Video : i tunnel di Gaza



1 I TUNNEL che  non fanno morire Gaza

Il prezzo più basso per l'edificazione di un tunnel si aggira sui 20mila euro. Lunghi almeno 200 metri, alcuni arrivano fino a 600, portano nella Striscia di Gaza ogni bene necessario. Il costo di un litro di latte, una volta arrivato nella Striscia, è raddoppiato. Triplicato se il bene in questione è un litro di benzina. Nel business dei tunnel, sul lato egiziano, ci lavorano qualcosa come 4mila tra beduini ed egiziani. Il video dal nostro inviato ad el Arish (Egitto), al confine con la striscia di Gaza.Un milione e cinquecentomila cittadini di Gaza cuociono a fuoco lento. Chiusi su tutti i lati è come se la Striscia fosse una enorme pentola a pressione. La fiammata ogni tanto si alza, come nell'attacco israeliano iniziato lo scorso dicembre. Nell'operazione cinicamente denominata “piombo fuso” allora, di gazawi, ne morirono oltre 1300. Affinché la pentola non scoppi deve esserci una valvola di sfogo. Sono i tunnel che dal Sinai entrano nella Striscia. Portano tutte le merci necessarie: dalle armi alle medicine, dal cibo alle motociclette. In controtendenza al paradiso assicurato in tutti i monoteismi, ma perfettamente in linea a tutti i processi migratori dell'epoca contemporanea: il passaggio del valico è consentito solo ai beni materiali e negato alle anime ancora in vita. «Ci chiedono perfino di far passare greggi di pecore», spiega un beduino della tribù dei Sawarka. Proprietario di un tunnel il beduino in questione non intende far riprendere il proprio volto se non opportunamente nascosto da una kefia rossa e da grossi occhiali da sole. Bonaccione e goliardico senza camuffamento, duro e preciso quando si parla di lavoro, quindi di «business». «Per favore non parliamo di politica ma solo di business», è l'inequivocabile premessa. Ma qualche conclusione la si può trarre in anticipo, «lavoriamo meglio quando l'occupazione è più soffocante, gli affari grossi li facciamo da quando è Hamas al potere nella Striscia, prima passavano solo le armi». Un milione e cinquecentomila persone che sopravvivono per mezzo di questi tunnel, «ne sono circa novecento ma posso dirti che in questo periodo ne sono attivi duecento». Un lavoro tollerato da tutte le autorità, «prima che un tunnel venga bombardato è plausibile che l'esercito israeliano avverta le autorità egiziane e che queste avvertano noi». Creare pretesti per incedenti diplomatici su questo confine non conviene a nessuno. In trecentomila gazawi, tre anni fa, spinsero talmente forte sulla porta di Rafah da sfondarla Comprarono beni di prima necessità negli alimentare egiziani e tornarono indietro, nelle proprie case. «Un tunnel piccolo costa almeno 20mila euro, 100 euro a metro». Una casa da queste parti vale molto meno. «I tunnel piccoli servono per il trasporto di piccole merci, poi ce ne sono di più lunghi e larghi, fino a 600 metri, dove passano anche le motociclette». I mezzi in questione sono costruiti in Cina su modelli delle moto italiane degli anni '50 e '60. A nessuna automobile di recente immatricolazione è consentito entrare nella Striscia di Gaza, così da far diventare la moto un mezzo diffuso. Il costo di un bene una volta valicato il confine è esorbitante, «un litro di latte a Gaza viene a costare esattamente il doppio rispetto l'Egitto, un litro di benzina il triplo». La gestione dei tunnel è il più grande business dell'intero Sinai, «in un mese riesco a coprire il costo della costruzione», tutto il resto è guadagno. «Sul lato egiziano per reperire i beni, impacchettarli e mandarli a Gaza lavorano 4mila persone», la più grande impresa dell'area. «A costruirli» però «sono solo i gazawi» perché è troppo grande il rischio di crollo durante le operazioni di scavo. «Si, è un lavoro pericoloso», mi spiega l'impresario, «il pericolo di bombardamento è sempre costante come quello di frana o di allagamento in caso di pioggia». Per venticinque chilometri dal confine il passaggio è interdetto all'esercito egiziano, qui hanno totale agibilità solo i beduini. Quelli poveri come chi porta i pacchi e quelli ricchi come l'intervistato che orgoglioso mostra la terza villa in costruzione. «Il tunnel ha due proprietari, uno per ogni lato del confine. Gli spostamenti avvengono sopratutto di notte». I tunnel non durano in eterno, dopo un po' crollano e tocca ricostruirli. «Qualche uomo di affare costruisce impalcature di legno in abbondanza, un collega ha anche piastrellato i passaggi più critici». Questa è la valvola di sfogo di quella pentola a pressione chiamata Gaza, la valvola che ne permette la sopravvivenza e la totale subordinanza al resto dell'intera comunità mediorientale.
Se l'Egitto costruisce un muro sul confine con Gaza

2  DOMENICA 7 FEBBRAIO 2010   Palestina: la merceficazione di Gaza

Exiled è un blogger che ha recentemente lasciato Gaza, e non ha alcuna fretta di tornarvi. In questa traduzione di un suo recente post, ne leggiamo le opinioni sulla propaganda politica e gli interessi personali, i tunnel verso l'Egitto, il progetto del muro d'acciaio, e la natura della preoccupazione del mondo esterno per la Striscia di Gaza.Exiled scrive sul blogNostalgia  [in]:

Non c'è niente come Gaza. Io l'ho lasciata, ma lei non ha lasciato me. Non si tratta esattamente di nostalgia… non so bene cosa sia […] Non voglio tornare, e non mi pento neppure per un attimo di esser partito. Mi sono rifiutato di essere una merce, un articolo di poco valore nelle mani di persone religiose, di politici, dei media. Mi rifiuto di tornare alle fughe per sfuggire ai candelotti di gas lacrimogeno, o all'attesa dell'elettricità nelle lunghe notti invernali, agli urli e ai gemiti dei partiti politici e alla calcificazione religiosaGaza è un luogo di discorsi pomposi e vuoti. Nessuno li comprende. È il parcogiochi di dozzine di squadre e centinaia di manifestanti e scioperanti, ma senza nessuna regola. Tutto è diventato confuso e caotico, come un dipinto surrealistico che persino Picasso o Dalì non sarebbero in grado di interpretare.I tunnel vengono scavati per portare merci di contrabbando dall'Egitto fino a Gaza… e mentre questa comprevendita avviene in bella vista delle autorità di Gaza e dell'Egitto, tuttavia viene ancora chiamata “di contrabbando” in modo che entrambe le parti possano beneficiarne a seconda dei rispettivi obiettivi (così che il governo di Gaza possa vivere alle spalle dei concittadini che danno ai figli il latte contrabbandato, e allo stesso tempo offre all'Egitto un prestesto per proteggere la sicurezza nazionale e i confini dai pericoli del contrabbando).I tunnel sono stati promossi come puro lavoro per la nazione, intrapreso da uomini onesti per prestare servizio al popolo disperato…mentre sono i pezzi grossi del commercio di Gaza e i loro criminali a scavare i tunnel per i propri interessi personali. Hanno i propri mercenari della resistenza, perchè se Israele aprisse un varco fino a Gaza per consentire il passaggio delle merci, quella stessa resistenza colpirebbe con dei razzi gli ingressi appena aperti pur di chiuderli, in modo da mantenere il monopolio sul commercio. […] Gli abitanti di Gaza vengono dipinti dai media come persone affamate che cercano cibo nei rifiuti, mentre miliardi di dollari finiscono nelle tasche egiziane grazie alla compravendita tramite i tunnel.L'Egitto si è trovato ad esporre pubblicamente le proprie colpe quando i dimostranti si sono riuniti davanti alle ambasciate egiziane di tutto il mondo per condannare il muro d'acciaio [in] sul confine, mentre l'Egitto avrebbe potuto semplicemente e silenziosamente chiudere tutti i tunnel di Gaza, senza creare tutta quell'attenzione mediatica.L'Egitto sta costruendo un alto muro in acciaio e nessuno a Gaza ne sa il perchè! Per chiudere i tunnel non c'è bisogno di questo muro, e il muro non eliminerà i tunnel! Con una stupidità insolita da parte del regime egiziano, è stato bloccato il corteo della solidarietà di Galloway [in]. Qualcosa che non porta a Gaza altro beneficio che slogan chiassosi e pomposi, senza nulla di nuovo e senza nessuna soluzione fondamentale per il dilemma di Gaza, definito come una crisi alimentare. Persone caritatevoli con una coscienza e nobili rivoluzionari vengono a Gaza da ogni parte del mondo per dimostrare solidarietà. Nel frattempo Gaza è solidale con loro, e dà loro tranquillità, un'aurea rivoluzionaria e materiali propagandistici.Nessuno capisce Gaza.





  5   GIOVEDÌ 1 APRILE 2010  Gaza morire lavorando

Secondo le ultime stime delle Nazioni Unite il tasso di disoccupazione nella Striscia di Gaza è del 45 percento e ciò pone l'economia della regione fra le più arretrate della classifica mondiale. In una situazione come questa l'unica possibilità di sopravvivenza per i palestinesi nei Territori è quella di oltrepassare il confine per provare a lavorare in Israele. Stare fermi significa abbandonarsi a morte certa sebbene, ultimamente, sia stato scoperto che anche muoversi non è un'azione del tutto priva di rischi. Al-Mezan, Ong palestinese ha, infatti, denunciato che sarebbero stati ben sessanta i civili uccisi dal 2000 ad oggi nel tentativo di varcare il confine e cercare un impiego.Inutile dire.Che gli attacchi aerei indiscriminati delle forze di sicurezza israeliane sulla linea di confine, oltre a provocare morti fra i civili, continuano a distruggere centinaia di fattorie e di campi destinati all'agricoltura. Solo una settimana fa, il 24 marzo, le forze di occupazione hanno arrestato circa 20 lavoratori palestinesi nei pressi dell'insediamento di Dugit al confine nord della Striscia di Gaza. La colpa ascritta loro è stata quella di aver raccolto della ghiaia dalle macerie delle case per impiegarla nella costruzione di nuove abitazioni. Il giorno dopo questa dimostrazione, terminata col rilascio dei venti uomini dopo ore di interrogatorio, i militari israeliani hanno sparato su un altro gruppo di persone nei pressi di Sofa, mentre cercavano di raggiungere la parte est di Rafah a sud della Striscia. Nel corso del raid Naji Abu Rida, 31 anni, è rimasto ferito al torace mentre alle ambulanze palestinesi veniva impedito, per circa 15 minuti e in palese violazione delle convenzioni internazionali, di prestare soccorso all'uomo. Il 26 marzo, due giorni dopo la prima azione di forza, è toccato ad Abdul Aziz Hamdan, 15 anni, ferito alla gamba sinistra durante una sparatoria nella linea di confine nord a Erez. Hamdan, ricoverato subito e fuori pericolo di vita, si trovava con i suoi fratelli e altri lavoratori a 100 metri di distanza dal muro di separazione per raccogliere mattoni dalle macerie che avrebbe poi rivenduto alle fabbriche locali.Giù nei tunnel. Dall'embargo imposto a Gaza dopo la presa del potere di Hamas nel 2007, l'unica fonte di reddito per i palestinesi che vivono nella regione sul Mar Mediterraneo sono le gallerie sotterranee per trafficare merci dall'Egitto. Molti di questi tunnel furono distrutti durante i raid aerei di "Piombo Fuso", operazione condotta dall'esercito israeliano tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009. In un'intervista rilasciata tre giorni fa Ziad al-Zaza, ministro dell'Economia nel governo di Hamas, ha sostenuto: "Prima dell'offensiva israeliana nei tunnel lavoravano 20 mila persone mentre oggi sono attivi circa la metà. Bloccare i tunnel - ha continuato l'esponente di Hamas -porterà ad un enorme disastro umanitario. Tutti i residenti della Striscia di Gaza saranno costretti a contare solamente sugli aiuti alimentari delle Nazioni Unite". I quali, quando non vengono totalmente bloccati alla frontiera, ritardano mesi nel giungere a destinazione e quindi permettere il sostentamento di centinaia di migliaia di civili.Oltre gli evidenti ostacoli militari i lavoratori dei tunnel, scavati dai 15 ai 35 metri sotto terra e lunghi anche più di un chilometro, sono giornalmente soggetti a un forte stress causato dalla precarietà delle condizioni nelle quali sono costretti a operare. Abu Antar, proprietario di uno dei cunicoli e datore di lavoro di circa cinquanta persone, ha dichiarato: "Ogni giorno lavoriamo sotto terra e ogni volta mi chiedo se ne usciremo vivi. Molte volte la terra è crollata... la morte è inevitabile in questo tipo di lavoro. Abbiamo a che fare con la paura ventiquattro ore al giorno. Molte persone hanno perso la vita mentre compivano il loro dovere. Ogni mese il numero delle vittime aumenta a causa dei danni provocati dai raid aerei israeliani". A questo si aggiunge il muro di contenimento che l'Egitto sta alzando sul proprio confine per sbarrare l'accesso ai tunnel.Bloccati sopra e sotto terra si tratta solo di persone che cercano di lavorare per vivere e che, in questa ricerca, non trovano altro che la morte ad attenderli.Antonio Marafioti

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MARTEDÌ 11 NOVEMBRE 2008  AMIRA HASS: I TUNNEL DI GAZA

No light at the end

sintesi personale

Israele chiude tutti i valichi di Gaza e interrompe il rifornimento di combustibile .La centrale elettrica di Gaza è in grado di fornire 80 megawatt al giorno, ma ha bisogno di 3,15 milioni di litri di carburante industriale settimanalmente per farlo.A partire 17 gennaio, tuttavia, Israele ha iniziato a ridurre l'offerta, e la potenza della stazione è limitata a 2,5 milioni di litri a settimana. Se Israele non rinnoverà l'approvvigionamento di combustibile, le ripercussioni saranno immediate .La gente è corsa a comperare candele, il grande supermercato nel quartiere Rimal ha terminato le scorte, solo nel pomeriggio, grazie ai tunnel, sono arrivate le candele dall' Egitto, quadruplicando il prezzo Anche in un "normale giorno", quando i valichi sono aperti, l'alimentazione è solo di 202 megawatt al giorno - 65 provenienti da Gaza, 120 acquistati da Israele e 17 dall'Egitto, attraverso Rafah, utilizzata dai gazes per scavare tunnel, per i movimenti della merce a scapito delle esigenze dei privati cittadiniQuesta è un'altra occasione per benedire l'esistenza del tunnel. Il combustibile egiziano costa NIS 2,50 litro, mentre il diesel israeliano NSI 4.Coloro che hanno generatori a casa possono utilizzare i distributori di benzina diesel ( ne esiste uno egiziano e uno israeliano)


7   SABATO 13 FEBBRAIO 2010

Stefania Pavone Gaza anno zero: sopravviviamo grazie ai tunnel
Mohammad Halabi racconta la vita della città palestinese, un anno dopo i raid israeliani di "Piombo fuso" Ecco Mohammad Halabi: a soli 35 anni è il responsabile delle Relazioni estere della città di Gaza. È un palestinese che ha vissuto e studiato in Egitto e, forse, avrebbe potuto essere altrove. Invece ha deciso di non tradire la sua gente ed è tornato a Gaza. Mohammad Halabi non fa parte di Hamas, anche se collabora attivamente con gli islamici, occupandosi anche di gestire le offerte commerciali della città: è rimasto umano nonostante la devastazione che un anno fa “Piombo Fuso” ha portato nella sua terra. Nessuna parola d’odio nei confronti dei nemici di sempre. Gli abbiamo chiesto di raccontare cosa accade giorno per giorno in quei gironi d’inferno in cui si è trasformata Gaza City da un anno a questa parte. Allora Mohammad Halabi, com’è è cambiata la percezione della quotidianità a un anno dalla campagna di “Piombo Fuso”? Le distruzioni inferte alla Striscia sono state terribili, Gaza è stata sostanzialmente distrutta. Durante la campagna di “Piombo Fuso” sono morte più di 1.200 persone e non riusciamo neanche a contare quanti siano i feriti. La città è rasa al suolo. La gente vive in luoghi di fortuna che non si possono chiamare neppure case e in tutto questo a rimetterci sono soprattutto i bambini. Pensa che devono andare a scuola in edifici che hanno vetri e muri completamente rotti. A Gaza manca tutto, facciamo fatica a garantire i servizi essenziali, ma si continua a vivere anche così, quotidianamente appesi all’incertezza. Ma il senso della comunità fra gli abitanti è molto forte, ci si sostiene a vicenda, c’è poi la grande gara della solidarietà internazionale. Si ha la sensazione che molti a Gaza avvertano che la vita nella città si sia sgretolata, che sia pervasa dall’insicurezza, che non esistano più riferimenti certi. Cosa fate per cambiare questo stato di cose?L’insicurezza è sicuramente penetrata nel senso comune delle persone. Ma non solo sul terreno psicologico, ma soprattutto su quello materiale. Più di 30.000 persone hanno perso il loro posto di lavoro e “Piombo Fuso” ha inciso sul tessuto industriale agricolo e marino, distruggendoli tutti. Ma noi stiamo lavorando per restituire delle certezze anche se è molto difficile. L’insicurezza dipende anche da una considerazione di base: i palestinesi non sanno se gli israeliani pagheranno per quello che hanno fatto a Gaza. Noi tutti vogliamo la riparazione dei torti subiti in questa guerra. E del nuovo Muro che verrà costruito tra l’Egitto e Gaza? A oggi la nostra sopravvivenza è legata ai tunnel che passano per l’Egitto. Vuol dire che ne scaveremo di più profondi. La Palestina è ancora contro la Palestina. Mentre Netanyahu chiede una pace senza condizioni, siete divisi al vostro interno. Cosa prevedi che accadrà? Sono nell’amministrazione della città nel 2003 prima delle elezioni che hanno dato la vittoria ad Hamas. Per il processo di pace il paese chiave della regione è l’Egitto. Solo l’Egitto si può contrapporre a Israele nel bilanciamento delle forze nella regione mediorientale, non guardate all’Iran. La pace è difficile perché da noi convivono più religioni ed etnie completamente diverse le une dalle altre, con usi e costumi divergenti, con idee diverse. Per quel che riguarda lo specifico della questione palestinese, che speranze ci sono? Siamo sotto assedio, il rischio è che l’esplosione dei bisogni della popolazione, se trascurati per troppo tempo, produca delle tensioni difficili da contenere. Si rischia di scivolare di nuovo verso un assetto da guerra civile. Ma per il processo di pace servirebbe poco, basterebbe un’ora per mettersi d’accordo.
Fonte: Il Fatto 
8   SABATO 13 AGOSTO 2011

Report su Gaza da Gazzella onlus


30 Luglio 2011   Ritorno dopo quattro mesi: nella Striscia di Gaza continuano i tagli all’elettricità e di conseguenza in questa stagione calda i generi alimentari sono a rischio deterioramento. L’accesso all’acqua potabile resta impossibile se non attraverso le scorte fornite dall’UNRWA; l’acqua prelevata dai pozzi è eccessivamente inquinata da nitrati e nitriti e questo soprattutto a causa della mancanza di adeguati impianti di fognature e in parte contaminata anche da metalli pesanti.Le strutture sanitarie non sono in grado di dare adeguate risposte al fabbisogno della popolazione, soprattutto in campo di prevenzione (mancano i kit per le analisi, i macchinari diagnostici) e soprattutto mancano i farmaci specifici per le patologie gravi. I reparti di chirurgia pediatrica, cardiologia e oncologica sono quelli che risentono maggiormente delle conseguenze dell’occupazione e dell’assedio. Gli impegni delle ONG internazionali, limitati dalle reiterate incursioni militari israeliane, riescono solo in parte a far fronte al fabbisogno sanitario e i vari presidi sanitari presenti sul territorio sono praticamente al collasso.I negozi sono riforniti di vari generi alimentari (si trova anche la pasta Barilla, la Nutella!), tuttavia l’accesso a buona parte dei beni di prima necessità è ovviamente riservato solo a chi ha un buon reddito, visto che i prezzi sono troppo elevati. Le produzioni di ortaggi, frutta, e l’allevamento di ovini e pollame restano per molti l’unico scarso sostegno.A Gaza purtroppo si sente aria di corruzione, di arricchimento con i traffici illeciti delle merci fatte passare dai tunnel, che – se da un lato rappresentano l’unica via per garantire la fornitura di generi indispensabili, dall’altro sono fonte di ricchezza per pochi e alimentano la borsa nera.E’ facile incontrare una giovane donna che ti racconta che il marito ha cattive frequentazioni e fa uso di droghe e alcool, e che il salario, non è sufficiente a mantenere la famiglia (per l’affitto, la scuola, gli alimenti, l’assicurazione sanitaria ci vogliono circa 900 nis mensili pro capite, circa 200 euro) e così capisci perché anche i palestinesi si trovano costretti a cercare, o meglio ad inventarsi, una seconda entrata; non bisogna poi dimenticare che circa 80% della popolazione è disoccupata. Per tanti aspetti il contesto non è diverso da quello occidentale, con l’aggravante dell’occupazione e dell’assedio.A Gaza si percepisce anche che sono prossimi alcuni cambiamenti di natura politica, però è difficile definirne la portata. Durante alcune viste che ho fatto ad uffici pubblici o a sedi di ONG locali ho trovato appesa al muro una foto di Vittorio Arrigoni, sorridente con la sua inseparabile Kufia; in molti hanno espresso la loro solidarietà e la loro tristezza per la perdita di un uomo che ha condiviso in prima persona le sofferenze del popolo palestinese e le ha fatte conoscere al mondo. A Khan Yunis sono stata all’associazione Basma dove mi hanno accolto le mamme dei bambini sordomuti che Gazzella sostiene. Mi hanno ringraziato caldamente per il sostegno che diamo loro, non solo economico, ma anche di vicinanza alle famiglie. Ho visitato altri bambini feriti che vivono nella città di Gaza, e anche ad El Bourej, al campo profughi di Magazi ed a Beit Hanun e sono state visite particolarmente faticose a causa del caldo umido che quest’anno si è fatto sentire. Però non è mai accaduto, pur nella miseria, che le famiglie non mi offrissero una bevanda o un frutto. Ho rivisto Sa’ad, che era stato ferito nel luglio del 2006 da un elicottero F16 mentre giocava vicino alla sua casa. Ricordo i nostri primi incontri: avevo davanti a me un bambino con la tracheotomia, con il drenaggio alla pancia, le gambe massacrate. Ricordo le richieste di aiuto che si rincorrevano: i pannolini, le sacche per il drenaggio, la carrozzina prima e le stampelle dopo, la fisioterapia… Oggi Sa’ad, dopo aver subito vari interventi chirurgici, riesce stare in piedi da solo, anche senza l’aiuto delle stampelle; va a scuola con ottimi risultati e la sua stretta di mano e forte e sicura.Uscire dalla Striscia di Gaza è stato particolarmente lungo e difficile: i controlli israeliani sono durati oltre due ore.Gerusalemme ogni volta che ci torno, cambia volto: nuovi negozi e ristoranti sono stati aperti nel centro storico, continua la cacciata dei palestinesi da Gerusalemme est, si creano nuovi insediamenti per i coloni arrivati dai paese dell’est, si tenta di distruggere il cimitero arabo della Porta dei Leoni, il tram che proviene dalla Gerusalemme “ebraica” ad ovest sfreccia davanti alle “New Gate”e alla “Porta di Damasco”. Israele avanza con l’occupazione attraverso la trasformazione di luoghi di memoria e di storia, patrimonio dell’umanità, come dichiarato dall’Unesco, che per loro non hanno alcun valore, conta solo la  ricerca di una identità da costruire distruggendo e negando la vita ad altro popolo


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