Gideon Levy: riconoscere la responsabilità morale del 1948 e i confini del 1967

   Sintesi personale   Le manifestazioni  della Nakba ci hanno costretto a ricordare  cosa accadde nel  1948: il  giovane palestinese  che  è riuscito a visitare a Jaffa  la sua casa ancestrale, è stato uno spettacolo di grande effetto nella storia del conflitto. Forse adesso si cominceranno a capire le sue radici e  le sue soluzioni. Forse inizieremo a comprendere che per il popolo palestinese  i confini del 1967 sono un compromesso  molto doloroso. Non solo perché significa rinunciare a tre quarti del proprio paese, ma soprattutto perché significa rinunciare a desideri e aspirazioni. Per anni molti palestinesi ei loro leader sono stati pronti a fare concessioni. Quando hanno cominciato a disperarsi, dopo tutti questi  anni di stagnazione scandalosa, la loro domanda  è riemersa con forza. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas non avrebbe mai pubblicato il suo recente articolo sul New York Times, dove  ha discusso della narrazione storica palestinese, se ci fosse stato  un accordo. Ora gli americani sanno cosa succede quando non fanno nulla. Ora un annuncio della  Presidenza del Consiglio dei Ministri che Israele è impegnata nella soluzione dei due stati non è più sufficiente. In che modo è  "impegnata"? E che cosa ha fatto per attuarla? L'unica risposta  di  Israele è stata , finora, 'espansione  degli insediamenti.


E 'difficile afferrare  l'importanza del cambiamento che sta avvenendo sotto i nostri occhi stupiti. I territori sono ancora lungi dall'essere evacuati, la terza Intifada  a quanto pare non sta ancora per cominciare,  Netanyahu sta cercando  di guadagnare tempo con le parole vuote e formule hollow. Ma da ora in poi ogni israeliano  sarò  costretto  a capire che ogni soluzione deve tener conto della parte avversa.  Non stiamo parlando di un impossibile ritorno di milioni di profughi come vogliono farci credere per spaventarci .Stiamo parlando di capire l'altro  , di accettare la responsabilità morale per il 1948,  di cercare una soluzione al problema dei rifugiati,   di accettare, come minimo, confini del 1967. Chi continua a non capire , è invitato a non  perdere altro tempo  : invited to waste more time and see how this benefits us and them.


2   Strenger  :  Israele riconosca la propria responsabilità nella Nakba  Credo che il vero motivo della difficoltà israeliana ad accettare il piano saudita sia determinato dal rifiuto di Israele ad assumersi la responsabilità storica della NAKBApalestinese e le conseguenze determinate nel mondo arabo da questa tragedia La nostra coscienza nazionale non ha mai accettato ciò che è stato accertato dagli storici :Israele ha attivamente espulso 750.000 Palestinesi dai loro villaggi .
Continuiamo così a giustificare l'occupazione dei territori con tutti gli orrori che ne derivano.L'unica via di uscita è dire ai palestinesi: Israele è nata in circostanze tragiche e ciò ha inflitto ingiustizia e sofferenza al vostro popolo. Partiamo da quest'analisi per trovare una soluzione e vivere in due stati.Purtroppo oggi un politico che affermasse tale tesi sarebbe osteggiato , quindi spetta agli intellettuali introdurre nella coscienza pubblica questa problematica   FONTE QUI

3   Amos Oz :il problema dei profughi palestinesi   Ogni qualvolta noi israeliani sentiamo il termine "profughi del 1948" proviamo una stretta di paura e di rifiuto allo stomaco. Questo termine è diventato per noi sinonimo di "diritto al ritorno", e "diritto al ritorno" equivale alla fine dello Stato di Israele. Forse è arrivato il momento di rimettere ordine nei nostri pensieri e di fare un distinguo tra il problema dei rifugiati e il "diritto al ritorno". Il primo, infatti, può e deve risolversi, ma non con il rientro dei profughi palestinesi entro i confini dello Stato di Israele stabiliti da accordi di pace. Questa pretesa va respinta perché, nel caso dovesse avverarsi, vi sarebbero due Stati palestinesi e nemmeno uno per il popolo ebraico. Ma il problema dei profughi del 1948 va risolto anche perché è nell'interesse vitale di Israele. Infatti, fintanto che tale problema sussisterà, fintanto che centinaia di migliaia di profughi palestinesi marciranno in campi in condizioni di vita disumane, noi non avremo pace. Di chi è la colpa della tragedia dei rifugiati palestinesi? Secondo la versione israeliana è dei loro leader, che dichiararono guerra a Israele nel 1948, e dei profughi stessi, fuggiti in preda al panico dalle loro case. Secondo la versione araba la colpa è di Israele, che cacciò brutalmente e a forza i residenti arabi. C'è del vero in entrambe le versioni: la guerra del 1948 fu uno scontro diretto. Villaggi combattevano contro villaggi, quartieri contro quartieri e case contro case. In conflitti di questo tipo la popolazione è costretta alla fuga. Circa una dozzina di insediamenti ebraici, fra cui il quartiere della città vecchia di Gerusalemme, capitolarono alle forze arabe. La popolazione venne trucidata o espulsa a forza. D'altro canto anche centinaia di migliaia di arabi abbandonarono i loro villaggi: alcuni fuggirono, altri furono scacciati dall'esercito israeliano. È arrivato il momento di ammettere pubblicamente che noi israeliani siamo parzialmente responsabili della catastrofe dei profughi palestinesi. Malgrado la colpa e la responsabilità non siano esclusivamente nostre, le nostre mani non sono del tutto pulite. Lo Stato di Israele è abbastanza maturo e forte per ammettere questa colpevolezza parziale e accettare le conclusioni che ne conseguono: accollarsi parte degli sforzi di ricollocare altrove quei profughi nel contesto di accordi di pace ma al di fuori dei futuri confini di pace di Israele. L'ammissione di Israele di una parte della colpa, la sua disponibilità a farsi parzialmente carico di una soluzione, potrebbero rivelarsi una spinta emotiva positiva per i palestinesi. Una sorta di apertura che incoraggerebbe molto il proseguimento di un dialogo. La tragedia dei profughi del 1948 è infatti la ferita più dolorosa, la più sanguinante e purulenta aperta nella loro carne. Gli israeliani hanno un'abituale tendenza a procrastinare le "questioni cardine" del conflitto: i profughi, Gerusalemme, i limiti degli insediamenti. Questa tendenza era forse intrinseca agli accordi di Oslo ma di certo non favorisce un attuale negoziato. La propensione israeliana a evitare gli argomenti più importanti risveglia nella controparte araba il fondato sospetto che Israele voglia la pace, ma non sia pronto a una soluzione complessiva. Sarebbe quindi forse opportuno che i leader israeliani avanzassero una proposta di discussione del problema dei profughi e di una partecipazione israeliana alla sua soluzione, la quale dovrebbe essere: evacuazione dei rifugiati dai campi in cui languono, assegnamento di una casa, di un lavoro, e concessione della cittadinanza a chiunque lo desideri entro i confini del futuro Stato palestinese. È evidente che affrontare il problema alla radice comporterà l'ammissione di una responsabilità parziale della Nakba, la catastrofe, palestinese da parte di Israele, con tutto ciò che ne consegue. Ma affrontare il problema alla radice vorrà anche dire riconoscere che centinaia di migliaia di ebrei furono scacciati dalle loro case negli Stati arabi, con tutto ciò che ne consegue. Sia per ragioni morali che di sicurezza Israele deve aspirare a una soluzione del problema dei profughi del 1948. Gli Stati occidentali, Israele e i ricchi Paesi arabi dovranno accollarsene l'onere economico. La violenza si attenuerebbe e la disperazione, che genera fanatismo, comincerà a scemare nel momento in cui in quei campi di sofferenza e di aberrazione giungerà notizia che la vita nel degrado sta per terminare. E per quanto riguarda Israele, anche se dovessimo firmare accordi di pace con tutti i nostri nemici, fintanto che non daremo una risposta al disagio dei profughi, non avremo la serenità.qui

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