Il Ground Zero e la Moschea.


La moschea vicino Ground Zero esiste già ..dal 2009 (video)
Sappiamo che l’intero dibattito sulla costruzione del centro islamico vicino a Ground Zero è diventata ormai una questione simbolica e di bandiera, riguardo la quale i margini reali della questione contano poco. Qualche giorno fa la Associated Press ha chiesto ai suoi giornalisti di usare un linguaggio più preciso, nella speranza così di chiarire alcuni nodi ed evitare equivoci. Per esempio specificare che la moschea non si trova a Ground Zero bensì a due o tre isolati da Ground Zero.
Nel testo del promemoria inviato ai suoi giornalisti si legge anche che “nell’edificio in cui verrà costruito il centro islamico si tengano funzioni religiose musulmane dal 2009″. La cosiddetta Cordoba Initiative, infatti, prevede infatti la costruzione di un centro islamico in un edificio già oggi usato dai musulmani per riunirsi e pregare. Time Magazine è andato a vedere con i suoi occhi, consegnando la prova visiva dell’ennesimo elemento di questo curioso dibattito: la moschea vicino Ground Zero c’è già dal 2009, e finora a nessuno era sembrata inopportuna al punto da scatenare un acceso dibattito in tutti gli Stati Uniti.La moschea vicino Ground Zero esiste già

2  Sintesi personale Yosse Sarid

Questa settimana, per la prima volta, in occasione del 65 ° anniversario delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, l'ambasciatore americano in Giappone ha partecipato alla cerimonia commemorativa per le vittime di Hiroshima. La città si aspetta anche una visita del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama a novembre.Il Giappone non ha dimenticato quello che gli americani hanno fatto , né gli americani hanno perdonato Pearl Harbor. Non è necessario dimenticare e perdonare, è soltanto necessario agire in modo civile e interiorizzare il fatto che c'è sempre un tempo per strappare e un tempo per cucire. David Ben Gurion e Moshe Sharett avevano capito anche questo: si sono conciliati con la Germania non solo per la questione del risarcimento Ma tuttavia, c'è qualcosa in più America, c'è un qualcosa in più a New York. La settimana scorsa, un comitato di cittadini ha deciso all'unanimità di autorizzare un grande centro islamico adiacente a Ground Zero. Le voci di coloro che erano contrari sono stati sommersi dalle voci di quelli che erano favorevoli .Non c'è niente di più fastidioso che l'affermazione che "tutti gli ebrei e tutti i sionisti sono uguali",annullando ogni differenza A volte, noi ebrei facciamo ciò che è odioso per noi a 1,5 miliardi di musulmani. Come noi, non tutti sono uguali né tutti la pensano allo stesso modo. Non tutti sono membri dei talebani o di Al-Qaeda, la maggior parte di loro sono rimasti inorriditi alla vista delle torri che crollavano o per il naso , le orecchie mozzate alle bambine 'che andavano a scuola .Sharif El-Gamal, per esempio, che ha progettato il piano per il centro islamico vicino a Ground Zero, rappresenta centinaia di migliaia di abitanti di New York : medici e avvocati, insegnanti e studenti, poliziotti e vigili del fuoco -che considerano Maometto il loro profeta: .Egli stesso appartiene al centro della comunità ebraica Side di Manhattan's Upper East. who initiated the plan for the Islamic center near Ground Zero, represents hundreds of thousands of New Yorkers - doctors and lawyers, teachers and students, policemen and firemen - who consider Mohammed their prophet. He himself belongs to the Jewish community center on Manhattan's Upper East Side. "My sister-in-law is Jewish," he says, "and this year, I was blessed with my first Jewish niece." AbrahamFoxman, capo della Anti-Defamation League, denuncia il piano come una "provocazione".
Perché tanta fretta nel respingere un edificio destinato a promuovere il dialogo interreligioso e garantisce che "l'estremismo non avrà spazio."Ogni persona responsabile deve cercare di ampliare il fronte moderato, isolando gli estremismi, Quelli che confondono la gente con buone intenzioni con quella che ha cattive intenzioni, consegneranno il mondo al caos o a Sodoma Questo è anche l'errore compiuto da YitzhakShamir e uomini del suo partito che continuano a cantare che "il mare è sempre lo stesso e gli arabi sono sempre gli stessi" ,paragonabile ad altre dichiarazioni abominevoli come "tutti I musulmani sono la stessa cosa.Perhaps it is the Jews who sometimes constitute the best proof that there is no inoculation against anti-Semitism.
2That being said, the Anti-Defamation League has only made matters worse with its call for sensitivity toward the families of victims. Given its claim to represent tolerance, and its Jewish underpinning, its public statement criticizing the trustees of the Cordoba Initiative is an embarrassment. If the ADL had an argument with the mosque, it could have dealt with it behind closed doors. The old bad ways of settling things privately and sensitively still have a lot to commend them wherever people of different persuasions live together.Fortunately, there are some American Muslims who are playing down the opposition, instead of rising to the bait. They point out that all immigrant groups have faced opposition at some stage. Even today, Orthodox Jews often encounter opposition − sometimes even from other Jews − to new construction, even to expanding their enclaves.The Ground Zero situation is even tougher for Muslims precisely because there are those among them around the world who believe in blowing innocent people up, including their coreligionists. This makes the tasks of moderates − to counteract fanatics − all the more vital. We must encourage those who seek moderation and reconciliation among ourselves and, in this case, among Muslims. And this may also be the time to assert that God is also in the “still, quiet voice.”

3  Gad Lerner :La fede di Obama e il mistero dell’islam   E’ un segno di decadenza dei popoli quando gli dèi cominciano ad essere comuni… Quanto più forte è un popolo, tanto più il suo dio è particolare”. Questo abbassamento di Dio a semplice attributo della nazionalità, finalizzato a indicare il popolo russo come l’unico popolo “portatore di Dio”, costituisce motivo di tormento per lo slavofilo Fedor Dostoevskij (“Chi non è ortodosso non può essere russo”), e anima un dialogo cruciale de “I demoni”: “Credo nella Russia, credo nella sua ortodossia… Credo nel corpo di Cristo… Credo che il nuovo avvento sarà in Russia… Credo… – si mise a balbettare Satov, in preda all’esaltazione”. E’ un afflato religioso di segno opposto quello che ha sospinto Barak Hussein Obama a pronunciarsi in difesa della costruzione di un centro comunitario islamico a Lower Manhattan, in prossimità di Ground Zero. Il discorso con cui Obama ha motivato la sua scomoda scelta, è stato innanzitutto il discorso di un credente. Fin dagli inizi della sua attività sociale e politica a Chicago egli ha rivendicato l’impegno pubblico come sviluppo conseguente della fede evangelica. Celebri sono i suoi richiami biblici, l’immaginarsi come un Giosuè chiamato a proseguire il cammino dei patriarchi dopo la schiavitù e la traversata del deserto. Guidando un popolo che è unico non certo perché esibisca l’idolo di un dostoevskijano “dio particolare” quale requisito d’appartenenza, ma al contrario perché capace di sommare le sue diversità.Anche la mia Pasqua ebraica è allietata dalle fotografie provenienti dalla Casa Bianca, dove il presidente americano figura come ospite e gusta il pane azzimo del seder insieme ai collaboratori. Così come lo vediamo ogni anni rompere il digiuno del Ramadan islamico partecipando alla cena dell’Iftar, celebrare il Natale cristiano e il Diwali indù.Sarà un bel giorno, temo lontano, quello in cui si celebreranno pure al Quirinale analoghe cerimonie di concittadinanza. Lungi dal proporre ambigui modelli di sincretismo, esse favoriscono il riconoscimento della funzione pubblica imprescindibile delle religioni, e di certo non offendono i non credenti. La laicità dello Stato non ne subisce alcuna minaccia.Lo ha spiegato Obama venerdì, nel suo breve ma storico discorso dell’Iftar: “Ad attestare la saggezza dei nostri fondatori, l’America è rimasta un Paese profondamente religioso: una nazione dove persone di confessioni diverse sono capaci di convivere pacificamente, nel rispetto reciproco, in netto contrasto con i conflitti religiosi tuttora in atto in altre parti del mondo”.Certo anche gli Stati Uniti, colpiti nove anni fa dall’attentato fondamentalista alle Torri gemelle, sono attraversati da una pulsione reazionaria tendente a plasmare la falsa tradizione di un “dio particolare” d’America –ad uso riservato di protestanti, cattolici, ortodossi e ebrei- contrapposto agli dèi altrui e quindi negatore del Dio comune. Ma a New York sono in attività cento moschee islamiche e nessuno, dopo l’11 settembre 2001, si è mai sognato di proporne la chiusura. Al contrario, il sindaco (ebreo) della metropoli, Michael Bloomberg, ha fin da subito condiviso il progetto di edificare vicino a Ground Zero un centro culturale e religioso islamico che il proprietario dell’area, un cittadino americano di madre polacca e padre egiziano, vuole intitolare alla mitica Cordoba, città-simbolo di una convivenza armoniosa tra fedi e saperi nella Spagna medievaleNew York ci appare così distante anni luce dalla nostra Milano, dove una volta ancora il Ramadan deve celebrarsi in una tensostruttura provvisoria visto che le autorità cittadine si rifiutano di consentirvi l’edificazione di una moschea. Litigano per accaparrarsi i fondi dell’esposizione universale convocata nel 2015, pensando seriamente che un incontro definito, appunto, “universale” possa svolgersi là dove si nega un’adeguata sede di culto a una religione che conta più di un miliardo di fedeli. Può darsi che il presidente Obama sia spaventato dalle divisioni suscitate tra gli americani dal suo discorso. Domenica ne ha minimizzato le conseguenze, precisando che le sue affermazioni di principio non vanno considerate un’interferenza nella decisione sul Centro Cordoba, spettante alle autorità cittadine. Ma prima che sopravvenissero i vincoli della realpolitik, è dal patrimonio della sua fede personale che Obama ha attinto l’ispirazione profetica. Sto parlando della fede in un Dio che apre gli occhi e i cuori, aiutandoci a ben distinguere fra l’islam nel suo insieme e al Qaeda. Un Dio fiducioso nelle virtù benefiche della preghiera e della riflessione culturale. Perché non credere che i musulmani riuniti in quell’edificio vicino al luogo-simbolo della memoria insanguinata di New York, ne potranno trarre ispirazione alla saggezza e alla condivisione del lutto? Destinati come già sono a vivere nella metropoli comune, lo spirito americano di cui Obama è un testimone li instrada a partecipare della sua contrizione. Chi viceversa si batte per un divieto che violerebbe la legislazione americana sulla proprietà privata e sulla libertà di culto, anteponendole motivi d’opportunità, sposa una visione statica e disanimata della religione. Sfiduciato e privo di fede, considera il monoteismo islamico perduto e riduce il suo grande mistero a mero fanatismo. Con la stessa miopia che in passato portò altri intolleranti a negare i diritti delle medesime confessioni che oggi pretende di cooptare nel suo falso “dio particolare” d’AmericaNon a caso fra i più accaniti condottieri della crociata contro “la moschea di Ground Zero” spiccano gli esponenti dei Tea parties che insistono nel chiamare Obama col suo secondo nome, Hussein, sostenendo che il presidente sia un infiltrato di al Qaeda al vertice degli Usa. Farneticazioni minoritarie disseminate come vox populi per gli ignoranti, da parte di chi non digerisce ancora l’accadimento dirompente rappresentato dall’elezione di un meticcio con sangue afroamericano alla Casa Bianca. Il corrispettivo italiano, lo conosciamo bene. Siede nei banchi del nostro governo. Definisce “imam” l’arcivescovo di Milano solo perché in assenza di una voce pubblica disposta a fronteggiare il pregiudizio nei confronti dei musulmani, osa chiedere che essi possano pregare in luoghi degni edificati a questo fine. Ma soprattutto il corrispettivo italiano degli avversari di Obama esprime in versione caricaturale, sia pure inconsapevole, la bestemmia slavofila narrata da Dostoevskij: secondo cui il sacro risiederebbe nel popolo stesso, in quanto legittimo portatore della tradizione quand’anche essa si sia distaccata, storicamente, dal Vangelo. Cittadinanza e battesimo come sinonimi; buoni a fronteggiare l’Altro, a prescindere dal credere e tanto meno dal testimoniare nei comportamenti di vita. Non a caso anche l’ebraismo si divide sulla vicenda della “moschea di Ground Zero”. Da una parte i favorevoli, come il sindaco Bloomberg, che agli argomenti di natura costituzionale affiancano il richiami ai principi fondamentali della Torah; dall’altra i contrari, guidati dall’Anti-Defamation League, i cui argomenti sempre meno derivano dalla Legge fondativa dell’ebraismo, affidandosi piuttosto a una sorta di nuova religione della Shoah. Il loro argomento è storico-emotivo: autorizzereste la costruzione di un centro culturale tedesco dentro Auschwitz? (Mia risposta personale: a duecento metri di distanza, perché no?Si tratta di esponenti mossi da finalità politiche, che vorrebbero però assolutizzare col ricatto morale, rivestendo arbitrariamente i panni dei portavoce delle vittime. Nella visione di costoro l’ebraismo, sul finire del suo quinto millennio, cercherebbe fondamento sempre meno nei principi biblici, e sempre più su una supposta rappresentanza degli sterminati. Temo questo abuso del senso di colpa, già manifestatosi ampiamente sui mass media statunitensi a proposito del Centro Cordoba di Manhattan, e che avvicinandosi il decennale dell’11 settembre 2001 vedrà scatenarsi la competizione per la “legittima” rappresentanza politica dei tremila caduti nell’attentato.Ignoro se sia concessa a un presidente degli Stati Uniti la possibilità di promuovere, nell’esercizio delle sue funzioni, una visione profetica. E’ difficile, improbabile. Ma quando dice sì a un impegno incrollabile per la libertà religiosa e afferma “Ecco, questa è l’America!”, noi sappiamo che Obama indica anche il destino di quel mosaico che è il mondo contemporaneo, una volta attraversata la stagione di conflitti che di religioso non hanno proprio nullaLa fede di Obama e il mistero dell’islam

4   Tobia Zevi, Ground zero

Perché gli ebrei dovrebbero essere contrari alla costruzione della moschea a Ground zero?
Per due ragioni, si dice: la loro sicurezza e quella dei newyorchesi sarebbe a rischio, e gli Stati Uniti darebbero un segnale di debolezza a un Islam aggressivo e sempre più prossimo alla conquista dell’Occidente. In subordine ci sarebbe un terzo argomento, il più debole: se si tira su la moschea allora bisognerebbe poter edificare una chiesa o una sinagoga – che so? - nello Yemen. Cosa peraltro assai auspicabile: ma che equivale a sostenere che a un operaio cinese non vanno riconosciuti i contributi poiché altrettanto farebbero in Cina.
Sicurezza. É chiaro che «Cordoba» sarà la moschea più sorvegliata al mondo, biglietto da visita dell’Islam nel cuore dell’Occidente, e mi pare improbabile che da lì possano partire attentati. Mi preoccuperei più degli scantinati sporchi dove sono costretti a pregare i musulmani italiani, luoghi sconosciuti, incontrollabili e indegni di un paese civileDebolezza. Obama ritiene che l’edificazione della moschea vicino a Ground zero non testimoni la debolezza, ma piuttosto la forza della democrazia americana, fedele ai propri principi fondativi del pluralismo e della libertà religiosa. Nel suo discorso profondamente spirituale il presidente non ha affermato un principio di laicità, estraneo all’etica pubblica americana, ma ha parlato religiosamente, guadagnandosi l’apprezzamento dei fedeli di tutte le religioni (si ricordi che per l’Islam l’ateo è assai peggiore di un altro monoteista).
Credo che Obama sia stato coraggioso, confermando anche il suo realismo (si pensi al suo sostanziale passo indietro sulla chiusura di Guantanamo). Un coraggio che manca ai politici di casa nostra, che fanno gli struzzi e fingono di ignorare il milione di musulmani italiani che non sanno dove pregare
. E credo che Obama meriti un plauso (un po’ sottotono per il successivo passetto indietro): nonostante due terzi degli americani siano contrari a questo progetto, un grande leader politico deve guidare i propri cittadini in taluni frangenti, senza occuparsi esclusivamente della loro pancia. Il gioco dei sondaggi, infatti, è pericoloso. Come risponderebbero gli italiani se venisse loro posta la seguente domanda: «Sei favorevole alla costruzione di una sinagoga (o di un centro ebraico, o di un museo della Shoah) nel tuo quartiere?»

5   Marco d'Eramo :I CROCIATI DI GROUND ZERO   Fan della guerra di civiltà, dei razzisti sudafricani e di Milosevic, Pamela Geller, fondatrice di «Stop the Islamization of America», ama presentarsi come una Nembo Girl davanti alla skyline newyorkese. La sua organizzazione, la più attiva contro il progetto di una moschea nella Lower Manhattan, a lanciato un'aggressiva campagna islamofoba che culminerà il prossimo 11 settembre La discussione sulla cosiddetta «Moschea di Ground Zero» (anche se ne dista circa 300 metri) ha scoperchiato un vero e proprio verminaio, quello dell'islamofobia dilagante negli Stati uniti. Come tutte le conventicole dietrologiche - convinte che la storia umana sia retta da occulte trame (masterplans) ordite dietro le quinte - o le sette in attesa della fine del mondo prossima ventura di cui conoscono già la data con esattezza, o dei culti che scrutano il cielo aspettando l'arrivo di un'astronave aliena a salvare i veri credenti della rovina di questa terra, anche la fede islamofobica espone senza pudore le sue paranoie e deduzioni deliranti. Ma quello che in questo caso impressiona è la catena di nessi che, di maglia in maglia, porta queste insensatezze fino ai grandi mass-media Usa, fino a Wall Street, fino a uno dei leader del Congresso degli Stati uniti, alla figlia di un ex vicepresidente e anche fino al Palazzo di vetro, all'ex ambasciatore Usa all'Onu: insomma lo slittamento progressivo dall'establishment alla demenza, andata e ritorno.L'organizzazione più attiva nell'opporsi alla costruzione (ormai approvata, anche se ancora non iniziata) di un Centro islamico di 13 piani nella Lower Manhattan è Sioa: Stop the Islamization of America fondata, animata e diretta da due bizzarri (e significativi) personaggi, Pamela Geller e Robert Spencer. Sioa ha acquisito un'enorme pubblicità grazie alla controversia delle sue campagne pubblicitarie sugli autobus delle linee comunali di varie città, tra cui New York, San Francisco, Miami (solo la città di Detroit ha rifiutato di affiggere gli spot di Sioa sui suoi mezzi). In una di queste pubblicità da un lato vi è l'immagine di un aereo che s'abbatte contro una delle Torri Gemelle e dall'altra vi è la maquette del proposto centro islamico da 13 piani, divisi dalla domanda «Perché qui?» (a sottintendere che gli islamici hanno distrutto l'una per erigere l'altro). Un'altra pubblicità invita gli islamici ad «abbandonare la falsità dell'Islam», e una terza offre protezione a chi eventualmente avesse accolto quest'invito, cioè agli apostati dell'Islam, contro le ritorsioni che li minaccerebbero («Stai abbandonando l'Islam? Una Fatwa sulla tua testa? La tua comunità o la tua famiglia ti stanno minacciando?»). I grandi Network, dalla Fox alla Cnn hanno invitato a discuterne la Geller, 51 anni, che non è donna da tirarsi indietro, proclive com'è a esibirsi. Il logo del suo sito è la sua figura vestita da Nembo Girl davanti alla skyline newyorkese, mentre il logo del suo magazine on line AtlasShrug.com è una silhouette femminile nuda sdraiata su un grattacielo newyorkese in una parodia di una fanzine di fantascienza degli anni '30. E un suo videoblog ormai famoso la mostra mentre si bagna nelle acque di una spiaggia israeliana attaccando Hamas ed Hezbollah, mettendo in guardia contro le mire espansionistiche dell'Islam e affermando che il suo ridotto bikini «è il mio burka».Contro ogni apparenza, Gellner non è una sprovveduta: prima di lanciarsi nella crociata contro l'Islam faceva carriera a Wall Street, poi è stata coeditrice del New York Observer. Già questo la fa uscire dalla marginalità: non solo questo settimanale ha ospitato per anni una column di Candace Bushnell su cui era basata la famosissima serie tv Sex and the City, ma - fatto ancora più curioso - il fondatore ed ex proprietario del NY Observer è stato anche, dal 1985 al 1995, proprietario del più importante settimanale della sinistra Usa, The NationPer la campagna contro la «moschea di Ground Zero», Geller e Spencer hanno messo in campo non solo Sioa, ma anche un altro sito web, Freedom Defence Initiative (Fdi), dove sostengono che sarebbe come costruire un tempio del Ku Klux Klan accanto a una chiesa nera in Alabama; o che, per i musulmani, questo centro è un monumento «trionfale» costruito in «terra di conquista»: per Sioa ed Fdi è in atto untakeover islamico sull'America, un lavorio sotterraneo da parte dei gruppi musulmani per imporre la sharia a tutti gli Stati uniti. Sioa offre quindi agli americani una «guida per chiunque in America si trovi di fronte a un'enorme mostruosa proposta di moschea nelle proprie cittadine». In questa campagna Geller e Spencer hanno ottenuto l'esplicito appoggio di Liz Cheney, la figlia dell'ex presidente di George Bush, Dick, e sopratttuo di Newt Gingrich, il leader che nel 1994 guidò la «rivoluzione repubblicana» che portò al Congresso Usa una stragrande maggioranza di deputati ultraconservatori. Gingrich parteciperà al meeting che Geller e Spencer stanno organizzando a Ground Zero per l'11 settembre, l'anniversario degli attentati del 2001. Su AtlasShrug, Pamela Geller appoggia i gruppi razzisti bianchi in Sudafrica, perché i neri starebbero perseguendovi il «genocidio» dei bianchi. Ma la Geller ha simpatie eclettiche visto che ha sempre difeso il fu presidente serbo Slobodan Milosevic (forse per le sue azioni contro i musulmani bosniaci e kosovari). Altro suo pupillo è l'olandese Geert Wilders, il leader di estrema destra che vorrebbe vietare il Corano e la costruzione di moschee. Anche Wilders parlerà al comizio dell'11 settembre, insieme a Gingrich. In realtà però quel che stanno costruendo Geller e Spencer - insieme con Wilders e con Trevor Kelway, portavoce della English Defence League (che oltre a essere anti-araba è anche anti-ebraica, insomma pienamente antisemitica) - è una rete di organizzazioni sorelle: Stop Islamization of Europe, Stop Islamization of Denmark, e poi «of England», «of France», e poi Germania, Norvegia, Romania, Russia, Svezia, Australia. Della coppia, Robert Spencer 48 anni, cattolico di origine ortodossa, è la faccia accademicamente più presentabile. Nel suo sito, Spencer elenca gli organismi militari o statali per cui ha eseguito consulenze o tenuto lezioni o partecipato a colloqui: il Comando Centrale degli Stati uniti, il Comando dell'esercito, il General Staff College, l'Army's Asymmetric Warfare Group, l'Fbi, la Joint Terrorism Task Force, la comunità dell'intelligence Usa, il Dipartimento di Stato, il ministero degli esteri tedesco. Due suoi libri sono entrati nella lista dei bestsellers del New York Times: The Politically Incorrect Guide to Islam (and the Crusades) («Guida politicamente scorretta all'Islam - e alle Crociate», 2005), The Thruth About Muhammad: Founder of the World's Most Intolerant Religion («La verità su Maometto: il fondatore della religione più intollerante del mondo», 2006)Fra i suoi ammiratori annovera anche John Bolton che - dopo aver teorizzato lo smantellamento delle «inutili» Nazioni unite - fu nominato da Bush ambasciatore Usa presso l'Onu. Non solo Bolton parteciperà - insieme a Gingrich e a Wilders - al comizio dell'11 settembre, ma ha scritto un'introduzione al libro di Geller e Spencer su Obama, Post-American Presidency, che descrive «il suo internazionalismo socialista, i suoi legami con gli odiatori dell'America e gli antisemiti, il suo razzismo esasperato. Sta tradendo Israele, attaccando la libertà di parola e rifiutando di compiere passi concreti per fermare il programma nucleare iraniano». Eppure l'ambasciatore Bolton applaude: «Questo libro conduce una crescente e sempre più ampia critica di Obama come il nostro primo presidente post-americano. Ciò di cui rende conto è disturbante, e le sue implicazioni lo sono ancora di più».
Così il cerchio si chiude e il settarismo catacombale emerge alla luce nei palazzi del potere. E la «guerra di civiltà» diventa un concetto che produce la sua stessa realtà. In questi casi non si sa mai se siamo troppo ipersensibili e ci preoccupiamo per un nonnulla, o se invece non somigliamo a quei lungimiranti sapientoni che sbeffeggiavano le idee di Hitler come deliri da osterie bavaresi.

6  Quando Ground Zero era una cittadella araba  Si chiamava "Little Syria" il quartiere mediorientale della città la punta di Manhattan, nell´800, era una piccola replica di Damasco. Donne velate e uomini in fez: a due passi dal luogo dove, molti anni dopo, sarebbero nate le Torri Gemelle. Il New York Times svela un realtà ormai dimenticata: "Serve a ricordare che qui nessuno può vantare diritti esclusivi" Ground Zero come Damasco o Beirut? Non è una profanazione, è solo un ritorno al passato. Le polemiche sulla moschea da costruire a due isolati dall´ex-cratere dell´11 settembre si arricchiscono di un nuovo colpo di scena. A movimentare la controversia stavolta non è l´intervento di Hamas, o il contributo di capitali sauditi, o la scomunica di qualche leader della destra repubblicana. È dagli archivi del Museum of the City of New York che riemerge una litografia di fine Ottocento intitolata "La Colonia Siriana". Il disegnatore, dal nome non proprio anglo-protestante (Bengough), illustra una scena tipica di una città araba. In primo piano una donna col velo. Sul retro un anziano col fez, seduto davanti all´uscio di casa, intento a fumare il narghilé. Mercanti e bancarelle come si vedono a Marrakech: stessa frutta esotica, stesse spezie, stessi tessuti colorati. Ma la scena del quadro, che il New York Times riproduce in prima pagina, è ambientata a Washington Street. Nella punta meridionale di Manhattan, vicino alla sede del municipio. Pochi isolati a Sud di Ground Zero, due secoli fa c´era il quartiere "Little Syria". Un pezzo di mondo arabo era a casa sua lì, molto prima che quella diventasse l´area del World Trade Center e dei potentati finanziari di Wall Street. Lo ricorda lo storico Jabaly Orfalea, autore di un saggio su "Gli Arabi Americani" e lui stesso di origini siriane. «Washington Street era una enclave di Medio Oriente dove gli arabi facevano commercio ambulante, lavoravano in misere botteghe artigianali, vivevano in dormitori collettivi. Mia nonna Jabaly Orfalea, arrivata a New York nel 1890, passeggiava per Washington Street offrendo la sua merce ai passanti». Il giornale più diffuso del quartiere si chiamava Al-Hoda. Le insegne dei negozi portavano i nomi dei Fratelli Sahadi, di Noor & Maloof, di Rahaim & Malhami. Oppure erano semplicemente scritte in arabo, incomprensibili per il resto della popolazione newyorchese. Uno studioso della storia cittadina, Konrad Bercovici, nel 1924 descriveva «le grida in arabo delle mamme che chiamavano i bambini,mescolate con le note di jazz di qualche locale, e con le bestemmie omeriche di un camionista» (la parte araba confinava con il quartiere greco).
A "Little Syria" i linotipisti delle tipografie adattavano le macchine per stampare in caratteri arabi anziché latini, nella casa editrice di Naoum Salloum Mokarzel. Lo stesso New York Times in un articolo del 1948 cantava le lodi del suo concorrente locale in lingua araba, Al-Hoda: «Ha consentito e stimolato una straordinaria crescita del giornalismo arabo». L´archivio del New York Times ha foto di pasticcerie arabe con le caratteristiche baklava, rosticcerie con la carne marinata e aromatizzata alla libanese, la shawarma. Datate del primo Novecento. A poche centinaia di metri da dove sarebbero sorte, ma molto più tardi, le Twin Towers.
A onor del vero l´impronta araba sul quartiere non coincideva con un influsso islamico. All´origine l´immigrazione a New York in provenienza dal Medio Oriente, in prevalenza dalla Palestina, era dominata da famiglie di religione cristiana. Anche siriani e libanesi erano soprattutto di fede cristiana. Al numero 103 della Washington Street c´era la cappella di San Giorgio, di rito melchita. Altri erano maroniti. C´erano anche arabi protestanti, convertiti dai missionari occidentali che a quell´epoca erano attivi nelle terre dell´Impero ottomano decadente. I musulmani rappresentavano solo il 5% sulla popolazione araba di Manhattan tra fine Ottocento e primo Novecento. Non risulta che ci fosse una moschea, mentre tre chiese servivano i libanesi e i siriani. Ma ritrovare quelle immagini d´epoca è una lezione. «Serve a ricordare - scrive David Dunlap sul New York Times - che questa città è fatta a strati, proprio come una baklava. Nessuno ha dei diritti esclusivi o definitivi su questo o quel quartiere».
L´aggressione di un tassista musulmano pugnalato da un cliente ieri a Manhattan ha rilanciato la paura che questo paese sia attraversato da un´ondata di "islamofobia". Ma è una psicosi contraddetta dai fatti. Solo nel 2001, l´anno dell´attacco di Al Qaeda alle Torri Gemelle, l´Fbi registrò un balzo nelle aggressioni o minacce verbali contro cittadini di fede musulmana: +1.600%. Una percentuale che fa impressione ma il numero assoluto era basso: 481 casi. Assai meno dei "reati di odio" contro i neri o i gay. Passato lo choc dell´11 settembre, già nel 2003 le aggressioni contro musulmani erano ridiscese a 149. Negli anni successivi si sono assestate sulla media di sempre, circa un centinaio all´anno. Su una popolazione americana di 300 milioni, con oltre 5 milioni di musulmani praticanti e dichiarati, non si può parlare di un´ondata di intolleranza. Come ai tempi in cui la nonna siriana Jabaly Orfalea sbarcò nella "Little Syria" di Manhattan per sfuggire alla miseria, all´oppressione e all´intolleranza religiosa, per molti arabi l´America è un paese più ospitale della loro terra d´origine. 

7  Motti Golani : che cosa ricordare e cosa dimenticare per gli Israeliani e per i palestinesi

8   rabbino Michael Friedland :Cosa può insegnare la Torah riguardo alla moschea di New York  La Torah, i cinque libri di Mosè, includono molte leggi che non si applicano più. Ma una legge apparentemente anacronistica ci insegna una lezione importante oggi.
Il libro del Deuteronomio include una legge riguardo all'omicidio accidentale. All'assassino non intenzionale è permesso di andare in una città in cui rifugiarsi per timore che la famiglia del deceduto uccida una persona innocente per vendetta e, uccidendo una persona che non merita la morte, porti una colpa di sangue sulla nazione.Il messaggio del Deuteronomio alla comunità è: fate attenzione, per desiderio di fare giustizia estirpando la cattiveria, a non sbagliare punendo l'innocente come se fosse colpevole di un crimine che non ha commesso.
Cosa ha a che fare questo racconto con la nostra vita di oggi? Riguardo alla costruzione del Centro comunitario musulmano accanto a Ground Zero, tempo che troppi stiano commettendo l'errore di cui parlava il Deuteronomio – punire l'innocente nel tentativo di portare i colpevoli alla giustizia.
La richiesta da parte degli organizzatori di questa comunità musulmana sembra mancare quella che in yiddish viene chiamata “saykhel”, o “buon senso”. Una sistemazione logistica differente avrebbe potuto rispondere agli stessi scopi del centro comunitario senza creare questa controversia e dare vita all'ancora irrisolta rabbia nei confronti di coloro che hanno ucciso nel nome dell'Islam.
Tuttavia, una volta che l'ok è stato concesso dalla Commissione di riferimento di New York, è semplicemente non appropriato e ingiusto opporsi al centro. L'America considera la libertà religiosa un valore sacro. I musulmani che stanno costruendo questo centro non sono degli hate-mongers (personaggio apparso nella serie dei “Fantastici 4” che istigava l'odio, ndt) né degli estremisti islamici. Vogliono un centro che coltivi il dialogo multiculturale e multireligioso attraverso le menti e i confini, come il 92nd street Y, un centro comunitario ebraico che è uno dei principali centri culturali e intellettuali della città.
Le persone che stanno dietro al centro hanno dichiarato la loro una missione di pace e volta alla comprensione reciproca. I leader ebrei che hanno lavorato con l'imam Feisal Abdul Rauf, il promotore del centro comunitario, parlano molto positivamente di lui, come di un uomo che davvero spera di aumentare la tolleranza all'interno della comunità musulmana. Mettendolo in termini semplici, questi musulmani sono il gruppo che gli estremisti islamici odiano di più perché rappresentano ciò che gli estremisti odiano: l'accettazione e il rispetto dei valori occidentali e dell'Illuminismoe persone religiose che hanno dei valori liberali come l'uguaglianza delle donne, l'accettazione dei gay e delle lesbiche, l'apprezzamento delle altre religioni e, ancora più importante, la capacità di guardare criticamente alla propria tradizione religiosa, dovrebbero sostenere e incoraggiare lo sviluppo dei centri culturali musulmani che sono aperti ai valori liberali occidentali. […]Un centro culturale musulmano accanto a Ground Zero non è un insulto ma piuttosto il passo successivo verso la vittoria nei confronti della visione ristretta, dura e intollerante degli estremisti islamici. Cerchiamo, nel nostro comune desiderio di punire i responsabili dei crimini dell'11 settembre, di non colpire l'innocente e di far cadere la nostra nazione preda di quell'intolleranza che contrastiamo negli altri.
* Il rabbino Michael Friedland è stato presidente della United Religious Community

9   Familiari vittime dell'11 settembre: sì alla Moschea al Ground Zero   Sintesi di alcune frasi
Non ci opponiamo alla costruzione della Moschea per un atto di pace e di riconciliazione.Non giustifico gli atti di terrorismo - atti criminali perpetrati contro i civili... non credo che la risposta immediata agli atti di violenza debba essere la punizione o la bomba Io non sono ingenua , non sono pacifista..la mia bambina è morta e mi manca profondamente.....non ho intenzione di andare alla cerimonia per il Ground Zero perchè viene usata politicamente, trascorrerò quel giorno ricordando . Condivido le parole di Hedy Epstein,sopravvissuta all'Olocausto “The biggest danger, the biggest threat to America is that we will scare ourselves into fascism, or into war. That is, I think, the biggest danger here."9-11 bereaved families group: We support efforts to build NYC Islamic center

10   Riscoprire l’America – tra libertà religiosa e islamofobia

La fede guarisce. La fede è quella forza che illumina gli angoli e gli anfratti più bui dell’universo per rivelare il cammino da percorrere. La fede unisce e rende potenti. Essa genera speranza e ci aiuta a costruire un mondo migliore, non a distruggerlo. Fede significa pace. Fede significa amore. La fede è ciò che fa ruotare la terra attorno al suo asse e che muove l’universo. Perché, allora, il mondo sta dando i numeri per un’innocua moschea? Una moschea è una moschea, sia che si trovi alla Mecca o a Manhattan. Il centro Cordoba House avrebbe dovuto rappresentare il netto rifiuto dell’odio e dell’estremismo simboleggiato dagli attacchi dell’11 settembre, e costituire la testimonianza di un nuovo inizio fra l’America e il mondo musulmano. Invece, siamo di fronte al caso più esplosivo che, dall’11 settembre, abbia infiammato le relazioni USA-comunità islamica. L’episodio ha prodotto una nuova ondata di islamofobia in America e in Occidente, offrendo alla frangia estremista su entrambe le sponde dell’Atlantico una nuova occasione per attaccare i musulmani. Pertanto, leader come il sindaco di New York Michael Bloomberg hanno avuto davvero coraggio a esporsi per acclamare il centro islamico, chiamato adesso Park 51. In realtà, se il presidente Barack Obama ha trovato il coraggio di sostenere l’idea della moschea alla cena dell’Iftar organizzata dalla Casa Bianca, potrebbe essere stato incentivato a farlo dopo che il sindaco ebreo di New York aveva appoggiato in maniera appassionata ed eloquente il progetto, guadagnandosi elogi e approvazione generali.
Proprio quando la schiera degli sconfortati ammiratori di Obama, incluso il sottoscritto, stava cominciando a perdere ogni speranza, essa sembra aver ritrovato il proprio perduto eroe o almeno parte della sua scomparsa magia e magnificenza.
Com’era prevedibile, il discorso dell’Iftar ha spalancato le porte alla rabbia e a tutto il veleno di una islamofobia a lungo repressa. Persino i cronisti e gli analisti più liberali e benevoli sembrano essere rimasti sorpresi, e nient’affatto piacevolmente, dall’appoggio del presidente a una causa apparentemente persa. Si devono guardare attentamente reti televisive come Fox News ed esaminare la cronaca e i blog dei media americani per avere un’idea dell’offensiva al grido di “Stanno arrivando i musulmani!” che sta scuotendo in lungo e in largo l’America. E non sono solo stupidi estremisti ma repubblicani di vecchia data come Rush Limbaugh (“L’imam Hussein Obama è il miglior presidente antiamericano che abbiamo mai avuto”) a guidare l’offensiva.
Bisogna riconoscere a Obama che ha resistito con grande dignità di fronte al ciclone che ora minaccia la sua presidenza e sicuramente la sua rielezione. Il presidente USA ha rifiutato di farsi intimidire dalla soffocante pressione collettiva gettatagli addosso dai neocon, dai sapientoni dei media e da lobby e cospiratori vari. L’intervista alla NBC di lunedì notte ha rappresentato un’impresa senza precedenti nel punto in cui Obama ha dichiarato: “Se si può costruire una chiesa in quel luogo, o una sinagoga o un tempio, allora non possiamo trattare le persone di religione islamica in un’altra maniera”. Parole semplici ma storiche nella loro portata e solennità.Non invidio affatto Obama. La pressione è eccessiva per il presidente, essendo questo un anno di elezioni, mentre sia i democratici che i repubblicani sono già in fermento per il grande scontro del 2012. Questi non sono i tempi migliori per difendere i musulmani. Specialmente quando, secondo gli ultimi sondaggi d’opinione, un americano su cinque si è convinto che il loro presidente sia segretamente un musulmano. Tanto che la Casa Bianca ha dovuto dichiarare in una nota che Obama non è un musulmano come suo padre, ma un cristiano praticante.
Ma questa è una sfida a cui Obama non si può sottrarre. Piaccia o no, la polemica su Ground Zero non è diventata solo una prova del fuoco per la sua stessa leadership, ma una prova del nove per l’America in quanto nazione, in considerazione di ciò che da tempo afferma di essere: la terra della libertà dove chiunque è benvenuto, a prescindere dalla sua provenienza, da chi egli sia ed a quale dio rivolga le sue preghiere. È quest’immagine dell’America che ha attirato sognatori da tutto il mondo, inclusi quelli dai paesi islamici che hanno messo la loro vita in pericolo per raggiungere questo “Eldorado”.
Tale fama è sopravvissuta alla doppiezza di Washington in Medio Oriente, ai numerosi conflitti nel mondo musulmano e alla vergogna di Abu Ghraib, di Guantanamo Bay e di altre atrocità. Persino oggi, milioni di arabi e musulmani darebbero il loro braccio destro per sfuggire all’oppressiva tirannia e alla povertà dei propri paesi e vivere il sogno americano. Ciò è dovuto principalmente all’autentica libertà politica e religiosa che l’America storicamente offre a tutti, senza tener conto del colore della pelle o delle origini.
Dunque, questo continuo azzuffarsi per la moschea è sgradevole e colpisce al cuore l’America di Thomas Jefferson e di Abe Lincoln. Quella che si pensava sarebbe stata un’opportunità di dialogo e di riconciliazione fra l’America e la comunità musulmana, adesso, minaccia di rendere più profonde le divergenze. In verità, attualmente il dibattito, così animato negli Stati Uniti, si sta diffondendo in tutto il mondo. L’intera faccenda è divenuta un simbolo delle difficili relazioni fra America e mondo islamico, rimanendo intrappolata nella stessa velenosa questione dello scontro di civiltà che sta prendendo piede in tutto l’Occidente, con in aggiunta il bando sul velo e sui minareti in Europa.Angosciati dalla campagna sempre più violenta, molti musulmani e altre voci assennate hanno suggerito di annullare l’intera faccenda, dato che edificare una moschea così vicina al luogo che è stato teatro di attentati compiuti da presunti musulmani aggiungerebbe un affronto al dolore. Ma, secondo la stessa logica, opporsi alla moschea perché potrebbero esserci alcuni musulmani dietro gli attacchi vuol dire associare tutti i credenti alla vergogna dell’11 settembre.
Quando si associano tutti i musulmani agli attacchi, si collega il terrorismo all’Islam; cosa che sarebbe l’ultimo affronto contro una religione che esiste da circa 15 secoli, molto prima che al-Qaeda e l’America vedessero la luce. Come sostiene il fautore del progetto Cordoba, equivarrebbe a biasimare il cristianesimo per i crimini contro l’umanità di Hitler.
Per quanto spiacevole e deplorevole sia stato l’11 settembre, esso non ha niente a che fare con l’Islam o con i musulmani. Nessuna religione approva la violenza contro gli innocenti, specialmente non una fede che mette ripetutamente in guardia contro gli spargimenti di sangue e il causare sofferenza sulla terra di Dio. Uccidi un essere umano e ucciderai l’umanità intera, ammonisce il Corano; salva una vita e salverai tutto il genere umano.
Sia che, alla fine, il progetto della moschea vada avanti o meno, è tempo che il mondo smetta di biasimare l’Islam e di punire i musulmani per le azioni violente di un gruppo di fanatici, poiché quest’ultimi non rappresentano né parlano a nome di un miliardo e mezzo di credenti o della loro fede. Essi impersonano, se impersonano qualcosa, un culto nichilistico della morte, non l’Islam che rispetta la vita in tutta la sua meravigliosa varietà.
Inoltre, se può essere di consolazione per qualcuno, c’erano molti musulmani fra le vittime dell’11 settembre 2001. Coloro che si oppongono al progetto Park 51 non respingono solo l’Islam o i musulmani; essi finiscono per giustificare la causa degli estremisti. L’odio genera odio. Si può combattere l’odio unicamente con l’amore, non con maggiore odio.
Aijaz Zaka Syed è un opinionista ed editorialista del “Khaleej Times”, quotidiano degli Emirati Arabi Uniti; originario di Hyderabad, in India, collabora anche con numerosi altri giornali arabi

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Il Nuovo Antisemitismo: video

Articolo : " Last week Daniel Luban had an important piece in the Tablet comparing the current wave of Islamophobia, spearheaded by the opposition to Park 51 in New York, with "many of the tropes of classic anti-Semitism." Luban notes the shameful, and given the comparison, ironic, role of Jews in this surge of hate:"continua Islamophobia as the New Antisemitism Eurabia e islamofobia : un logo funzionale a molti





12 Il reverendo Terry Jones e il falò del Corano
Nessuno fermerà il talebano cristiano, reverendo Terry Jones (foto), che, per ricordare il nono anniversario dell’11 settembre, ha organizzato la “giornata del falò del Corano” libro che, in una sua pubblicazione, definisce ispirato da Satana.L’appuntamento per il rogo è fissato dalle sei alle nove di sera di sabato a Gainsville in Florida e si prevede che varie centinaia di copie del libro sacro alla religione musulmana saranno bruciate.Ciò avverrà nonostante il generale David Petraeus, comandante in capo in Afghanistan, abbia denunciato che il reverendo mette a rischio vite di soldati statunitensi e decine di autorità da Hillary Clinton in giù, nel paese e all’estero abbiano denunciato come vergognosa, stupida, pericolosa l’iniziativa.L’annuncio di Jones ha già fatto il giro del mondo ed è nelle prime pagine di paesi musulmani come l’Indonesia o l’Egitto e non è escluso che ci possano essere manifestazioni di ripudio e perfino violenza come in altri casi di espliciti atti di islamofobia come quelli dei quali si rese protagonista un ministro del governo italiano, Roberto Calderoli, della Lega Nord.Nonostante la comunità religiosa di Jones sia di entità trascurabile è riuscita dunque a far parlare di sé in tutto il mondo lanciando una campagna d’odio che non resterà senza conseguenze.Nell’America di Glenn Beck e Sarah Palin sono molti i segnali di un revanscismo fascistoide e razzista che punta ad isolare e criminalizzare la comunità islamica, considerata spesso in toto come responsabile degli attentati dell’11 settembre 2001, archiviare al più presto la parentesi Obama e rilanciare tempeste di fuoco sul medio Oriente e sulla riottosa America Latina.
2gli ebrei tedeschi condannano il falò del Corano Leader del gruppo ebraico tedesco condanna la decisione di un pastore cristiano della Florida di bruciare il Corano per l'anniversario del 9 / 11, affermando che evoca le uccisioni di massa degli ebrei durante l'Olocausto , avvenuto subito dopo il falò nazista dei libri ."Dove si bruciano i libri, alla fine si bruciano le persone", ha scritto in una nota, facendo riferimento a una citazione da 19 ° secolo di Heinrich Heine, incisa su una lapide nel centro di Berlino per ricordare quanto accadde .Anche leader religiosi Usa hanno condannato con fermezza tale ipotesi definendo una "frenesia anti-musulmani" l'estremismo di alcuni gruppi che si preparano a ricordare l'attentato dell' !1 settembre a NY .Jews slam Koran burning

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