Carlo Strenger :Le leggi antidemocratiche imposte da Israele traggono origine da una “mentalità da assedio”



    La marea di leggi antidemocratiche che sono state proposte, e parzialmente implementate, dalla Knesset attuale, eletta nel febbraio 2009, costituisce uno dei capitoli più bui della storia israeliana. Il via venne dato dal partito Yisrael Beitenu del ministro degli esteri Avigdor Lieberman, con la sua legge sulla Nakba, che vieta la commemorazione pubblica dell’espulsione di circa 750.000 palestinesi durante la guerra del 1948.Da allora, sono stati fatti sempre maggiori tentativi per ridurre la libertà di espressione e rendere più dura la vita ai gruppi per i diritti umani. L’ultimo esempio è la legge sul boicottaggio approvata la scorsa settimana dalla Knesset, benché il suo consulente legale ritenga che essa costituisca una problematica violazione della libertà di espressione. Questa legge considera ogni invito a boicottare Israele da un punto di vista economico, culturale o accademico un reato civile che può essere punito con una multa. Qualsiasi ente pubblico impegnato in tale attività perderà il suo status legale e il suo diritto a contributi deducibili dalle tasse.


Questa legge, come ha affermato il deputato della Knesset Nitzan Horowitz del partito di sinistra Meretz, è scandalosa, vergognosa, e un imbarazzo per la democrazia di Israele.
Nonostante l’indignazione, cercherò di analizzare la questione: cosa sta dietro questa frenesia di reprimere qualsiasi critica? La risposta, credo, è più semplice di quanto molti pensino: si tratta di paura, stupidità e confusione.
Tutto inizia con il dilemma politico di Binyamin Netanyahu. Egli è stato sottoposto a grande pressione internazionale perché facesse progressi verso un accordo di pace con i palestinesi.
Ma né la sua coalizione di destra, né il suo stesso partito Likud, consentono compromessi significativi con i palestinesi. Si aggiunga che Netanyahu appartiene alla destra estrema più di quanto il suo aspetto sofisticato non possa far pensare. Penso che lui creda veramente che i confini del 1967 siano indifendibili, e che non ci si possa fidare dei palestinesiPer guadagnare tempo, egli ha venduto all’opinione pubblica israeliana l’idea che i palestinesi non avrebbero mai accettato l’esistenza di Israele, e che il problema non starebbe nell’occupazione israeliana della Cisgiordania e nell’assedio a Gaza, ma nel fatto che la legittimità della stessa esistenza di Israele viene chiamata in causa. Ma, se questo può esser vero per l’Iran, Hezbollah e Hamas, non è vero per il mondo libero ad eccezione di un gruppo relativamente esiguo di estrema sinistra che afferma che Israele è per sua natura uno stato razzista e illegittimo. L’allarmismo di Netanyahu viene rafforzato da Lieberman, che continua ad accusare gli arabi israeliani di essere un pericolo per la sicurezza di Israele, e che ha avviato una serie di proposte di legge anti-arabe.


Il risultato della sistematica fomentazione delle paure esistenziali israeliane da parte di Netanyahu e Lieberman è tangibile in Israele: i sondaggi mostrano che gli israeliani sono profondamente pessimisti in merito alla pace, che gran parte di essi non si fida dei palestinesi, e che la fiducia delle giovani generazioni nei valori democratici si sta sgretolando.
Ma questo pessimismo e questa mentalità da assedio non si riscontrano solo negli elettori israeliani comuni, ma anche nella classe politica. Dopo aver parlato con alcuni politici di destra, sono sfavorevolmente impressionato dalla loro totale mancanza di comprensione della scena internazionale. Essi hanno idee profondamente sbagliate circa l’atteggiamento del mondo nei confronti di Israele, e comprendono molto poco la maggiore attenzione per i diritti umani attualmente presente nel discorso internazionale. L’unica cosa che si sente dire è che Israele viene ingiustamente criticata e che ha un problema di pubbliche relazioni, piuttosto che rendersi conto che le politiche di Israele sono inaccettabili politicamente e moralmente.
Questo può essere certamente giustificato quando si tratta della Commissione delle Nazioni Unite sui Diritti Umani, che enfatizza assurdamente ed eccessivamente le violazioni dei diritti umani israeliane rispetto a quelle di qualsiasi altro paese, dalla Cina al Sudan. Ma questi politici proprio non capiscono che la comunità internazionale, per buone ragioni, è stanca dell’occupazione israeliana della Cisgiordania, e vuole semplicemente che Israele rispetti questa posizione internazionale.
A ciò si aggiunga un piccolo ma molto potente gruppo della destra ideologica che, per motivi religiosi, crede davvero che gli ebrei abbiano il diritto divino a realizzare la Grande Israele, che comprende la Giudea e la Samaria. Nessun governo israeliano ad eccezione di quelli di Yitzhak Rabin e Ariel Sharon, ha rischiato lo scontro diretto con la destra ideologica, tra l’altro a causa del suo potenziale di violenza; Rabin, infatti, pagò con la vita il fatto di essersi confrontato con questi fanatici apocalittici e messianici.
Confusa tra le critiche internazionali alle politiche israeliane e i presunti pericoli per l’esistenza di Israele, la destra più moderata cerca un capro espiatorio per questo isolamento senza precedenti. La sinistra e le organizzazioni israeliane per i diritti umani sono un bersaglio facile. La destra sostiene che esse forniscano alla comunità internazionale munizioni per criticare Israele, e cerca di metterle a tacere. Una  esistenziale confusione e ideologia sta creando un mix esplosivo che sta sprofondando i membri della Knesset nel vortice di misure sempre più anti-democratiche, di cui la legge sul boicottaggio è solo l’esempio più recente ma, temo, non l’ultimo della serie.
Cosa porterà il futuro allora? Se si parla a breve termine, non sono ottimista. I comuni cittadini in Israele non si fidano del mondo, i loro politici sono riccamente ricompensati per le roboanti dichiarazioni di eterno patriottismo e per aver sfidato il mondo. Il risultato è una mentalità da bunker sostenuta da paragoni melodrammatici con l’assedio di Masada nel 72 a.C. che terminò in un suicidio di massa. Tutto questo ha il potenziale di mantenere la destra al potere per il momento.
A lungo termine, però, penso che Israele rinsavirà. Più lo stato palestinese riceverà riconoscimenti, anche da parte delle Nazioni Unite, più la classe politica di Israele arriverà alla conclusione che il prezzo da pagare per mantenere la Cisgiordania è troppo alto.
Fino ad allora, la democrazia di Israele sarà assediata dalla destra, ma sopravvivrà.
La libertà di espressione in Israele è intatta; tendenze ben più totalitarie da parte della Knesset sono state tenute sotto controllo, e non mi aspetto che i suoi tentativi di mettere a tacere le critiche abbiano successo.
Israele è troppo liberale nella sua struttura di base, e le sue élite sono troppo sofisticate e troppo devote alla salvaguardia di una democrazia liberale perché i tentativi di trasformare Israele in uno stato totalitario abbiano successo. E’ il compito di queste élite sostenere le strutture della società civile israeliana, almeno finché la follia non scomparirà.
Carlo Strenger, filosofo e psicanalista israeliano, insegna presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Tel Aviv; è membro del comitato permanente di monitoraggio sul terrorismo della World Federation of Scientists
(Traduzione di Eleonora Lotti)

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