ISRAELE: ASILI SEPARATI PER FIGLI IMMIGRATI SCANDALO PRIMO GIORNO DI SCUOLA- Articolo di Giorgio Bernardelli

  1  (ANSA) - TEL AVIV, 1 SET - E' polemica in Israele, nel giorno
di riapertura della scuole, per l'istituzione di asili
d'infanzia separati per i figli di lavoratori immigrati nella  solitamente tollerante Tel Aviv.
La vicenda e' denunciata oggi dall'edizione online del
giornale liberal Haaretz, secondo il quale ha destato sorpresa -e anche scandalo - l'annuncio dell'amministrazione municipale
dell'inaugurazione odierna di quattro nuovi asili nel sobborgo
di Bitzaron, due riservati ai bambini israeliani e due ai figli
dei migranti. Un'iniziativa bollata come atto di segregazione da
un'associazione impegnata nella difesa dei diritti degli
immigrati, ma che ha raccolto commenti di sdegno pure fra i
genitori israeliani interpellati oggi sul 'luogo della
vergogna'.
''Quando ho chiesto chiarimenti su questa novita', mi hanno
detto che nelle strutture in cui molti bambini sono stranieri ci
sono problemi con i genitori, ma mia figlia e' andata finora
all'asilo in classi miste, senza alcun problema legato alla
provenienza o alla diversa religione, e per me e' piu'
problematico spiegarle semmai questa improvvisa separazione'',
ha esclamato una madre. ''Se i bambini vengono separati perche'
figli di stranieri o di richiedenti asilo, questo e' illegale'',
ha rincarato la dose l'avvocato Yonatan Berman, esperto di
diritti degli immigrati, rimpiangendo una Tel Aviv ''modello di
integrazione'' rispetto al resto del Paese.
La vicenda s'inquadra sullo sfondo della recente adozione di
norme estremamente restrittive nei confronti degli immigrati non
ebrei e dei lavoratori stranieri in Israele, cavalcata dal
governo di destra e in particolare dal ministro dell'Interno,
Eli Yishai, del partito confessionale ebraico Shas. Sorprende
tuttavia il coinvolgimento di Tel Aviv, citta' tradizionalmente
progressista su questi temi e a guida saldamente laburista.
Tanto piu' che ad aggravare lo scenario si aggiungono in
questi giorni accuse contro la Municipalita' di ''mancata
integrazione scolastica'' anche nei confronti dei bambini
israeliani della comunita' ebraica d'origine etiope. (ANSA).

LR
01-SET-11 11:41 NNNN



2  L'altra parte della medaglia :
http://vaticaninsider.lastampa.it/ho...articolo/7603/

Alla base di questa storia c'è uno dei volti più nascosti del conflitto israelo-palestinese: una legislazione sul lavoro straniero che salvaguardia l'ebraicità dello Stato di Israele rispetto al diritto fondamentale alla famiglia Giorgio Bernardelli Roma   Questa volta non è arrivato il papà con un provvedimento dell'ultima ora strappato a un giudice per portarla fuori dall'aereo. Ofek Castillo, 4 anni - di origine filippina ma nata e vissuta finora solo in Israele - è stata espulsa insieme alla madre Nancy su un volo partito dall'aeroporto Ben Gurion con destinazione finale Manila. Giovedì 25, infatti, anche l'estremo tentativo condotto la settimana prima attraverso l'Acri - l'Associazione per i diritti civili in Israele - si è rivelato inutile. E così, per la prima volta nei confronti dei figli dei lavoratori stranieri immigrati, è stata applicata davvero quella linea dura di cui si parla da tempo in Israele. Ed è una prima volta che turba in maniera particolare i 50 mila cattolici filippini che lavorano nel Paese e che ora temono la stessa cosa possa capitare anche a decine di altri loro bambini
Alla base di questa storia c'è uno dei volti più nascosti del conflitto israelo-palestinese: una legislazione sul lavoro straniero scritta pensando più alla salvaguardia dell'ebraicità dello Stato di Israele che al rispetto di un diritto umano fondamentale come quello alla famiglia. Tutto comincia negli anni Novanta, quando la politica dei controlli negli ingressi dai Territori palestinesi rese più difficile da Betlemme, Ramallah o Beit Jalla recarsi ogni giorno a lavorare in Israele. Così l'economia israeliana iniziò ad avere sempre più bisogno di sostituire la manodopera palestinese e trovò la soluzione nelle nuove dinamiche globali del mercato del lavoro: attraverso le agenzie internazionali di manpowering cominciarono ad arrivare a Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme thailandesi, indiani e - soprattutto - filippini. Anche qui diventarono i badanti degli anziani pionieri giunti in Israele prima o subito dopo il 1948. Ma anche a lavare i piatti negli alberghi, oppure a lavorare come giardinieri o autisti.Si tratta, però, di un'immigrazione diversa rispetto all'aliyah, il “ritorno” garantito da Israele a tutti gli ebrei con diritto di cittadinanza automatica. Per questo motivo la preoccupazione principale dei politici israeliani è stata quella che - alla lunga - questo fenomeno nuovo non andasse a intaccare ulteriormente gli equilibri demografici del Paese. Perché già oggi in Israele un quinto della popolazione è formata da arabi ed è una percentuale in continua crescita; per di più anche tra i russi arrivati negli anni Novanta ce ne sono altre decine di migliaia che ebrei non lo sono affatto, ma hanno approfittato di una lontana parentela. Se nel Paese i lavoratori stranieri adesso dovessero mettere radici - è stato il ragionamento - l'ebraicità dello Stato potrebbe essere ulteriormente a rischio. Quindi è stata varata una legge che postula una presenza solo temporanea di questa forza lavoro: oltre i cinque anni e mezzo dal primo ingresso il permesso di soggiorno non è rinnovabile se non con un'autorizzazione speciale firmata dal ministro degli Interni in persona. E - soprattutto - proprio per evitare che i lavoratori stranieri mettano su famiglia, un articolo di legge stabilisce che se una donna immigrata ha un figlio mentre si trova in Israele il neonato deve rientrare nel Paese d'origine entro il terzo mese, pena la revoca del permesso di soggiorno alla madre.Una disposizione talmente inumana da non essere stata finora mai applicata sul serio. Il problema - però - è che con gli anni questi bambini che in teoria non dovrebbero esserci sono diventati centinaia: crescendo in Israele parlano l'ebraico, frequentano le scuole israeliane, dunque ormai si vedono e il nodo è venuto al pettine. Anche perché l'attuale ministro degli Interni israeliano - Eli Yishai, un esponento dello Shas, il partito religioso dei sefarditi - ha fatto della linea dura contro i “minori clandestini” una sua bandiera politica. Pressato dallo scontro tra Yishai e quanti anche nel suo governo rabbrividiscono di fronte all'idea che Israele carichi su un aereo bambini che come Ofek hanno persino un nome ebraico, il premier Netanyahu l'anno scorso ha istituito una commissione che ha esaminato la posizione dei circa 1200 bambini stranieri in qualche modo censiti, perché comunque entrati in contatto con l'amministrazione dello Stato. Alla fine la soluzione scelta da questo organismo è stata un compromesso: potranno rimanere solo quelli i cui genitori sono entrati legalmente nel Paese e hanno già frequentato almeno un anno della scuola primaria. Tradotto in cifre significa circa 800 su 1200. Ma non è questo il caso di Ofek - che ha alle spalle solo il primo anno di asilo - e di altri 400.Così l'altra settimana - quando insieme alla madre è stata fermata per un controllo di routine ed è stato scoperto che il suo profilo non corrisponde ai requisiti - la piccola è stata immediatamente portata con la signora Nancy all'aeroporto Ben Gurion, dove è stato approntato un centro di espulsione ad hoc. Tutto questo nonostante il padre sia un immigrato regolare con un lavoro in Israele. Proprio in forza della sua protesta per il fatto di non aver avuto nemmeno la possibilità di salutare la figlia, la magistratura l'altra settimana aveva temporaneamente bloccato l'espulsione. Ma quando il caso è arrivato in tribunale a Petah Tikva il giudice ha confermato quanto previsto dalla legge, disponendo che la piccola Ofek lasci il Paese.Sta proprio qui la gravità della situazione: in un Paese che ama ricordare spesso il suo status di “unica democrazia del Medio Oriente” esiste una norma che nega ai lavoratori stranieri presenti legalmente entro i propri confini un diritto umano fondamentale come quello alla famiglia. Si badi bene: qui non si sta parlando di diritto alla cittadinanza, ma della mera possibilità di vivere insieme a un figlio.Purtroppo - però - questa storia gravissima sta passando sotto silenzio fuori da Israele. Per un motivo molto semplice: riguarda quelli che sono davvero i più deboli in questo angolo travagliato del mondo. Perché per i cattolicissimi filippini non si indignano né i filo-israeliani, né i filo-palestinesi. L'unica eco di questo dramma la si ritrova sul sito internet del Vicariato dei cattolici di lingua ebraica, che per conto del Patriarcato latino segue anche la pastorale di questi immigrati. E sono parole molto preoccupate: “Questa vicenda - si legge in una nota - pone la questione del destino che attende altri figli di lavoratori stranieri minori di sei anni. Continuiamo a pregare per questi bambini e per il loro futuro”.http://www.haaretz.com/culture/books...ldren-1.381927

3    Israele: immigrazione straniera e rifugiati


4    Israele: no alla deportazione dei figli degli immigrati. Testimonianze

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