La posizione dei palestinesi sulla Siria e un possibile intervento esterno


bandieraPiù di 5.000 civili sono stati uccisi negli scontri tra le forze armate siriane e l’opposizione da marzo 2011 ad oggi. Mentre l’opinione pubblica internazionale si è scissa in due grandi poli a seconda della necessità o meno di intervenire militarmente nel territorio, i palestinesi sono per la gran parte contrari a qualsivoglia intrusione esterna.




Nassar Ibrahim, scrittore, attivista politico palestinese, e co-direttore dell’Alternative Information Center, condivide con noi il suo pensiero sui fatti correnti.

Se si domanda ai palestinesi cosa pensano dell’attuale situazione in Siria, nella gran maggioranza dei casi la risposta sarà conforme a quella data dai loro cugini arabi – cioè di ferma opposizione nei confronti di ogni intervento militare esterno nel paese. Ciononostante, pur essendoci un generale rifiuto nei confronti di un’eventuale intromissione straniera in Siria, i palestinesi si distinguono per diverse opinioni e reazioni a seconda del partito politico di rappresentanza.

A questo proposito, c’è un conflitto storico in corso tra Fatah – uno dei partiti politici palestinesi più forti – e la leadership siriana. La tensione tra le due parti è cominciata nel periodo poco precedente gli Accordi di Oslo, quando la Siria era contraria ad ogni accordo unilaterale tra Palestina e Israele. I vertici siriani spingevano per realizzare una coalizione tra i paesi arabi (Siria, Egitto, Libano e Palestina) i cui territori erano stati espropriati durante l’occupazione israeliana e fronteggiare assieme sia il potere israeliano che quello delle forze alleate americane ed europee. A questa proposta, Fatah pose un secco rifiuto e, in un primo momento, strinse ulteriormente i suoi rapporti con la monarchia giordana e, in seguito, firmò gli Accordi di Oslo con Israele.

Da un lato la Siria ha sempre creduto nell’inutilità dei negoziati israelo-palestinesi e, se oggi guardo i scarsi o nulli risultati ottenuti, non posso dargli torto. Dall’altro lato, Fatah temeva l’intervento siriano nella realtà politica palestinese e, per questo motivo, ha deciso di prenderne le distanze. L’Autorità Palestinese e Fatah non capiscono come la questione non sia proteggere la propria indipendenza dalle mire siriane ma fare fronte comune e riprendersi i territori persi con l’occupazione israeliana.

Se i rapporti tra le autorità palestinesi e siriane sono deteriorati a partire dagli anni ’90, nel presente il divario tra le due parti si è espanso ulteriormente. Infatti, poiché tutti i partiti politici palestinesi di opposizione, contrari agli Accordi di Oslo, hanno il loro quartier generale a Damasco e da lì lanciano dure invettive contro l’Autorità Palestinese, la leadership palestinese considera il governo siriano alla stregua di un nemico che supporta l’opposizione.

Per quanto riguarda la posizione dei partiti politici palestinesi di sinistra (es. PFLP) sull’attuale situazione siriana, questa è ambivalente. Se da un lato credono nei valori di democrazia e libertà e spingono per l’attuazione delle relative riforme, dall’altro sono contrari ad ogni attacco che potrebbe scalfire il ruolo della Siria come rappresentante della resistenza all’egemonia americana. I partiti politici di sinistra credono che la situazione debba essere risolta internamente e senza alcun intervento da parte sia della NATO che degli stati del Golfo.

A seguire, Hamas – che ha le sue radici nel movimento dei Fratelli Musulmani e continua a mantenere stretti legami con l’organizzazione – si sta dimostrando sorprendentemente silenzioso di fronte alla scalata al potere dei suoi ‘fratelli’ regionali. Hamas è confuso. E’ ben conscio che il principale partito di opposizione in Siria è rappresentato dai Fratelli Musulmani ma non può negare l’aiuto ricevuto in passato dal governo siriano.

Sicuramente Hamas è in attesa della svolta ‘democratica’ – per quanto sia difficile credere nelle sue intenzioni democratiche – e sta aspettando in silenzio ciò che seguirà a breve. Quando il tempo sarà propizio, Hamas userà il potere dei Fratelli Musulmani per un attacco contro Israele.

Sono convinto che il 99% dei palestinesi è contrario all’intervento della NATO in Siria. Il 50% supporta il crollo del regime siriano e si augura una svolta democratica ma teme l’intromissione delle potenze occidentali e delle petro-monarchie all’interno della politica interna del paese. Inoltre, se i palestinesi sono generalmente concordi sull’aiuto dato dalla Siria a Hezbollah, quando si parla di stabilire uno stato palestinese sotto il controllo di Hamas, il movimento secolare e i simpatizzanti di Fatah oppongono fermamente l’idea.

Fino a sei mesi fa era difficile stabilire cosa sarebbe successo di lì a breve per le troppe carte ancora coperte sul tavolo. Ora, le contraddizioni stanno a poco a poco emergendo e i fronti opposti hanno deciso di giocare apertamente. Stati Uniti, Turchia, Unione Europea e stati del Golfo si sono sbarazzati degli slogan inneggianti alla democrazia e ai diritti umani e si sono rivelati per quel che sono. Non mirano a punire solo la Siria ma anche la Russia, la Cina.

I palestinesi, come gli altri popoli arabi, sono scesi in strada per protestare contro il discusso intervento occidentale in Siria. Quando si parla però di prendere una chiara posizione sul se si augurino o meno che il regime siriano sia rovesciato, è opportuno tenere a mente il complesso sistema politico palestinese e i meccanismi che lo regolano.

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