Arrigo Levi: Finite le illusioni di Israele

L’invito a «sostenere Mubarak», rivolto da Israele agli Stati Uniti e ai Paesi europei, non sembra davvero una reazione adeguata alla potenziale estrema gravità, per lo Stato ebraico, di un cambiamento di regime in Egitto. L’atteggiamento dominante, e il solo per ora possibile, a Washington come nelle capitali europee, è di «wait and hope», aspettare e sperare. Nessuno, in Occidente, può o avrebbe potuto «sostenere Mubarak»: e come? Mandando cannoniere di fronte ai porti egiziani? L’Occidente altro non può fare che aspettare gli sviluppi di quelle che sono ancora le fasi iniziali di una vera e propria rivoluzione, di cui nessuno può prevedere gli sviluppi; e auspicare, dichiarandolo apertamente, che essa conduca alla nascita di una democrazia egiziana, e non alla fondazione di un «Medio Oriente islamico che faccia finalmente i conti con Israele», come si augura il governo iranianoContare su un intervento occidentale che rafforzi Mubarak è assurdo, sembra piuttosto l’espressione di uno Stato di confusione del governo di Netanyahu di fronte a un potenziale stravolgimento, ai danni d’Israele, di tutto il quadro mediorientale, che ha ancora nell’irrisolto conflitto israelo-palestinese uno dei suoi nodi centrali. La trentennale pace con l’Egitto era rimasta, a livello popolare, una «pace fredda». Ma aveva assunto i caratteri di una vera e propria alleanza contro la minaccia di un islamismo estremista, che si manifestava concretamente anche nella ostilità dell’Egitto al potere di Hamas a Gaza. Non sembra ragionevole, da parte israelita, una reazione analoga al «wait and hope» dell’Occidente: una «non politica», che in questa fase d’incertezza può anche rappresentare la scelta più saggia per l’Europa o l’America, ma una scelta che Israele, che ha ben altro in gioco, non può permettersi.
Israele, o meglio l’Israele dell’alleanza fra destra politica e religiosa guidata da Netanyahu, poteva anche pensare che la sostanziale inazione diplomatica, e la continuazione dell’espansione nei territori occupati, rappresentasse una politica comoda e non rischiosa nei confronti di un mondo palestinese diviso e privo di sostanziali appoggi dal mondo arabo e islamico: a patto, beninteso, di non guardare troppo in avanti nel tempo, e di illudersi che una Palestina sempre più debole avrebbe finito per doversi accontentare di una pace imposta a qualsiasi condizione. Se sono vere le rivelazioni di Al Jazeera, l’atteggiamento rinunciatario dei negoziatori palestinesi poteva giustificare queste illusioni. Ma l’alleanza con l’Egitto era la premessa necessaria di questa politica, in verità ingiusta nei confronti del popolo palestinese, e miope da parte di uno Stato d’Israele che troverà la finale garanzia del suo avvenire storico soltanto nella nascita di uno Stato palestinese che offra il giusto riconoscimento alle ragioni del popolo palestinese. Se gli Ebrei hanno continuato a dirsi per duemila anni «l’anno prossimo a Gerusalemme», perché mai i Palestinesi, con alle spalle un grande mondo arabo e islamico, dovrebbero dimenticare in tempi brevi il sogno di una loro patria?Dunque, che può fare Israele? Da più parti l’avvio della rivoluzione egiziana ha indotto diversi osservatori a chiedersi se proprio il venir meno della «colonna della pace» che aveva base al Cairo non possa avere l’effetto sorprendente di spingere Israele, nel timore di un proprio ulteriore isolamento, a rilanciare il negoziato in sospeso con i Palestinesi, dimostrando la necessaria disponibilità alle concessioni, indispensabili per un accordo, sulla cessazione dei nuovi insediamenti come sull’accettazione di una capitale palestinese nelle zone a popolazione araba della grande Gerusalemme. (Del resto, nella Gerusalemme storica, dentro le antiche mura, non ci sono né il Parlamento né la Presidenza né gli essenziali organi di governo neppure dello Stato d’Israele).Ma per ora questo è soltanto un auspicio. Anche l’opportunismo istintivo di un politico abile come Netanyahu non sembra all’altezza di una tale svolta politica. La speranza che la rivoluzione egiziana porti alla nascita di una democrazia laica egiziana è forse ancora meno audace della speranza che l’annuncio, che comunque viene dal Cairo, di una nuova era di instabilità e imprevedibilità di tutto il mondo arabo-islamico (non sappiamo se e dove si fermerà l’ondata rivoluzionaria, dopo la Tunisia e l’Egitto), spinga questo governo israeliano a una iniziativa a sorpresa per condurre proprio ora al successo il negoziato con i Palestinesi. Gli osservatori meno ottimisti temono l’effetto opposto di un ulteriore rinchiudersi d’Israele dietro l’illusoria sicurezza del muro di protezione ai confini dello Stato.

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