di Stefania Pavone Gaza anno zero: sopravviviamo grazie ai tunnel


Mohammad Halabi racconta la vita della città palestinese, un anno dopo i raid israeliani di "Piombo fuso" Ecco Mohammad Halabi: a soli 35 anni è il responsabile delle Relazioni estere della città di Gaza. È un palestinese che ha vissuto e studiato in Egitto e, forse, avrebbe potuto essere altrove. Invece ha deciso di non tradire la sua gente ed è tornato a Gaza. Mohammad Halabi non fa parte di Hamas, anche se collabora attivamente con gli islamici, occupandosi anche di gestire le offerte commerciali della città: è rimasto umano nonostante la devastazione che un anno fa “Piombo Fuso” ha portato nella sua terra. Nessuna parola d’odio nei confronti dei nemici di sempre. Gli abbiamo chiesto di raccontare cosa accade giorno per giorno in quei gironi d’inferno in cui si è trasformata Gaza City da un anno a questa parte. Allora Mohammad Halabi, com’è è cambiata la percezione della quotidianità a un anno dalla campagna di “Piombo Fuso”? Le distruzioni inferte alla Striscia sono state terribili, Gaza è stata sostanzialmente distrutta. Durante la campagna di “Piombo Fuso” sono morte più di 1.200 persone e non riusciamo neanche a contare quanti siano i feriti. La città è rasa al suolo. La gente vive in luoghi di fortuna che non si possono chiamare neppure case e in tutto questo a rimetterci sono soprattutto i bambini. Pensa che devono andare a scuola in edifici che hanno vetri e muri completamente rotti. A Gaza manca tutto, facciamo fatica a garantire i servizi essenziali, ma si continua a vivere anche così, quotidianamente appesi all’incertezza. Ma il senso della comunità fra gli abitanti è molto forte, ci si sostiene a vicenda, c’è poi la grande gara della solidarietà internazionale. Si ha la sensazione che molti a Gaza avvertano che la vita nella città si sia sgretolata, che sia pervasa dall’insicurezza, che non esistano più riferimenti certi. Cosa fate per cambiare questo stato di cose?L’insicurezza è sicuramente penetrata nel senso comune delle persone. Ma non solo sul terreno psicologico, ma soprattutto su quello materiale. Più di 30.000 persone hanno perso il loro posto di lavoro e “Piombo Fuso” ha inciso sul tessuto industriale agricolo e marino, distruggendoli tutti. Ma noi stiamo lavorando per restituire delle certezze anche se è molto difficile. L’insicurezza dipende anche da una considerazione di base: i palestinesi non sanno se gli israeliani pagheranno per quello che hanno fatto a Gaza. Noi tutti vogliamo la riparazione dei torti subiti in questa guerra. E del nuovo Muro che verrà costruito tra l’Egitto e Gaza? A oggi la nostra sopravvivenza è legata ai tunnel che passano per l’Egitto. Vuol dire che ne scaveremo di più profondi. La Palestina è ancora contro la Palestina. Mentre Netanyahu chiede una pace senza condizioni, siete divisi al vostro interno. Cosa prevedi che accadrà? Sono nell’amministrazione della città nel 2003 prima delle elezioni che hanno dato la vittoria ad Hamas. Per il processo di pace il paese chiave della regione è l’Egitto. Solo l’Egitto si può contrapporre a Israele nel bilanciamento delle forze nella regione mediorientale, non guardate all’Iran. La pace è difficile perché da noi convivono più religioni ed etnie completamente diverse le une dalle altre, con usi e costumi divergenti, con idee diverse. Per quel che riguarda lo specifico della questione palestinese, che speranze ci sono? Siamo sotto assedio, il rischio è che l’esplosione dei bisogni della popolazione, se trascurati per troppo tempo, produca delle tensioni difficili da contenere. Si rischia di scivolare di nuovo verso un assetto da guerra civile. Ma per il processo di pace servirebbe poco, basterebbe un’ora per mettersi d’accordo.
Fonte: Il Fatto
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