Chi è ebreo? La risposta di Yeshayahu Leibowitz

Chi è ebreo? La risposta di Yeshayahu Leibowitz
Questionario d'inchiesta e risposta, «Haraaiòn», rivista del Bene Berith, 1969.
Il senso della domanda «chi è ebreo» è: chi possa essere considerato membro della collettività d'Israele, in forza d'un retaggio o di una conversione all'Ebraismo. La registrazione di un individuo come ebreo non ne definisce né la concezione di vita né l'origine razziale o nazionale, bensì riscontra il fatto che questi appartiene alla collettività ebraica.
Lo Stato d'Israele si è dichiarato Stato laico e non «teocratico», ma non ha modificato la definizione dell'Ebraismo. Ebreo non è un concetto razziale o nazionale, ma religioso, e la «Legge del ritorno» vige non per gli appartenenti al ceppo etnico israelitico, ma anche per chi sia solo di madre ebrea. Anche la definizione anagrafica del residente quale ebreo non è che una definizione religiosa. Si pongono dunque le seguenti domande:
1) Stato d'Israele: Stato di diritto o di Halachà?
2) Quali sono i particolari criteri di definizione del popolo d'Israele? La categoria nazionale è forse determinata anche oggi da un criterio religioso?
3) Quella «della madre» è l'unica verifica pertinente ai fini dell'accezione laica del termine «ebreo» - o non è piuttosto decisivo un rapporto sostanziale con l'Ebraismo e la vita ebraica in Israele?
4) Costituisce Israele una garanzia della continuità storica dell'ebraismo? E quali sono, e come coltivare, i valori che assicurano un'esistenza eterna al popolo nello Stato e nella diaspora?
La risposta di Yeshayahu Leibowitz
Rispondo alle domande dell'inchiesta non nell'ordine in cui sono state formulate, ma secondo un ordine che mi sembra logico-sistematico.
2) «Per una definizione del popolo d'Israele». Nella realtà storica e politica non esiste una definizione oggettiva di «popolo», valida per tutti i collettivi umani riconosciuti quali «popoli», sia apparsi in una certa epoca sul palcoscenico della storia sia esistenti come «popoli» oggi. Popoli diversi sono privi di segni di riconoscimento comuni, e mancano criteri generali determinati che definiscano un certo gruppo umano quale «popolo»: esistono presso ogni popolo degli specifici elementi d'identità, peculiarmente ed esclusivamente suoi; sono essi a farne un «popolo» distinto, e differiscono in genere dagli elementi che servono a stabilire l'identità di un altro popolo. Fra gli elementi che fungono da criteri e tratti distintivi d'identità in nazioni diverse vi sono a volte differenze non solo qualitative ma addirittura categoriali.
Ed ecco alcuni esempi:
a) Da almeno un migliaio di anni la nazione svedese si distingue per la sua unità territoriale, per la sua unità politica (sia quale Stato indipendente che quale Stato unificatosi con altri nel corso della storia), per la sua uniformità etnica (antropologico- razziale), per la sua peculiarità linguistica e culturale-letteraria, e parimenti per la suauniformità religiosa. Tutti questi tratti «nazionali» sono presenti, ad esempio, anche nella nazione francese (eccetto, forse, l'uniformità di origine etnica), ma mancano per lo più in quella tedesca!
b) La nazione indiana esiste da almeno tremila anni quale gruppo nettamente separato da ogni altro gruppo umano della storia, sebbene i suoi appartenenti non abbiano mai posseduto una lingua in comune (in India oggi si riconoscono quattordici lingue ufficiali e circa settecento dialetti), ed essa stessa non abbia mai raggiunto l'unità politica (anche gli imperi della dinastia Maurya nei secoli III e II a.E.V. e dei mongoli nei secoli XVI e XVII d.E.V. non si estesero che a grosse parti dell'India, e fu solo il governo coloniale britannico a creare artificialmente una struttura pan indiana). L'Induismo non è una religione ma un mosaico di fedi e culti, e della nazione indiana fanno parte anche mussulmani (attualmente il presidente della repubblica è mussulmano!), sikh e jainisti, all'Induismo radicalmente avversi; da un punto di vista antropologico-razziale la nazione indiana deriva da alcuni ceppi in passato assolutamente estranei l'uno all'altro (armi, dravidi e via dicendo), le cui differenze sono tutt'oggi nettamente avvertibili. Ma non solo: l'intera nazione era (ed è in misura notevole tutt'oggi) suddivisa in caste, che erano (e sono) separate da interdizioni nuziali, il che significa che individui appartenenti alla stessa nazione non potevano sposarsi fra loro. Malgrado tutto ciò la nazione indiana è stata un'entità concretissima – grazie a uno specifico regime sociale e a un comune sistema di vita. Tuttavia l'India, che per migliaia di anni era stata un'unica nazione, si è recentemente scissa a causa del dissidio religioso, che non coincide con nessun contrasto razziale o linguistico, e la maggioranza dei mussulmani (non la totalità!) se ne sono staccati. Gli abitanti del Bengala Orientale e quelli del Bengala Occidentale sentono di appartenere a due nazioni diverse, separatesi ventidue anni fa con un terribile spargimento di sangue, sebbene parlino la stessa lingua (il bengalese) e che da sempre abbiano fatto parte di un'unica struttura politica.
c) Il gruppo nazionale dalla più spiccata peculiarità in tutta la storia del mondo occidentale fu la nazione greca, e i greci stessi sentivano che la linea di demarcazione all'interno dell'umanità era la linea che separava gli «elleni» dai «barbari». Tuttavia quel popolo ellenico non possedeva uno Stato ma delle «città», ciascuna delle quali chiusa ermeticamente in se stessa; né quel popolo era in possesso di una continuità territoriale, essendo sparse le città-stato greche in territori di popolazioni straniere, dall'Asia Minore e la penisola di Crimea all'Italia meridionale e al Sud della Francia. Una fusione di tali città- stato in un'unica struttura nazionale e politica non era possibile: un greco non spartano, ad esempio, non poteva diventare spartano in nessun modo e a nessuna condizione. Ma con tutto ciò gli era perfettamente chiaro - cosi come lo è anche a noi - il concetto di popolo greco, definito da elementi nazionali comuni e specificamente propri: lo Zèus panellenico, il Santuario di Delfo, i canti di Omero, i giochi panellenici (Olimpia), ecc.
d) Viceversa il popolo romano era univocamente definito dalla cittadinanza romana, persino nel periodo in cui imperava ancora un assoluto divieto di nozze fra i suoi due gruppi, i patrizi e i plebei. Col volgere del tempo la cittadinanza romana venne concessa a tutte le popolazioni e tribù italiche non-romane, che divennero romane, e in seguito tali divennero persone di ogni razza, religione e lingua nelle province; tutti - eccetto gli ebrei - lo divennero anche nell'intimo. I greco-bizantini, il cui territorio non comprendeva Roma, si considerarono e definirono romani sino alla caduta di Costantinopoli.
e) Un gruppo nazionale di spicco nella storia europea è la nazione tedesca. Eppure - a parte lo scisma religioso che vi perdura da circa 450 anni e la mancanza d'unità politica nel corso di quasi tutta la sua storia - è forse possibile determinare oggettivamente sotto che aspetto
 dodici milioni di austro-tedeschi e svizzeri-tedeschi facciano o non facciano parte della nazione tedesca?
f) E che norma applicare ai cento milioni di uomini parlanti arabo, di razze diverse e di diverse origini storiche, dall'Oceano Atlantico al Golfo Persico, che si autodefiniscono arabi? Secondo che criteri comuni a loro e ad altri popoli bisogna riconoscerli come un unico «popolo», e secondo che criteri esistenti presso altre nazioni bisogna considerarli come vari popoli distinti?
E a tutti questi potrebbero essere aggiunti numerosi altri esempi.
Il popolo ebraico - quale dato storico-empirico - è parimenti definito da migliaia di anni solo da segni di riconoscimento specificamente e peculiarmente suoi e solo suoi, e questi segni erano l'Ebraismo, rappresentato in concreto dalla Torà e dalle mizwòt. Abolito questo criterio, è abolita l'identità storica del popolo ebraico, che non era definita da nessuna delle «categorie nazionali» moderne le quali a loro volta, come si è detto sopra, non sono univoche.
3) A proposito della «verifica della madre», dell'accezione laica del termine ebreo» e del «rapporto sostanziale con l'Ebraismo» (quale Ebraismo??). Il criterio storico-empirico, che è il criterio religioso, di appartenenza al popolo d'Israele, definisce ebreo chi sia nato da madre ebrea e chi si converta all'Ebraismo secondo tutte le regole giuridico-rituali. Ogni tentativo di definire l'odierno popolo d'Israele in base a criteri non esprimenti la sua essenza storica effettiva, equivale a un tentativo di creare una nuova nazione, avente in comune con il popolo ebraico storico solo il nome, ma in realtà non costituente un proseguimento della sostanza storica di quel popolo, e il cui rapporto con esso è più aleatorio di quello del popolo greco d'oggi con il popolo greco dell'antichità. La creazione artificiale di una nuova nazione, definita come tale solo in termini formali di nazionalità e priva di un suo contenuto specifico, è insensata ed ingiustificata. Se non ci sentiamo più ebrei nel senso storico-empirico del concetto, in quanto del concetto abbiamo invalidato la sostanza, a qual pro sforzarci di essere «ebrei»? Meglio essere cosmopoliti e assimilarci in diversi settori dell'umanità. A qual pro fondare e tenere in vita uno Stato (la cui esistenza non è che fonte di un'atroce conflitto tra Stati), se esso non costituisce l'ambito d'esistenza di un contenuto specifico?
4) A proposito di «Israele come garanzia della continuità storica dell'Ebraismo». Lo Stato d'Israele, che non è che un ingranaggio di potere politico portante il nome d'Israele, non rappresenta una garanzia della continuità storica dell'Ebraismo (quale Ebraismo??). Non c'è proprio nulla che possa «assicurare (!!) un'esistenza eterna (!!) al popolo (definito in base a che?) nello Stato e nella diaspora». Fondare l'esistenza di un popolo - che non abbia né una specifica sostanza culturale e spirituale né uno specifico sistema di vita - sullo Stato, ossia sull'ingranaggio del potere, è l'essenza dell'ideologia fascista. A qual pro tenere in vita un popolo «ebraico» la cui sostanza non sia altro che una sovranità «ebraica» una bandiera «ebraica», un governo «ebraico», un esercito «ebraico» e tutti gli altri accessori del cannibalismo nazionalista?
1) A proposito di «Israele come Stato di Halachà o di diritto». Lo Stato d'Israele è sostanzialmente laico e sostanzialmente laico rimarrà necessariamente - a meno che non si verifichi nel popolo ebraico un'enorme rivoluzione spirituale e sociale. La laicità di questo Stato non è solo settaria - non rispecchia cioè solo l'indirizzo delle forze sociali che vi detengono il potere -, ma sostanziale: lo Stato non fu fondato né in virtù della Torà né per una spinta derivante dalla Torà né allo scopo di osservare la Torà né con la guida dellaTorà o secondo i suoi insegnamenti, e non è la Torà a dirigerlo. Il principio che «lo Stato d'Israele è uno Stato di diritto e non uno Stato di Halachà», è il fondamento riconosciuto da tutti - anche dai «religiosi» per le procedure, la direzione e l'amministrazione di questo Stato, creato dall'azione comune di ebrei chiamati «religiosi» ed ebrei chiamati «miscredenti», i quali agirono concordemente da patrioti ebrei, per un naturale impulso umano privo di significato religioso. Tutte le leggi di questo Stato, promulgate da un'autorità laica, sono leggi laiche, e se vi compaiono dettagli recanti impresso un marchio religioso, ciò comporta proprio una profanazione del nome di Dio, uno svilimento della Torà e lo sfacelo della religione, in quanto non sono legiferati a fini religiosi ma per calcoli politici e interessi di governo. La partecipazione dell'Ebraismo religioso (ufficiale) alla coalizione governativa laica, in cambio di illusori successi religiosi, è espressione dell'accordo fra «religiosi» e «miscredenti» di spartirsi il dominio su uno Stato laico che goda della pubblica reputazione di religioso. Laddove dal punto di vista ebraico nella sua accezione storica e religiosa detto Stato doveva essere il luogo dello scontro fra Ebraismo della Torà, da un lato, e popolo e governo laici dall'altro, come già fu lo Stato del popolo d'Israele all'epoca del primo e secondo Tempio.
Tratto da “Ebraismo, popolo ebraico e stato d’Israele”, a cura di Ariel Rathaus, Carucci Editore – DAC, 1980 (esaurito).
Yeshayahu Leibowitz su Morashà:
http://www.morasha.it/leibowitz/index.html

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