Israele e gli islamisti: parliamone

  Israele è spaventato dall’onda islamista, ma non esclude il dialogo. Intanto i giornali salutano il risultato delle elezioni egiziani con titoli che parlano di “uragano”, “diluvio” o “tsunami”. 
  traduzione di Rino Finamore
 Il ministro della difesa, Ehud Barak, li ha definiti “molto preoccupanti”. Gli ufficiali, in maniera fredda, hanno fatto notare come ci fossero ben poche e preziose relazioni ancora da rompere, dopo che a lungo l’Egitto ha continuato a tagliare i legami come punizione da infliggere a Israele per non aver voluto fare concessioni ai palestinesi durante il processo di pace.
I piani agricoli israelo-egiziani si sono arenati tempo fa. Le fabbriche con collegamenti in Israele che hanno goduto di esportazioni senza dazi doganali verso gli Stati Uniti hanno chiuso i battenti.
Da quando è iniziata la rivoluzione egiziana, i turisti israeliani hanno smesso di arrivare, senza contare che quest’anno gli egiziani hanno fatto esplodere anche un gasdotto che porta gas a Israele, per ben nove volte.
L’ambasciata israeliana al Cairo è ancora chiusa. Ma potrebbe andare peggio.
Prima che fossero firmati gli accordi di pace di Camp David , 33 anni fa, il fronte israeliano con l’Egitto era quello più minaccioso, e ora potrebbe tornare ad esserlo.
La frangia palestinese dei Fratelli Musulmani, Hamas, che per la delusione di Israele, governa ancora la striscia di Gaza, incuneata proprio al confine tra i due paesi, spera nel fatto che delle migliori relazioni con un governo egiziano di matrice islamista possano rafforzare la sua posizione.
Più a sud, la penisola egiziana del Sinai sta diventando una terra di nessuno, con beduini e militanti islamisti in completa libertà.
Israele è ancora riluttante all’idea di un attacco per paura di causare una guerra ben più ampia.
Ricordiamo che quando le truppe israeliane spararono su alcuni militanti con uniforme militare egiziana, rei di aver ucciso otto israeliani in un villaggio turistico sul  Mar Rosso ad agosto, dalla parte israeliana del confine, manifestanti egiziani presero d’assalto la sua ambasciata al Cairo.
Un altro attacco simile potrebbe portare alla rottura definitiva delle relazioni diplomatiche bilaterali.
Anche se gli islamisti egiziani stanno evitando di rompere il trattato di pace, Israele teme che cercheranno di modificare le clausole che prevedono la demilitarizzazione della regione del Sinai.
E poi potrebbero anche sottoporre il trattato ad un referendum.
I salafiti, nonostante si dichiarino al momento "nonviolenti" potrebbero lo stesso – teme Israele – svoltare verso la strada jihadista.
E i generali israeliani stanno già correndo ai ripari. Hanno accelerato i lavori per la costruzione di un enorme muro di cemento sul confine Israeliano con l’Egitto, lungo 240 km e dispiegato un’altra brigata per pattugliarlo.
I “droni” fanno capolino lungo il confine nel Sinai. Alcuni generali israeliani credono che i vecchi legami con le controparti egiziane resisteranno. Sono forse troppo ottimisti.
Se gli islamisti arrivassero a governare l’Egitto cercherebbero lo scontro con Israele? I precedenti non sono molto incoraggianti.
Quando Hamas vinse le elezioni nel 2006, rivendicando il suo controllo esclusivo su Gaza l’anno seguente, Israele optò per il boicottaggio l’assedio a meno che Hamas non avesse riconosciuto lo Stato di Israele, tra le altre cose.
Dopo la caduta del presidente Hosni Mubarak a febbraio, i diplomatici israeliani al Cairo suggerirono una strategia di apertura ai Fratelli Musulmani, prima di ricevere ordini dall’alto di desistere.
Gli Israeliani spesso riconoscono che l’ordine, anche se imposto da parte di un’entità ostile, è meglio del caos. (Questa teoria sarebbe applicabile al caso della Siria della famiglia Assad).
Inoltre, grazie ai contatti indiretti e informali tra Israele e Hamas, un briciolo di pace è tornata a Gaza. “Con Hamas possiamo fare quel che vogliamo”, afferma un israeliano dopo averci parlato.
Placando  le pragmatiche dichiarazioni dei Fratelli Musulmani, i leader del Cairo lasciano presagire un compromesso. Muhammad Salem Awa, uno dei leader della Fratellanza, ha condannato l’attacco all’ambasciata israeliana.
Il manifesto del programma elettorale dei Fratelli Musulmani afferma infatti l’esigenza di mantenere tutti gli accordi internazionali, presumibilmente compresi anche quelli con Israele.
Il desiderio dei Fratelli Musulmani di avere delle buone relazioni con l’Occidente e di far rivivere il turismo renderà lo scontro meno probabile.
Come un segno del destino, Rachid Ghannouchi, leader di el-Nahda, il partito islamista tunisino più vicino ai Fratelli Musulmani, ha avuto degli incontri riservati con gli Israeliani a Washington.
Ha affermato che la Costituzione tunisina non impedirà ulteriori confronti.
“Il nuovo Islam politico è più realista” afferma l’ambasciatore israeliano uscente in Egitto Yitzhak Levanon, auspicando un confronto.
Per decenni le forze di sicurezza israeliane hanno gestito la politica con l’Egitto. Ma dal momento che i generali stanno perdendo potere nella regione, i politici Israeliani, compresi i più religiosi potrebbero provarci.
“Gli uomini religiosi si intendono meglio” , afferma il ministro per gli Affari Religiosi, Yaakov Margov, dello Shas, uno dei due partiti ortodossi all’interno della coalizione di governo israeliano.
“Sono pronto ad incontrare i Fratelli Musulmani comunque e dovunque”, insiste.
Al suo leader di partito, Eli Yishai,  è stato offerto di incontrare Hamas, ma altri esponenti dell’allora governo israeliano lo hanno rimesso al passo.
 * questo articolo è apparso sulla versione cartacea dell'Economist del 10 dicembre 2011

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