I giovani di Gaza scendono in piazza. Vogliono vivere, amare e progettare senza paura.


Hanno una laurea, parlano un inglese perfetto, fanno musica, hanno blog e pubblicano su Youtube. Sono i giovani che vogliono la primavera anche nella Striscia più martoriata del Medio Oriente

di Emanuela Zuccalà


VOGLIO ANDARE AL LAVORO vestita come mi pare. Voglio parlare di politica senza temere che il tizio accanto ascolti e riferisca. Voglio passeggiare con i miei amici maschi senza che Hamas, i Salafiti o chi per loro mi condannino. Voglio pianificare il mio futuro, invece di dover immaginare cosa accadrà domani. Voglio cantare, amare... Non vivere più nella paura». Samah Ahmeed aveva parlato con pacatezza, ma alla domanda «Cosa desideri per te?», il suo sfogo fluisce in un gorgo di rabbia e disillusione. Samah ha trent’anni, è laureata in Scienze politiche e lavora come animatrice sociale. Ha radici africane ma è palestinese da generazioni.
Una matrona nera con cui fumiamo shisha (narghilè, ndr) sotto un gazebo delGallery Caffè, e quasi dimentichiamo di essere a Gaza City, nella Striscia sigillata da Israelee governata dal regime islamico di Hamas, dove la quotidianità è fatta di razzi sparati al di là del muro, rappresaglie israeliane, navi da guerra schierate sul mare, faide interne e, da un mese, allerta estrema per gli stranieri. Entriamo a Gaza pochi giorni dopo l'assassinio di Vittorio Arrigoni, l'attivista italiano rapito e ucciso qui il 15 aprile per ragioni ancora troppo confuse. Nella calma statica e apparente, le misure di sicurezza per gli stranieri sono più rigorose che mai, al limite della paranoia: muoversi in macchina e solo con autisti fidati, chiudersi in casa dal tramonto all’alba chiediamo perché abbiamo deciso ugualmente di attraversare l'infinito corridoio blindato al valico israeliano di Erez, serrandoci anche noi in questa prigione di 360 chilometri quadrati. Troviamo la risposta ascoltando Samah e i suoi amici, una gioventù che pare caduta qui da un altro pianeta. Colti, inglese perfetto, appassionati d’arte e musica, blogger, ma soprattutto fondatori di un movimento rivoluzionario: lo hanno chiamato "15 marzo" perché due mesi fa il vento di piazza Tahrir al Cairo ha soffiato a Gaza City, ed erano in 300 mila a manifestare. Il bersaglio numero uno non era Israele, ma la divisione palestinese tra Hamas che domina sulla Striscia e Fatah in Cisgiordania, dicotomia che congela a monte il processo di pace. E urlavano basta alle proibizioni imposte da Hamas in nome della morale islamica. Sebbene qui il 65 per cento del milione e mezzo di abitanti abbiameno di 25 anni, è la prima volta che questa maggioranza alza la voce: hanno pagato con il carcere e le manganellate; Samah, anche con una coltellata alla schiena. 

Ma domani, 15 maggio, scenderanno di nuovo in piazza per dire che loro ci sono sempre. Anche se non c’è più Arrigoni, loro convinto sostenitore: una delle mille ipotesi che circolano nella Striscia è che sia stato eliminato anche per questo. «Hamas dice che siamo affiliati a partiti politici o addirittura addestrati da Israele. Invece siamo solo noi stessi, stanchi di non avere una vita decente».
Ebaa Rezeq ha 20 anni ed è fra le pochissime, qui, a non coprirsi il capo con l’hijab, il velo. La conosciamo a una festa su un tetto, al tramonto. A Gaza l’alcol è haram, proibito: ai party, pure fuori legge, ci si diverte con aranciata e Mecca Cola, sigarette, Bob Marley e melodie arabe. Qualche giorno dopo, Ebaa ci invita a un barbecue in spiaggia. «Studio giornalismo» racconta «e vorrei perfezionarmi all’estero per poi tornare a lavorare qui».
Si arrostiscono spiedini sulla brace, si ascolta jazz libanese e si gioca a carte.Shahd Abusalama, 19 anni, bella come una fata, ci porta a casa sua per mostrarci i suoi quadri: disegna a carboncino soggetti naif di triste intensità ed è anche un’artista della dabka, la danza tradizionale palestinese. «Anni fa ho viaggiato in Inghilterra per spettacoli» ricorda «ora uscire da Gaza è impossibile»
Anche May Murad dipinge: è una 27enne eccentrica in jeans, zeppe vertiginose e l’inseparabile cappello: «Un trucco per non mettere il velo» sorride «così mi sento più carina». I genitori non approvano. May si rifugia dagli zii, dove crea quadri astratti dalle pennellate decise. Visitiamo la sua mostra al Centro culturale francese, «l’unico posto, a Gaza, dove un artista può trovare spazio...». Mohammed Antar è un rapper di 25 anni che scrive canzoni ad alto contenuto politico con la band Egtya Underground: 8 membri, tra Gaza e Cisgiordania, che compongono e mixano via internet. «Certo, sono stato arrestato da Hamas» dice. «Il rap è cultura occidentale da sopprimere».

Al Gallery Caffè, unico coraggioso luogo di ritrovo per i giovani, parliamo con Abu Yazan del gruppo più radicale Gybo, autore di un manifesto su Facebook pieno d’ira contro Hamas, Israele, l’Onu: «Siamo pidocchi stretti tra due unghie, viviamo un incubo dentro un incubo» scrivevano. «Mi hanno arrestato 19 volte» sorride il giovane. «Lo avevo messo in conto ». Al bar Askadenia dipinto di rosa, Isnaa Badwan e Hadeel Fawzi non vedono l’ora di cantare per noi: «Per le donne cantare è proibito» sospirano. «Siamo stufe di esibirci davanti allo specchio: stiamo formando una band per promuoverci fuori da Gaza attraverso Youtube». Raccontano di quanto amino Lady Gaga, di come farebbero a pezzi l'hijab, dell’utopia di uscire con un ragazzo che non sia il futuro marito scelto dalla famiglia. Per i membri del "15 marzo" è rischiosa questa frequentazione in pubblico fra uomini e donne. E hanno rischiato di più a Pasqua, quando la loro festa in memoria di Vittorio Arrigoni è esplosa in danze e concerti hip hop. Hamas ha chiuso un occhio, forse in attesa di capire se il gruppo abbia davvero una forza sovversiva. Intanto, però, c'è chi collega le prove di dialogo tra Fatah e Hamas, iniziate due settimane fa, alla protesta ferma e gioiosa del "15 marzo". Perché, conclude Ebaa Rezeq, «la gente di Gaza era morta. La nostra voce li riporta in vita».

Su "Io donna", 14-20 maggio  
ESTERI A Gaza, sognare non è più proibito


Allegati    Hip-hop, breakdance e Parkour: la cultura giovanile underground di Gaza

sintesi personale Molti giovani, che costituiscono la maggioranza di Gaza sono bloccati dal rigore islamico di Hamas e dall'assedio israeliano -egiziano ,ma ciò non ferma la loro creatività che , a volte, si scontra con i tradizionali codici sociali."Quando abbiamo iniziato, tutti dicevano, 'Perché usate vestiti larghi? Perché vi salutate così?'", Ha detto Ayman Mghamis del gruppo Rapperz.Gli abitanti di Gaza hanno iniziato ad accettarli ma non il governo di Hamas . Un paio 'di volte alla settimana, quattro ragazzi utilizzano le ringhiere di una scuola elementare per praticare il parkour.Come la maggior parte dei rapper - e come la maggior parte dei giovani gazesi - tutti e quattro sono disoccupati."Lo faccio per dimenticare la situazione in cui mi trovo e sentirmi libero", ha detto Irgayig.

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