Barak Ravid : La Primavera Araba e il letargo invernale di Israele


 Lo scorso fine   settimana, un gruppo di europei, israeliani, palestinesi, egiziani e giordani si è riunito in Europa per discutere della “primavera araba”. Gli israeliani che vi hanno preso parte sono tornati in Israele con uno stato d’animo preoccupato. “La nostra situazione non è buona”, ha detto uno di loro.
Gli arabi che hanno partecipato ai colloqui hanno detto ai loro omologhi israeliani che l’ostilità contro Israele nel mondo arabo sta raggiungendo nuovi picchi. Secondo loro, Israele è vista come parte del “vecchio ordine” in Medio Oriente, un alleato dei deposti dittatori arabi, come l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak.
Secondo i partecipanti arabi, la perdurante occupazione ai danni di milioni di palestinesi in Cisgiordania, e quello che è visto come un assedio israeliano alla Striscia di Gaza, stanno entrambi contribuendo a rafforzare l’ostilità contro Israele nell’opinione pubblica araba. Nella nuova realtà creata a seguito della “Primavera Araba”, l’opinione pubblica è molto più importante di quella di un presidente.
Molti incontri di questo tipo hanno avuto luogo negli ultimi mesi in diverse capitali europee. I messaggi che ne sono risultati si sono fatti strada presso i decision-maker a Gerusalemme. E sebbene i partecipanti israeliani possano non avere incarichi ufficiali, molti di loro sono legati in un modo o nell’altro alle forze di sicurezza israeliane o al ministero degli esteri, e riferiscono il contenuto delle discussioni.
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Sebbene la nuova realtà sia molto chiara al primo ministro Benjamin Netanyahu e ai suoi ministri, la risposta israeliana alla “Primavera Araba” ha preso la forma di un “letargo invernale”. Come un orso polare, Israele si è ritirata nella sua grotta, si è ritirata in se stessa ed ha aspettato che la rabbia passasse. Costruire barriere di sicurezza al confine con l’Egitto e la Giordania, aumentare il budget per la sicurezza e astenersi da qualsiasi gesto nei confronti dei palestinesi, sono stati solo alcuni dei passi compiuti da Israele in risposta alla “Primavera Araba”.
In un recente discorso alla Knesset, il primo ministro Netanyahu ha mostrato di non tenere in nessun conto la capacità degli arabi di gestire un regime democratico. Il mondo arabo “non sta andando avanti, ma indietro”, ha detto. Netanyahu, che trae le sue idee sul mondo arabo dall’orientalista Bernard Lewis (tra gli altri), ritiene che vi sia una contraddizione interna tra l’Islam e la cultura araba da un lato, e i principi liberal-democratici dall’altro.
Netanyahu e la maggior parte dei membri del suo governo ritengono che non si possa far nulla; che Israele non abbia modo di influenzare ciò che sta accadendo nella regione, e che gli ultimi sviluppi non facciano altro che dimostrare che lo Stato ebraico non può precipitarsi a concludere un accordo con i palestinesi.
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Nelle ultime due settimane, con un ritardo di quasi un anno, sembra però che qualcosa stia cominciando a cambiare. Le elezioni in Egitto, Tunisia e Marocco hanno chiarito al governo israeliano che Mubarak non tornerà, e che esso deve fare i conti con la realtà ricorrendo ai mezzi diplomatici, e non solo costruendo bunker.
In Israele si è parlato della possibilità di instaurare un dialogo con l’opinione pubblica araba e con i suoi nuovi governi, malgrado il predominio dei Fratelli Musulmani. Il direttore generale del ministero degli esteri Rafael Barak ha istituito numerosi gruppi di lavoro per studiare le opzioni a disposizione di Israele. Un gruppo si occupa degli Stati del Nord Africa – Tunisia, Libia e Marocco – mentre un altro si occupa di Egitto, Giordania e Siria.
Un terzo gruppo di lavoro studia le minoranze in quei paesi, e la possibilità di rafforzare il dialogo di Israele con esse. Dopotutto, i copti in Egitto e i curdi in Siria, tra gli altri, sono preoccupati per i loro rispettivi destini sotto nuovi regimi dominati dai Fratelli Musulmani.
Le discussioni iniziali non hanno creato molto ottimismo. Il ministero degli esteri stima che, in assenza di progressi significativi nei negoziati con i palestinesi, sarà difficile o addirittura impossibile dialogare con i nuovi governi nel mondo arabo. L’obiettivo, secondo i funzionari del ministero degli esteri, è cercare di mantenere i legami con l’Egitto e la Giordania per evitare un ulteriore deterioramento e un’ulteriore escalation.
Nel frattempo, sia il ministero degli esteri che la presidenza del consiglio dei ministri hanno intensificato il loro sforzo per fare in modo che il loro messaggio venisse recepito dall’opinione pubblica nei paesi arabi attraverso Internet. Il portavoce del primo ministro presso i mezzi di informazione arabi, Ofir Gendelman, ha un account attivo su Twitter, twitta intensamente per conto di Netanyahu, e chatta con gli utenti arabi di Facebook sulla pagina ufficiale del primo ministro.
Sia il ministero degli esteri che la presidenza del consiglio dei ministri sostengono che centinaia di utenti arabi curiosi si sono fatti coinvolgere facendo domande. Quest’iniziativa è certamente benvenuta, anche se un po’ aneddotica. Ma al fine di creare un cambiamento reale nel punto di vista del mondo arabo nei confronti di Israele, e per diminuire l’ostilità nei suoi confronti, Netanyahu deve prendere vere iniziative politiche. I tweet da soli non sono sufficienti.
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L’ambasciatore americano a Bruxelles, Howard Gutman, si è trasformato in un “punching ball” la scorsa settimana. Gutman, che è ebreo e figlio di sopravvissuti all’Olocausto, è colpevole di aver osato affermare che l’occupazione israeliana della Cisgiordania e lo scontro con i palestinesi rafforzano l’antisemitismo in Europa.
“Nelle comunità musulmane che ho visitato, ci sono notevoli serbatoi di rabbia e risentimento, e qualche volta ci sono anche espressioni di violenza e di allarmismo contro gli ebrei in generale come conseguenza delle continue tensioni tra Israele, i Territori palestinesi, e gli Stati arabi in Medio Oriente”, ha detto Gutman. Egli ha aggiunto che”ogni razzo lanciato oltre il confine, e ogni rappresaglia israeliana non fanno altro che peggiorare il problema e danneggiare gli sforzi di coloro in Europa che lottano contro l’odio e il pregiudizio”.
Gutman è stato preso di mira da ogni direzione: le organizzazioni ebraiche in Europa lo hanno aspramente criticato sostenendo che giustificava l’antisemitismo. Le organizzazioni ebraiche americane, le quali hanno sostenuto che il fatto che Gutman è ebreo fornirà ulteriori “cartucce” ai nemici di Israele, hanno invitato l’amministrazione Obama a fargli una reprimenda. I candidati repubblicani alla presidenza hanno esortato il Presidente Obama a esonerarlo dall’incarico.
Ma, nonostante la “cacofonia” proveniente dagli ebrei americani, il governo israeliano è rimasto in silenzio. Non un solo portavoce si è presentato davanti alle telecamere per condannare l’ambasciatore americano, e non un solo ministro ha sostenuto che ciò è un esempio dell’ostilità dell’amministrazione Obama nei confronti di Israele.
Può darsi che la ragione di ciò abbia a che fare con il fatto che lo stesso governo israeliano ha una valutazione della situazione identica a quella dell’ambasciatore americano. I rapporti del ministero dell’informazione e della Diaspora, che ha il compito di monitorare l’antisemitismo in tutto il mondo, hanno sottolineato questa tendenza negli ultimi tre anni.
Un rapporto consegnato al governo nel gennaio 2010 ha dichiarato che l’operazione “Piombo Fuso” e il danno inferto ai palestinesi in conseguenza dell’operazione hanno portato ad una grande ondata di antisemitismo in Europa, soprattutto da parte degli immigrati musulmani. Un rapporto consegnato al governo dal ministro Yuli Edelstein nel gennaio 2011 ha detto cose simili.
“L’attività antisemita nel 2009 ha avuto un’intensità senza precedenti – soprattutto dopo l’operazione ‘Piombo Fuso’”, dice il rapporto. “Nel 2010, vi è una netta diminuzione in questa tendenza, che è evidentemente legata al fatto che durante lo scorso anno non si sono verificati eventi straordinari di violenza né vittime nel conflitto tra Israele e i suoi vicini, e tra Israele e i palestinesi. In ogni caso il 2010 è stato caratterizzato, come tutti gli anni successivi allo scoppio della seconda Intifada nel 2000, da un numero piuttosto alto di manifestazioni antisemite, il cui numero è significativamente più elevato rispetto a quelli riportati durante gli anni ‘90″.
Un funzionario di alto livello del ministero dell’informazione e della Diaspora è rimasto sorpreso dalla tempesta causata dalla dichiarazione dell’ambasciatore americano. “Cosa c’è di nuovo?”, si è domandato. “E’ da un bel po’ di tempo che sottolineiamo questo fenomeno. In assenza di una giustificazione per le azioni di Israele nei territori, il fatto è che quando esplode un scontro con i palestinesi, l’antisemitismo cresce nel mondo”. Abe Foxman (direttore dell’organizzazione ebraica “Anti-Defamation League” con sede negli USA (N.d.T.) ) e Newt Gingrich, prendete nota. […]
Barak Ravid è un giornalista israeliano; è corrispondente diplomatico del quotidiano Haaretz; in precedenza ha lavorato per il quotidiano Maariv
(Traduzione di Roberto Iannuzzi)

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