Marwan Barghouti :Palestina 2012: "l'anno della resistenza non violenta di massa"

Il 3 gennaio ad Amman, in Giordania, si è svolto il primo incontro tra negoziatori israeliani e palestinesi dopo oltre 15 mesi di stallo nelle trattative. Una concessione del presidente Abbas alle pressioni del 'Quartetto', che però ha portato ad un nulla di fatto. Intanto, dal carcere, il leader Marwan Barghouti scrive una lettera aperta al suo popolo per spingerlo alla resistenza nonviolenta.
di Cecilia Dalla Negra    Un esercizio di diplomazia fine a se stesso, che non ha portato alcun risultato. Annunciato come tale ancor prima di svolgersi, l’incontro di Amman tra Yitzhak Molcho, collaboratore di Benjamin Netanyahu, e Saeb Erekat, capo negoziatore dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), è stato il primo dopo oltre 15 mesi di stallo nei negoziati fra le due parti per un processo di pace che di fatto resta bloccato.  
Un gesto di apertura del presidente palestinese Mohammud Abbas (Abu Mazen) verso le pressioni del Quartetto - Usa, Ue, Russia, Onu - che non ha ceduto però sulla precondizione imposta per tornare al tavolo dei negoziati: lo stop alla costruzione di colonie israeliane in Cisgiordania.
Un punto fermo nella politica del presidente palestinese, sistematicamente rifiutato dal governo di Netanyahu, che non ha rivelato sorprese neanche questa volta, salvo la disponibilità data allo studio di un documento, presentato da parte palestinese, sui possibili confini del futuro Stato.
Un appuntamento privo di contenuti, ed illogicamente basato su una distorta equidistanza tra le parti, per il quale non si nutrivano particolari aspettative, ma che ha prodotto una reazione importante: il giorno seguente al meeting, dalle pagine dei principali quotidiani palestinesi, è tornato a rivolgersi al suo popolo il leader di al-Fatah Marwan Barghouthi.
Una lettera aperta, scritta dal carcere israeliano in cui è rinchiuso dal 2002 con una condanna a 5 ergastoli, per incitare il popolo palestinese a fare del 2012 “l’anno della resistenza popolare nonviolenta di massa”.
Barghouthi, tra i personaggi politici più amati in Palestina, incarcerato in seguito all’ondata di attentati suicidi nel corso della seconda Intifada, ha parlato chiaro: “Il processo di pace – scrive – è fallito, è finito: andare avanti sarebbe come tentare di rianimare un cadavere di cui non c’è alcun bisogno”.
Il 2012 appena iniziato, secondo Barghouthi, “è da considerare come l’anno della resistenza popolare contro il colonialismo, l’aggressione e la giudeizzazione di Gerusalemme e della Palestina”. 
Un messaggio rilanciato anche da un altro Barghouthi, Moustafa, segretario generale del partito al-Mubadara, che nel respingere a sua volta l’incontro di Amman ha invitato i palestinesi ad “unirsi alla resistenza popolare nonviolenta”: sostenere una ripresa dei negoziati finché la Palestina vive “in una condizione di guerra e oppressione”, secondo il leader, non avrebbe senso. 
Numerose le critiche al presidente Abbas per aver accettato di sedere al tavolo giordano, che sono arrivate da diverse fazioni.
Per Hamas l’incontro è stato “una farsa e una perdita di tempo”. Fawzi Barhoom, portavoce del gruppo islamico, ha sottolineato che i dialoghi con Israele “contraddicono le speranze e le ambizioni del nostro popolo”.
Incontro rigettato anche dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina e dal Fronte democratico, oltre che da Partito popolare che ha ribadito, con le parole del segretario generale Bassam Al Sahli, come “l’ultima cosa che i palestinesi vogliono è una serie di negoziati diretti o indiretti con Israele senza che le nostre condizioni siano accettate”. 
Ma nonostante la concessione del presidente Abbas al Quartetto, le intenzioni dell’Anp restano chiare: “L’incontro di Amman non rappresenta il rilancio del processo di pace” ha fatto sapere il presidente, avvertendo ancora una volta Israele che, se non fermerà la costruzione di colonie illegali in Cisgiordania, ulteriori iniziative saranno intraprese in seno alle Nazioni Unite. 
Un tentativo disperato di alzare la voce nel silenzio internazionale che continua a circondare la colonizzazione israeliana della Palestina, e che ha visto incassare una prima sconfitta del presidente Abbas alle Nazioni Unite: non è riuscito infatti ad ottenere i voti necessari per portare avanti la richiesta di riconoscimento dello Stato presso il Consiglio di Sicurezza, a causa delle pressioni esercitate, in primo luogo, dagli Stati Uniti. 
E mentre ad Amman andava in scena l’ennesimo atto della farsa dei negoziati, il governo di Netanyahu dava il via libera alla costruzione di 300 nuove unità abitative a Gerusalemme Est

6 gennaio 2012

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