Palestina : Mustafa Tamimi. ucciso dall'IDF durante la manifestazione contro ilMuro e l'espansione delle colonie

1Giovane palestinese ucciso dall’esercito durante una dimostrazione contro gli insediamenti   


Ramallah (AsiaNews/Agenzie) – Un giovane palestinese è morto stamane in un ospedale israeliano per le ferite al volto e al cervello riportate durante una dimostrazione contro gli insediamenti illegali nella West Bank.

Mustafa Tamimi 28 anni (v. foto), è stato colpito ieri da un proiettile di gas lacrimogeno in pieno viso, sparato dalle forze israeliane durante una manifestazione nel villaggio di Nabi Saleh.

I militari israeliani affermano di aver solo usato “mezzi per disperdere le rivolte”. Ma molti si domandano se non vi è uso eccessivo di forza. Durante la dimostrazione, un ragazzo è stato colpito da un proiettile di gomma e ha avuto una gamba rotta; una ragazza ha invece un braccio rotto.
Tamimi, colpito alla faccia, è morto per danni al cervello.

Da almeno tre anni a Nabi Saleh vi sono manifestazioni contro la confisca di terreni e la messa in atto di insediamenti israeliani illegali. Per fermare le rivolte, l’esercito israeliano ha lanciato anche radi notturni contro i palestinesi residenti e arresta chi è accusato di aver lanciato pietre contro di loro.

Btselem, un gruppo israeliano per i diritti umani, ha dichiarato che Tamimi è la 20ma vittima ad essere uccisa in dimostrazioni simili nella West Bank in otto anni.
Giovane palestinese ucciso dall’esercito durante una dimostrazione contro gli insediamenti





2  Paola Caridi :Un arabo invisibile   
http://invisiblearabs.com/?p=4031
Una foto di famiglia, di quelle scattate bene. L’ultimo a sinistra, quel giovane uomo con la camicia bianca, si chiamava Mustafa Tamimi. Si chiamava, al passato, perché stamattina è morto all’ospedale israeliano di Petah Tikva per le ferite riportate durante una manifestazione pacifica di protesta a Nabi Saleh, un paesino di poche centinaia di anime divenuto da anni un simbolo delle proteste nei Territori Occupati Palestinesi non solo contro il Muro, ma – in questo caso – contro l’arrogante espansione delle colonie israeliane su terra palestinese. Le varie testimonianze – confermate a prima vista dalle foto e dai video postati su internet – dicono che Mustafa Tamimi, 28 anni, è stato raggiunto alla testa da un candelotto lacrimogeno sparato dai soldati israeliani, a breve distanza e, sembra, ad altezza d’uomo.

(su internet, questa viene indicata come la foto che mostra Mustafa Tamimi qualche istante prima di essere colpito.) (Picture credit: Haim Scwarczenberg)
(dopo essere stato colpito)
Nabi Saleh è veramente un posto piccolo. Piccolo in Cisgiordania. Figuriamoci quando lo si va a cercare nelle immagini via satellite di Google. Il suo essere un paesino di poche centinaia di anime non vuol dire, però, che agli occhi del mondo debba essere invisibile. Anzi, da anni è divenuto una sorta di simbolo, anche fuori dalla Palestina, perché i suoi abitanti vogliono continuare a vivere come hanno sempre vissuto, senza vedersi erodere la terra attorno a loro. Sorgente compresa.
“Ogni venerdì, e spesso anche dopo la fine della scuola, negli altri giorni della settimana, i soldati israeliani sparano lacrimogeni e bombe sonore ai bambini palestinesi quando si avvicinano alla sorgente. Si trova nella valle che separa Nabi Saleh, un villaggio arabo di 500 persone, a mezz’ora di macchina a nord di Gerusalemme, da Halamish, una colonia ebraica religiosa. Durante la gran parte delle notti, le jeep [militari] attraversano il paesino; nello scorso anno e mezzo l’esercito israeliano ha arrestato 32 bambini di Nabi Saleh, alcuni di appena 11 anni. Molti sono stati prelevati dai loro letti, incarcerati in detenzione amministrativa per mesi, e portati in manette in tribunale, dove sono stati poi condannati per lancio di pietre.
Per alcuni dei coloni di Halamish, irritati dai gas lacrimogeni che arrivano nei loro salotti dall’altra parte della collina, questo non è abbastanza duro. “I soldati non rompono abbastanza le ossa ai palestinesi”, si lamenta Iran Segal. Un anno e mezzo fa ha messo un cartello battezzando la sorgente col nome di suo padre, alimentando la rabbia tra i palestinesi che hanno visto questa mossa come un furto di terra”
Quello che vi ho tradotto non è il brano di un blog, o di un attivista palestinese. È il brano di un reportage dell’Economist dello scorso luglio. Ed è la descrizione di un’atmosfera di cui Nabi Saleh è solo un simbolo. Il simbolo che rappresenta ciò che succede, ogni giorno, in Cisgiordania, da nord a sud. Da Nablus a Hebron, passando per Gerusalemme est e i dintorni di Ramallah. Questa è la realtà, nascosta ai più. Di certo, nascosta al pubblico più largo dei quotidiani e dei settimanali, che poi si stupiscono quando – d’un tratto – scoppia la violenza. Qui, o altrove.
Mustafa Tamimi non è il primo palestinese ucciso in queste manifestazioni. Basta cercare su internet, e leggersi, i rapporti di associazioni per i diritti umani come l’israeliana Bt’selem. Oppure leggersi i rapporti dell’ufficio umanitario dell’ONU, l’OCHA. Oppure i rapporti delle associazioni palestinesi per la difesa dei diritti umani e civili. Le testimonianze, i rapporti, persino i reportage giornalistici non mancano, su Nabi Saleh, su Bilin, su Biddu, sugli attacchi dei coloni israeliani ai palestinesi e alle loro proprietà. Non arrivano ai giornali, ma chi vuole saperne di più ha oggi strumenti importanti per farsi una opinione propria. Grazie non solo ai giornalisti, ma a quel giornalismo diffuso e di strada che nel mondo arabo ha fatto la differenza, in questi ultimi anni.
La differenza, rispetto a prima, è infatti che il ferimento e la morte di Mustafa Tamimi sono arrivati in tempo reale nell’agorà regionale e mondiale. Almeno sulla Rete, su Twitter, sui social network. In un tam tam virtuale che diventa, poi, reale in Palestina. Quando twitter ha diffuso la notizia del ferimento di Mustafa Tamimi, c’è stato uno scambio di messaggi tra Joseph Dana, giornalista israeliano che da anni segue le manifestazioni pacifiche in Cisgiordania, e la portavoce dell’esercito israeliano, Avital Leibovich, che ha postato un tweet con la foto di una fionda, in risposta a Joseph Dana. Il testo, letterale, era il seguente: “@ibnezra ths is what he was doing”.
Si vedrà, nei prossimi giorni, come l’esercito israeliano risponderà – se così oppure in maniera diversa, e semmai più articolata – a una uccisione che, già ora, sta diventando un caso. Per le modalità, per chi è stato ucciso, e persino per la risposta della Rete. Immediata, diffusa, arrabbiata. A poche settimane dalle vittime dei lacrimogeni a piazza Tahrir. E a un giorno dall’anniversario dello scoppio della prima intifada: 24 anni fa, era il 1987, di dicembre. Anche allora, la reazione dei militari (dietro l’input delle autorità politiche) fu molto dura, di fronte a una rivolta in cui si usarono scioperi, disobbedienza civile, e pietre. Pietre come quelle che molto probabilmente Mustafa Tamimi ha tirato ieri, prima che la sua testa fosse colpita da un candelotto lacrimogeno lanciato a distanza ravvicinata.
Non è più il tempo della seconda intifada, in Palestina. Per fortuna, non c’è terrorismo, attentati suicidi, bombe. Ci sono manifestazioni nei paesini della Cisgiordania, disobbedienza civile, boicottaggi, strumenti politici, e pietre. Se il mondo non riesce ancora ad accorgersi di questa differenza, e di quanto sia determinante per il conflitto, allora questo mondo continua a essere cieco di fronte ai cambiamenti della regione che l’hanno già sorpreso una volta, all’inizio di questo 2011.
Sono molto istruttivi, per usare un terribile eufemismo, i commenti pubblicati sotto il testo della notizia della morte di Mustafa Tamimi sul Jerusalem PostVi prego di leggerli. Qualsiasi ulteriore riflessione da parte mia è veramente superflua: parlano da soli.
Oggi pomeriggio, a Ramallah, è prevista una veglia funebre, mentre domani mattina alle 10, sempre da Ramallah, partirà il funerale, in direzione Nabi Saleh. Non occorre essere una indovina per prevedere che domani non sarà una giornata semplice.
Il brano della playlist è in linea con il mood del momento, dopo aver seguito questa notizia da ieri sera. In a sentimental mood, di Chet Baker (e grazie, per la segnalazione, a un’amica di FB).

3   Israel Once Again Murders Unarmed Palestinian Protester

Vicious reader comments left on JPost article on Tamimi

5   Ministry of Hasbara: IDF Has Become Israel’s Chief Delegitimizer


allegati

Palestina: storie di donne che lottano senza armi .Il villaggio di An Nabi Saleh



6  Quando la vita vale poco


Consigli di lettura, stamattina. Concentrati, come vedrete, sulla morte di Mustafa Tamimi, l’attivista palestinese di 28 anni ucciso da un candelotto lacrimogeno sparato a distanza ravvicinta da un soldato israeliano, dall’interno di una camionetta. La morte di Tamimi è diventato subito un caso, perché è il simbolo – evidente, ma solo a chi è qui – di quello che succede in Cisgiordania. Di quello che l’espansione delle colonie provoca (a proposito, oggi il ministro della difesa Ehud Barak ha dato il via libera alla costruzion di altre 40 unità immobiliari in uno dei blocchi di colonie più imponenti, Gush Etzion, che si estende da Betlemme a Hebron tagliando la Cisgiordania meridionale). Eppure, a guardare la rassegna stampa italiana, questa morte assurda e violenta non ha rilievo.

Non mi stupisco, ovviamente. Ma proprio per questo forse è il caso di dare, a chi legge questo blog, altri consigli di lettura. Per non trovarsi poi, ancora una volta, sguarniti di fronte agli eventi mediorientali. Il primo consiglio viene dalla stampa israeliana. Perché a Mustafa Tamimi Haaretz ha dedicato oggi il suo editoriale, dal titolo chiaro. “In Israele, la vita di un palestinese vale poco”, scrive Haaretz, descrivendo non solo come Tamimi è morto, ma anche i casi lo hanno preceduto. Vale la pena leggerlo.

On the day Tamimi was killed, Chaim Levinson published a report in Haaretz that dealt with the failings of the Israel Police’s Judea and Samaria District with regard to investigations into harm to Palestinians. Concerning the killing of 10-year-old girl Abir Aramin by the IDF in early 2007, the High Court of Justice ruled that the incident was improperly handled; and to date, no one has been called on to answer for the 2009 killing of demonstrator Bassem Abu Rahme. Will the death of Mustafa Tamimi be added to the statistics that show that in Israel, the life of a Palestinian is cheap?

Negli stessi momenti in cui Mustafa Tamimi veniva ucciso, Newt Gingrich pronunciava il suo verbo. “I palestinesi sono un popolo che non esiste”. Un mantra che ho sentito con le mie orecchie pronunciare alla destra israeliana, che chiama i “palestinesi” semplicemente “arabi”, senza alcuna connotazione nazionale, e candidamente propone una ricetta semplice: i paesi arabi si potrebbero dunque prendere i palestinesi, così da realizzare il disegno della Grande Israele, fino al Giordano. E’ il disegno dei coloni, e Gingrich non ha fatto altro che sdoganarlo e proporlo al suo elettorato. I palestinesi, dal canto loro, si sono un po’ indispettiti, per il Gingrich-pensiero… Propongo, allora, la lettura del commento di una giornalista palestinese intelligente, acuta e brillante come Joharah Baker, su Miftah. E’ un commento che, non poteva essere altrimenti, mette insieme Mustafa Tamimi e Gingrich. I commenti ulteriori sono superflui.

Se non avete ancora abbastanza, e volete leggere altre notizie che non leggerete sulla stampa mainstream, ecco allora una cronaca di Maannews, agenzia di stampa palestinese, che parla dell’attacco compiuto ieri, domenica, da centinaia di coloni (“erano armati, e indossavano uniformi nere, come se fossero una milizia”, dicono i testimoni) contro un villaggio palestinese vicino Nablus. Altra area, quella sì, dove la violenza dei coloni si fa sentire quotidianamente, o quasi. E per le conferme, ci si può affidare al settimanale rapporto dell’OCHA, l’ufficio Onu per le questioni umanitarie.

Ah, non è finita, perché sul sito online di Yediot Ahronot, Ynet, è arrivata agli onori della cronaca la querelle scoppiata su twitter per le frasi – irriverenti – scritte da alcuni ufficiali dell’esercito israeliano sulla morte di Mustafa Tamimi, e riportate dal britannico Telegraph. Anche in questo caso, i commenti sono veramente pleonastici.

E poi Gaza: capitolo che non ha avuto molta risonanza, nonostante nello stesso giorno in cui è stato ucciso Mustafa Tamimi in Cisgiordania, nella Striscia sia invece morto un ragazzino di 12 anni, dopo un bombardamento israeliano su quella che è stata definita una installazione militare di Hamas. La tensione a Gaza e nel sud di Israele è di nuovo salita dopo che l’aviazione israeliano ha fatto il 7 dicembre un bombardamento di tipo preventivo per prevenire – appunto – la possibilità di lanci di razzi contro i soldati di Tsahal. Raid su Gaza City, miliziani della Jihad islamica uccisi, e successivo lancio di razzi contro le cittadine del Negev. Di nuovo bombardamenti israeliani su Gaza, il 9 dicembre, e stavolta il bilancio delle vittime sale: un morto, e 13 membri della sua famiglia feriti, compresi 7 bambini. E’ la escalation di rito, per così dire, ma questo cinismo da cronista non rende meno duro il fatto che la gente muoia. Anzi.



7A courageous Palestinian has died, shrouded in stones

The army spokesman was right - Mustafa died because he threw stones; he died because he dared to speak a truth, with his hands, in a place where the truth is forbidden.

By Jonathan Pollak

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