Gaza: due ragazze , il surf , la libertà




1  Lontano dalla  realtà di Gaza , oltre la sua costa inquinata, Shorouq e Sabah Abu Ghanem navigano  in un mondo tutto loro   .Essi possono nuotare fino a 6 miglia, immergersi fino  a 25 metri e  fare surf su  tavole di plastica  sperando di sostituirle  un giorno con modelli da competizione."Nel mare trovo la mia libertà. Mi sento libera da tutto ciò che lascio  SULLA TERRA .Gaza è sotto assedio. Ci mancano le tavole da surf, l' attrezzatura subacquea. Ci mancano molte cose. Ma in mare non importa».   ha dichiarato Shorouq.di 13 anni

Gaza girls find freedom on waves




2  Gaza : L'assedio contro il Surf




1 Quando le case della gente vengono distrutte e bambini di altre persone vengono divisi dai loro genitori per anni ,il surf non sembra la causa più pressante per la quale battersi.Un gruppo disorganizzato di ragazzi israeliani, attivisti internazionali e uno dei padri fondatori del surf ha deciso questo .A Gaza la gente non può comprare le tavole e l'IDF proibisce di consegnare quelle donate, loro non demordono e continuano a insistere: vogliono che anche i palestinesi possano solcare le onde blu del mareSurfing for Peace in Gaza 2 Surfisti a Gaza, le onde della libertà - Tira vento, oggi, e non tirano razzi. E l' acqua non sembra troppo sporca. Un po' fredda, magari, ma non è questo che ferma Mohammed Abu Jayyab. La tavola rosa e scheggiata con lo squalo incollato a prua è già paraffinata. La muta ha un rattoppo sulla coscia: «Me ne deve arrivare una nuova dai tunnel...». È dal 1996 che Mohammed non esce da Gaza. Ragazzino, guardava le onde. Adulto, le studia. Prova a scivolarci sopra, gli dissero una volta. Lui ci provò e ormai non sa fare altro: un po' d' increspature e via, al largo, a intubarsi, a droppare gli avversari, a cavalcare qualunque acqua. Bastano due metri d' onda: «Quando vedo in tv su che cosa surfano alle Hawaii o in Australia, mi metterei a urlare. Ma alla fine penso che vada bene anche questo mare. Bisogna avere pazienza». Pazienza, sì. L' onda buona, c' è tempo per aspettarla. Il mercoledì è sempre da leoni: leoni in gabbia. E a Gaza è uguale al giovedì, al venerdì, a qualunque giorno di qualunque mese di qualunque anno. «Il mare è l' unico che porta qualcosa di buono», dicono i ragazzi della Sheik Khadzien Beach, la spiaggia dei surfisti. «Le onde del Mediterraneo sono la nostra via di fuga. Le cavalchi e almeno in quell' attimo sei libero. Non ci sono paure, non c' è la vita da reclusi. È un momento di libertà». Hanno fondato il Gaza Surf Club. Quaranta soci: «Noi usciamo sempre. Anche quando là in fondo ci sono le motovedette israeliane e non escono i pescatori». Un raggio di sole, la spiaggia si riempie di ragazzini col pallone, donne velate, fumatori di narghilé e poi loro, i surfisti. «All' inizio ci guardavano strano. Poi si sono tutti abituati». Il vento della costa è più forte del vento dell' Islam. A farlo soffiare per il verso giusto, fu un tosto californiano di 89 anni: Dorian «Doc» Paskowitz, ebreo, una vita sulle onde del Pacifico, pioniere del surf nell' Israele del 1956 («fui il primo, sulla Frishman Beach di Tel Aviv») e profeta a Gaza nel 2007. Qui cavalcavano le onde i coloni israeliani, finché non se ne dovettero andare. I palestinesi, niente: «Un giorno ho visto una foto sul Los Angeles Times - racconta Doc -, c' erano due ragazzi con un surf mezzo scassato. os Angeles Times - racconta Doc -, c' erano due ragazzi con un surf mezzo scassato. Ho deciso che sidoveva fare qualcosa». Doc attraversò il mondo e una mattina si presentò al valico di Erez con quindici tavole nuove di zecca. I soldati israeliani erano basìti: «Dissi: non vorrete fare un torto a un vecchio ebreo che vuole insegnare il surf? Mi fecero passare». A Gaza si pigia un milione e mezzo di palestinesi. C' è un tasso di disoccupazione del 40 per cento: chi non lavora per Hamas, chi non sta coi turboislamici, è a spasso. Il Mediterraneo è il più inquinato: ogni giorno si rovesciano 60 milioni di litri d' acqua fognaria, poco o nulla filtrata. Il vibrione non spaventa, però, e surfare è una fede. «God went surfing with the Devil» è il titolo d' un film - Dio andò a surfare col diavolo - che racconta d' un palestinese e d' un israeliano, al di qua e al di là del blocco, che aspettano la stessa onda e la stessa pace: è venuto a girarlo un regista californiano e a Santa Barbara, quando l' hanno proiettato, il pubblico di Hollywood s' è alzato ad applaudire. «Siamo gente come voi - dice Mohammed -. Ci piace lo sport, il mare, la vita». Si fanno i campionati, si danno le medaglie. Sempre fra quei quaranta. Sempre sulla stessa fibra di vetro e con le stesse mute sfibrate, che importa: «Il mio miglior amico è Taha Bakir. Ci sfidiamo tutte le settimane. Io sto con Hamas, lui è del Fatah...»Quando se lo dicono, se lo dicono laggiù. E il mare copre le loro voci. Francesco Battistini Pagina 20(24 aprile 2010) - Corriere della Sera


Commenti

Post popolari in questo blog

Alberi,piante e fiori della Palestina: i gelsi

Hilo Glazer : Nelle Prealpi italiane, gli israeliani stanno creando una comunità di espatriati. Iniziative simili non sono così rare

Né Ashkenaziti né Sefarditi: gli Ebrei italiani sono un mistero - JoiMag

Lesbo : tre nonne e un nipotino venuto dal mare