Sam Bahour Una crescita in cui la Palestina possa credere


La leadership palestinese di Ramallah sta diffondendo un grave equivoco. I mass media, le organizzazioni internazionali, i governi stranieri e i palestinesi in generale sono stati persuasi a credere che il fermento di attività economica che sta avendo luogo in Cisgiordania sia uno sviluppo economico tale da porre le basi per uno stato indipendente. La realtà dei fatti smentisce questa convinzione, proprio mentre Israele continua a gestire i vari pezzi che costituiscono l’economia del futuro stato palestinese in direzione di una stagnazione sistemica.

Riesco già a sentire le loro voci: “ma siate positivi”, “dobbiamo pur iniziare da qualche parte”, “stiamo agendo unilateralmente verso la costruzione di uno stato”, “ma abbiamo avuto una crescita del PIL pari al 7% l’anno scorso”, ecc. Essere positivi è una cosa, ma illudersi ed adeguarsi all’occupazione militare, che controlla ogni aspetto importante della nostra vita, soprattutto quelli economici, è inaccettabile. non metto in dubbio le buone intenzioni (ad eccezione di quelle della potenza occupante) di tutti gli attori economici coinvolti nella promozione di questo equivoco secondo il quale i palestinesi sarebbero sulla via di una rapida crescita economica.La leadership palestinese ha molto poco – o nessun – capitale politico, quindi ci si aspetta che si concentri sulle attività economiche – cosa che, garantisco, è molto diversa dallo sviluppo economico come base per costruire uno stato. Si aggiunga poi che alcuni attori chiave palestinesi, soprattutto il primo ministro Salam Fayyad, hanno già iniziato le loro campagne elettorali per le future potenziali elezioni presidenziali, e si può facilmente notare l’egocentrica esigenza dimostrata da costoro di partecipare, ogni giorno o due, ad una cerimonia di inaugurazione, con tanto di taglio del nastro. Gli israeliani non potrebbero chiedere di meglio. Con lo slogan della “pace economica” del primo ministro israeliano, Israele è stata in grado di gettare fumo negli occhi al mondo, in quanto crea fatti irreversibili sul terreno, come ad esempio insediamenti illegali esclusivamente ebraici, e continua ad opprimere la società palestinese fino al punto che molti palestinesi stanno emigrando volontariamente – cosa che Israele non era riuscita a realizzare completamente, con la forza, nel corso di più avventure militari, in particolare nel 1948 e nel 1967. Questo lento ma costante esodo rappresenta lo svuotamento della Palestina del suo capitale umano, che è già fortemente impoverito a causa delle restrizioni imposte su di noiLa comunità dei donatori, che continua a sostenere generosamente il governo palestinese a Ramallah, inoltre, non può essere biasimata per voler avere un quadro economico con il quale giustificare il suo costante sostegno finanziario all’Autorità Palestinese. Gli stati che stanziano questi fondi hanno avuto per decenni le mani legate, da un punto di vista politico, in attesa del prossimo segnale degli Stati Uniti. La cosa migliore per loro è rivendicare sviluppo e riforme istituzionali nel contesto di una pace economica. La missione di Tony Blair, inviato speciale del Quartetto, è esattamente questa: una missione economica e non politica, benché il Quartetto sia un “animale politico” (Stati Uniti, Russia, UE e ONU) che ha lo scopo ultimo di affrontare le questioni politiche fondamentali che ostacolano una seria risoluzione del conflitto.

Nemmeno le organizzazioni internazionali sono del tutto da biasimare. Possiedono solamente gli strumenti che solitamente usano per misurare le economie degli stati sovrani, come il PIL, il PNL e i tassi di crescita. Così, quando ci metto un’ora in più per raggiungere la mia destinazione perché Israele ha costruito una barriera di separazione illegale, o quando le strade in tutta la Cisgiordania non possono essere riparate a causa del divieto dei militari israeliani, provocando continui danni alla mia auto, si tratta di buone notizie per il PIL della Palestina, in quanto sto spendendo di più per la benzina e mi sono recato più frequentemente in officina. Detto questo, quasi tutti i report che emergono da queste organizzazioni specializzate, come la Banca Mondiale, rispecchiano la realtà più di altri. Questo può essere dimostrato da un paio di frasi dell’ultimo report della Banca Mondiale:

“Nel corso del tempo, tuttavia, l’apparato di controllo è gradualmente diventato più sofisticato ed efficace nella sua capacità di interferire ed influenzare ogni aspetto della vita palestinese, comprese le opportunità professionali, il lavoro, e i guadagni. Estensivo e stratificato, l’apparato di controllo comprende un sistema di permessi, ostacoli fisici come chiusure, strade ad accesso limitato, divieti di accedere a grandi aree della Cisgiordania e, più in particolare, la barriera di separazione. Essa ha trasformato la Cisgiordania in una frammentata serie di isole sociali ed economiche o enclavi separate l’una dall’altra”.E potrei continuare.Questi fatti avvengono alla luce del sole, per coloro che li vogliono scoprire. L’occupazione militare israeliana è viva e vegeta in ogni angolo di Gaza e della Cisgiordania, in particolare a Gerusalemme. Il 40% della nostra popolazione sotto l’occupazione a Gaza è volutamente strangolata. Il 60% della nostra popolazione totale – i rifugiati e i palestinesi della diaspora – non è nemmeno presente nella coscienza della maggior parte degli attori coinvolti.Le attività economiche, in cui sono personalmente coinvolto (e di ciò sono fiero), stanno avendo luogo, e questo non dovrebbe essere una novità in sé e per sé. Inoltre, esse non dovrebbero essere scambiate necessariamente per sviluppo economico. Sì, i palestinesi si svegliano ogni mattina e vanno a lavorare proprio come il resto del mondo, nonostante le restrizioni economiche più opprimenti che abbiano mai affrontato.Tuttavia, ancora non si trova da nessuna parte uno sviluppo economico ed una crescita in grado di costruire l’economia di un futuro stato. Come può essere? Il fatto è che tutti gli aspetti chiave di una vera economia sono saldamente nelle mani di Israele, la nostra potenza occupante. Israele, da sola, detiene le chiavi dell’accesso all’acqua, al movimento, al diritto di accesso, a tutti i confini, allo spazio aereo, all’elettricità, allo spettro elettromagnetico, solo per citarne alcuni. Un nuovo edificio a Ramallah, o cento, vanno bene per le cerimonie da “taglio del nastro”, ma c’è ancora molta strada da fare prima che si possa parlare di state building a livello economico.Un amico israeliano mi ha indicato l’altro giorno un modo diverso di guardare le cose. Essendo positivo, sono disposto ad accettare la “pace economica” di Binyamin Netanyahu quando lui e il suo paese avranno veramente l’intenzione di liberare le risorse economiche della Palestina di cui hanno pieno controllo. In mancanza di ciò, noi palestinesi continueremo a raccogliere i pezzi della nostra vita fino a quando arriverà quell’inevitabile giorno della resa dei conti, e Israele dovrà guardarsi allo specchio ed accettare la realtà di ciò che troverà – uno stato di apartheid.

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