Roberto Duz :LA PALESTINA NON COSÌ BRUTTA DI RAJA SHEHADEH



Ai tanti viaggiatori che nel corso del tempo hanno visitato la Palestina e ne hanno descritto i paesaggi nei loro resoconti ciò che importava non era il territorio reale con in suoi abitanti, ma la conferma delle convinzioni religiose o politiche loro e dei lettori cui si rivolgevano. Dunque, «la Palestina è stata costantemente reinventata », vittima della «maledizione» data dalla «centralità che investe nell’immaginario storico e biblico dell’Occidente».Così riflette Raja Shehadeh, palestinese di Ramallàh, avvocato e scrittore che ha a lungo camminato per i sentieri della sua terra, trovandola tutt’altro che «desolata e brutta», come l’ha definita Mark Twain, ma comprensivo con quei viaggiatori d’Occidente che «non avendo trovato ciò che cercavano, ovvero il territorio della loro fantasia, provavano una forte avversione per quel che invece vi avevano osservato». Con le sette passeggiate (compiute tra il 1978 e il 2007) raccontate in Il pallido dio delle colline (Edt, pp. 195, € 19,00) Ramallàh introduce nella «sua» Palestina, che è diversa da quella vista da occhi forestieri, anche se via via sempre più assimilabile all’immagine datale da W.M. Thackeray: «Timore e sangue, delitto e castigo riempiono una pagina dopo l’altra in spaventosa successione».E le «enormi quantità di cemento versato per edificare intere città su colline rimaste inviolate per secoli», le superstrade multicorsia che incidono le valli, i muri reali e virtuali, posti di blocco che intralciano, fino a renderla impraticabile, la tradizionale sarha (che vuol dire girovagare liberamente, a piacimento) in soli due decenni e mezzo hanno modificato il territorio al punto di renderlo talvolta irriconoscibile e a far smarrire anche il più esperto dei girovaghi. Da Ramallàh, sull’altopiano al centro della Cisgiordania, ci si poteva immergere in un mare agitato da colline che sembrano alte onde schiumose. Dopo l’invasione dell’esercito israeliano (2002) gli ingressi alle città e a centinaia di villaggi sono stati chiusi e la maggior parte delle strade è stata proibita ai palestinesi, così costretti a usare di nascosto rudimentali mulattiere. Insediamenti israeliani dominanti il paesaggio dalla cima alle colline, vecchi villaggi palestinesi inghiottiti dal nuovo scenario. Centinaia di posti di blocco ovunque. Dopo il 2006 «ci muovevamo nel nostro paese furtivamente, come stranieri mal sopportati, costantemente vessati, senza sentirci al sicuro».Alle spalle, una doppia Intifàda (la seconda ancor più dura della prima) e gli illusori Accordi di Oslo, tregua apparente che avrebbe dovuto essere prologo di pace vanificata dalla prosecuzione nell’edificazione intensiva di nuovi insediamenti. Strada facendo, nel tempo, si fa sempre più stanco il passo di Shehadeh lungo i «sentieri della Palestina che scompare». Sempre più amari e disillusi i pensieri che l’accompagnano. Fino a concludere che, comunque si risolva la contesa tra israeliani e palestinesi, sarà il cemento il vero vincitore.

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