Lamis Andoni : a Juliano e Vittorio, con amore


  Juliano Mer Khamis e Vittorio Arrigoni erano umanisti che hanno creduto nella lotta del popolo palestinese. Hanno sfidato l’occupazione israeliana ed erano pronti a sacrificare la loro vita per la libertà.
Ma a differenza degli attivisti Rachel Corrie e Tom Hurndall dell’International Solidarity Movement (ISM), uccisi dalle forze di occupazione israeliane mentre cercavano di proteggere le famiglie palestinesi, Juliano e Vittorio sono stati uccisi da membri delle comunità palestinesi che essi avevano imparato a conoscere e nelle quali nutrivano fiducia. Il primo ucciso da ignoti assalitori, presumibilmente palestinesi, il secondo da fanatici palestinesi.Il 4 aprile, uomini armati e col volto coperto hanno sparato a Juliano di fronte al ‘Teatro della Libertà’ che egli aveva fondato nel campo profughi di Jenin. Dieci giorni dopo, Vittorio, un attivista dell’ISM, è stato rapito e poi trovato strangolato in un appartamento nella Striscia di Gaza.




Gli attivisti della solidarietà sono stati tradizionalmente accettati, e addirittura praticamente adottati, dalle loro comunità di accoglienza. Il fatto che due di loro siano stati uccisi da coloro che essi stavano cercando di difendere ha generato un’ondata di emozione che ha risuonato in profondità nel cuore delle comunità palestinesi in tutto il mondo.A molti palestinesi piacerebbe credere che i due uomini siano stati uccisi da collaboratori di Israele. Dopotutto è Israele – che non ha mai nascosto la sua avversione per gli attivisti, siano essi israeliani o meno – che trae i maggiori benefici dall’intimidazione dei membri del movimento di solidarietà.
Gli attivisti della solidarietà sono testimoni dei crimini di Israele contro i palestinesi: molti di loro sono diventati cronisti della lotta palestinese, voci potenti che diffondono la parola dei palestinesi in tutto il mondo. Di solito essi intrecciano forti e intimi legami con le persone con cui condividono la loro vita quotidiana – trionfi e sconfitte, gioie e dolori.
Juliano e Vittorio sono diventati parte integrante della comunità palestinese, legandosi a coloro con i quali vivevano. Sebbene abbiano seguito strade diverse, hanno condiviso l’impegno per una resistenza nonviolenta e una pace giusta.
La storia di Juliano
Nato da padre cristiano palestinese e da madre ebrea, Juliano era diventato un noto attore israeliano.


Suo padre, Saliba Khamis, era membro del Partito Comunista israeliano, una formazione politica che, durante i primi vent’anni di esistenza di Israele, diede una voce ai palestinesi che erano rimasti dopo la Nakba. In alcune fasi della loro vita, i poeti palestinesi Mahmoud Darwish e Samih Qassem avevano fatto parte del partito, che ha prodotto alcuni grandi leader palestinesi, tra cui Tawfiq Ziad, il coraggioso sindaco di Nazareth. Ziad scrisse il famoso poema/canzone ‘Ti sto chiamando’, che riaffermò l’identità palestinese degli arabi israeliani.
La giovinezza di Juliano fu come quella di tanti giovani israeliani – fece parte dell’esercito israeliano prima di intraprendere una carriera nel settore del cinema. Inizialmente sembrava distaccato dalle sue radici palestinesi ma, sotto l’influenza di sua madre, ebrea che trascorse gran parte dei suoi ultimi anni a lavorare con i bambini palestinesi, egli subì una trasformazione.
Arna Mer-Khamis, madre di Juliano, si impegnò con i palestinesi durante la prima intifada. Giunse a comprendere quanto profondamente i bambini palestinesi fossero stati traumatizzati dall’occupazione e avviò programmi che miravano a far guarire attraverso l’arte e, in particolare, la recitazione.
Arna creò un teatro nel campo profughi di Jenin, dove i suoi legami con molti dei bambini del posto furono tali che essi divennero noti come ‘i bambini di Arna’. Vi furono 10 di essi a cui era particolarmente vicina.
Anni dopo, Juliano andò a Jenin per cercare i 10 ‘bambini’ di Arna. Tutti erano diventati militanti di Fatah, ed eroi locali durante l’infame assedio israeliano del campo. Sei erano stati uccisi, due catturati, e gli ultimi due erano ricercati da Israele. Il film che ne è venuto fuori, ‘Arna’s children’, è un tributo estremamente commovente sia alla madre che alla gente del campo.


Arna morì nel 1994, e nel 2006 Juliano decise di continuare il suo lavoro attraverso la creazione di un teatro insieme a Zakaria Zubeidi, uno dei ‘bambini di Arna’ ed ex leader delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa.
Juliano, o Jul, come era conosciuto, è diventato molto amato tra i palestinesi, e il suo Teatro della Libertà divenne un atto di resistenza culturale nei confronti degli sforzi israeliani di cancellare l’identità palestinese.
La storia di Vittorio
Lontano dalla Palestina e dalle lotte della vita sotto l’occupazione, Vittorio crebbe vicino al pittoresco Lago di Como, in Italia. Ma anche in quella località apparentemente idilliaca, il giovane fu profondamente influenzato dalla storia della sua famiglia: il nonno e la nonna erano stati membri della resistenza contro il regime fascista in Italia, durante la Seconda Guerra Mondiale.


Fu quando si trasferì a Gerusalemme, che Vittorio riconobbe la propria causa nella lotta palestinese.
In seguito egli si unì all’International Solidarity Movement (ISM). Molti membri dell’ISM hanno messo a rischio la vita, in particolare durante la seconda intifada, agendo in qualità di scudi umani per i civili palestinesi.
Nel 2008, l’impegno di Vittorio lo portò a Gaza, a bordo di una delle navi del movimento ‘Free Gaza’ che cercò di rompere l’assedio israeliano della Striscia.
Una volta laggiù, Vittorio si mise al servizio della comunità e divenne rapidamente popolare, in particolare con i bambini locali.
Aveva la parola Muqawama – che in arabo significa resistenza – tatuato sul braccio, ma rimase un ardente pacifista.
Vittorio, o Vik, come lo chiamava la gente, era conosciuto perché navigava con i pescatori palestinesi, nel tentativo di proteggerli dalla marina israeliana.
Come altri attivisti dell’ISM, è stato in una prigione israeliana, è stato ferito, ed è stato una volta estradato in Italia – solo per poi ritrovare la strada per tornare dal popolo che amava, in Palestina.
Scriveva per il giornale italiano di sinistra ‘Il Manifesto’ e teneva un blog che raccontava la sua lotta, e che si concludeva sempre con la firma “restiamo umani”.
Vittorio era determinato a conservare la sua umanità e l’umanità degli altri, nella tradizione di un vero umanista – essendo al di sopra di tutte fratture religiose, etniche e razziali. Quando i suoi carcerieri lo hanno definito un “infedele”, hanno inferto una pugnalata nel cuore del popolo palestinese.
‘Restare umani’
Juliano e Vittorio, due persone i cui cuori erano pieni di amore per i palestinesi, hanno dovuto essere testimoni dell’odio negli ultimi momenti della loro vita. Juliano ha affrontato i suoi assassini mascherati per pochi secondi, mentre Vittorio ha avuto più tempo per guardare negli occhi del pregiudizio e del fanatismo.
Mi chiedo cosa devono aver pensato. Quale shock deve aver afferrato Juliano nei suoi ultimi momenti. Che cosa deve essere successo al cuore pieno d’amore di Vittorio, mentre i suoi aguzzini lo trattavano come “il nemico”?
Molte lacrime sono state versate, e continueranno ad essere versate per questi due uomini. Sono state scritte poesie e canzoni, e certamente altre ne seguiranno.


La nostra unica consolazione è che sia Juliano che Vittorio facevano parte di un’attiva resistenza popolare palestinese, che continuerà a crescere e diffondersi. La loro causa rimane viva.
Ma i palestinesi devono ora affrontare il fatto che questi omicidi fanno emergere una deformità e una distorsione presenti nella società palestinese, che potranno essere minime in termini di dimensioni, ma che sono enormi e altamente distruttive nei loro effetti. 


Non basta catturare i colpevoli. La sfida è più grande e più difficile. La sfida è ora assicurarsi che la società palestinese e gli individui al suo interno non perdano la loro umanità.
“Restiamo umani” era l’appello di Vittorio alla fine di ogni post del suo blog – ed è ora l’unico modo in cui noi possiamo onorare lui e Juliano.
Lamis Andoni è un’analista e commentatrice di questioni palestinesi e mediorientali; originaria di Betlemme, ha scritto sulle pagine di testate come Le Monde Diplomatique, Jordan Times, al-Ahram, al-Hayat, ecc.

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