che gli ebrei e gli israeliani avevano di se stessi. Netanyahu suggella l’immagine di Israele come una nazione completamente incapace di liberarsi dalla prigione del suo passato.Israele non sbaglia a dubitare seriamente dell’efficacia delle misure che gli Stati Uniti pretendono di adottare nella speranza di limitare le ambizioni nucleari dell’Iran. Né le previste sanzioni né il Nuclear Posture Review degli Stati Uniti (documento che espone la strategia nucleare che gli Stati Uniti intendono adottare nei prossimi anni, pubblicato all’inizio di aprile (N.d.T.) ), un documento molto meno rivoluzionario di quel che ci si aspettava, terranno a bada gli appetiti nucleari dell’Iran. Invece di credere nella propria capacità di fermare il programma nucleare iraniano, il mondo si sta preparando a convivere con un Iran dotato di armi nucleari.Ma questo non sarebbe solo un problema di Israele. Un così clamoroso fallimento del Trattato di Non Proliferazione rappresenterebbe una minaccia formidabile per il mondo, in particolar modo per il Medio Oriente. La retorica ferocemente antisemita dell’Iran è un chiaro tentativo di raggirare i terrorizzati vicini arabi presentando la sua potenza militare come la punta di diamante di un fronte musulmano contro Israele. In realtà, un Iran nucleare precipiterebbe l’intera regione nell’anarchia nucleare. Arabia Saudita, Egitto e Turchia andrebbero tutti alla ricerca della propria bomba “sunnita” per contrastare la minaccia di un impero nucleare sciita alle porte di casa loro.Ogniqualvolta non ha avvertito il bisogno di approfittare della solennità delle cerimonie di commemorazione dell’Olocausto, Ehud Barak ha trasmesso il giusto messaggio all’emergente potenza iraniana. Un anno fa, ben sapendo che l’Iran aveva irreversibilmente intrapreso il cammino per dotarsi della bomba, egli mise sobriamente in discussione la pericolosa distorsione della storia compiuta da Netanyahu.“Israele non è un ghetto ebraico in Europa”, disse Barak all’epoca. “Noi siamo un paese forte cui il mondo intero attribuisce capacità nucleari, e in termini regionali noi siamo una superpotenza”. Egli ha poi espresso la sua disapprovazione nei confronti di coloro che paragonano la minaccia iraniana all’Olocausto, “perché [questo paragone] sminuisce l’Olocausto ed estende le attuali minacce al di là della loro giusta dimensione. Non c’è nessuno che oserà distruggere Israele”.La storia non è tornata al punto di partenza. È necessario che Israele decida se vuole essere una superpotenza regionale o un ghetto ebraico che attende l’inizio di un pogrom imminente. La storia nelle mani di politici manipolatori e di incorreggibili ideologi può essere o un’arma pericolosamente inebriante per mobilitare le masse, o, come disse James Joyce in ‘Ulisse’, “un incubo” da quale è difficile svegliarsiGuardando ossessivamente il loro conflitto attraverso il prisma angoscioso dell’Olocausto e della Nakba, gli israeliani e i palestinesi hanno decretato il fallimento delle possibilità di una risoluzione pacifica del loro conflitto. Leggere l’attuale conflitto tra potenze militari così formidabili come Israele e l’Iran da una simile prospettiva non può far altro che portare ad una catastrofe senza precedenti.Shlomo Ben-Ami, ex ministro degli esteri israeliano, è vicepresidente del Toledo International Centre for Peace, ed è autore di “Scars of War, Wounds of Peace: The Israeli-Arab Tragedy”Non usiamo l’Olocausto come metro di paragone per la bomba nucleare iranianaa

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