I CANDIDATI ALLA PRESIDENZA EGIZIANA: COME VEDONO L’IRAN, L’ARABIA SAUDITA, LA PALESTINA E ISRAELE?


24/05/2012
Quale ruolo regionale giocherà il nuovo Egitto? L’analista Mustafa el-Labbad esamina le posizioni dei principali favoriti alle presidenziali egiziane in materia di politica estera
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Il recente confronto televisivo tra i due candidati alla presidenza egiziana, Amr Moussa e Abdel Moneim Aboul Fotouh, ha comprensibilmente catturato l’attenzione dell’opinione pubblica egiziana ed araba, soprattutto per la novità che questo tipo di confronto rappresenta per gli elettori. Con le luci dei riflettori puntate addosso, con i consueti attacchi personali di ogni candidato contro l’altro, e con la preponderanza delle questioni interne nei dibattiti, le problematiche regionali e la futura posizione dell’Egitto in proposito sono rimaste ai margini della discussione. A sua volta, questa marginalizzazione ha creato un vuoto di analisi enorme, soprattutto se si pensa che il presidente della repubblica in Egitto è colui che, prevalentemente, determina le caratteristiche della politica regionale ed internazionale del paese. Forse l’assenza di una Costituzione ben definita è l’esempio più lampante dello stato di confusione che l’Egitto vive attualmente, poiché i candidati si rivolgono all’opinione pubblica senza conoscere, neanche approssimativamente, i limiti dell’incarico del prossimo presidente ed i suoi poteri, né la forma  del sistema politico: si tratta di una repubblica presidenziale nella quale il presidente gode di tre quarti del potere derivante dal regime politico, come effettivamente è stato dal 1954 al 2011, o si tratta di un regime semi-presidenziale, su ispirazione di quello francese, come vogliono segnatamente i Fratelli Musulmani? Ad ogni modo, nonostante la focalizzazione da parte dei candidati sulle questioni interne, l’altra faccia della medaglia, qualunque siano le politiche regionali ed internazionali, rimane nascosta. Questo articolo, si propone dunque di studiare i capisaldi della politica regionale dei quattro principali candidati alle prossime elezioni ovvero: Amr Moussa, Abdel Moneim Aboul Fotouh, Hamden Sabahi e Mohammad Mursi.
Pare che tutti e quattro i candidati convengano sul carattere di urgenza che la questione delle acque del Nilo ha per l’Egitto, poiché la terribile erosione dell’influenza egiziana in Africa ha avuto ricadute sullo status legale del paese riguardo alle acque del Nilo, a seguito della nascita di una coalizione tra i paesi che si trovano alle sorgenti del fiume, capeggiati dall’Etiopia, i quali hanno cercato di imporre un nuovo quadro di accordi che sconvolgerebbe l’equilibrio delle quote idriche a discapito degli interessi egiziani. Perciò è prevedibile che il Cairo, chiunque sia il candidato vincente, punti al rafforzamento della propria influenza nel continente nero al fine di conservare i propri diritti storici sulle acque del Nilo. A sostegno dell’esattezza di tale previsione c’è il fatto che l’Egitto è la più grande oasi del mondo, e che la gestione e l’organizzazione dell’irrigazione erano pilastri fondamentali per il paese già migliaia di anni fa; dunque, dire che queste acque costituiscono un’arteria vitale per il paese significa dare un’immagine che riflette la realtà effettiva, al di là della metafora linguistica. Forse l’equilibrio di forze tra i paesi a valle (Egitto e Sudan) e i paesi a monte, guidati dall’Etiopia, con un relativo sbilanciamento durante gli ultimi sette anni a discapito dei primi, potrebbe essere modificato più facilmente rispetto all’equilibrio di forze in Medio Oriente. È dunque verosimile che la revisione delle quote possa avvenire grazie alle capacità del “soft power” egiziano, poiché l’avversione di Mubarak per una così vitale questione per l’Egitto incoraggiò i paesi a monte a ratificare una convenzione quadro che imponeva una nuova realtà; e tutto ciò mentre figure simbolo del suo regime sbandierarono in più di un’occasione la “solida forza egiziana” per nascondere quest’avversione e i suoi relativi fallimenti.
Anche la questione palestinese – e soprattutto di Gaza – rimarranno  essenziali per l’Egitto, non solo per la vicinanza geografica della Striscia al Sinai, o perché una soluzione soddisfacente rappresenta un problema critico per gli interessi nazionali del paese, ma anche perché la questione palestinese costituisce il passaggio per raggiungere una posizione di potenza regionale. Questa è una realtà che è possibile verificare osservando l’esperienza dell’Egitto negli anni cinquanta e sessanta, o dell’Iran dopo la vittoria della sua rivoluzione, oppure della Turchia negli ultimi cinque anni.
Nell’ultimo confronto Amr Moussa ha detto di considerare Israele un avversario ostinato mentre Aboul Fotouh, nella stessa occasione, ha definito lo stato ebraico come un nemico, ed è verosimile che Hamden Sabahi e Mursi condividano la stessa visione di Aboul Fotouh, tutti per diverse ragioni. Presumibilmente, rispetto all’epoca di Hosni Mubarak, le relazioni israelo-egiziane entreranno in una fase di relativo raffreddamento, chiunque sia il prossimo presidente; sembra inoltre che Hamden Sabahi per le sue chiare tendenze nasseriste e Aboul Fotouh, per il suo retroterra islamista, saranno i candidati più sensibili all’oppressione del popolo palestinese e alla sua causa. Aboul Fotouh e Mohammad Mursi costruirebbero probabilmente la loro politica palestinese di concerto con Hamas ed i suoi interessi, mentre Amr Moussa continuerebbe, nella sua politica israeliana, a lanciare dichiarazioni roboanti senza però avere la capacità di realizzare un vero cambiamento sul terreno. Ad ogni modo, gli attuali equilibri di forza giocheranno un ruolo importante nel determinare la futura politica egiziana riguardo a Israele: tale politica potrà spingersi al massimo a fermare l’esportazione di gas e la normalizzazione nei rapporti, e forse anche a chiedere una revisione del trattato di pace che possa consentire la presenza militare egiziana in tutto il Sinai – un punto questo, ribadito in più occasioni  negli ultimi mesi ed anni da Sabahi.
Molti hanno rimproverato Amr Moussa per il suo lapsus quando ha definito l’Iran uno “stato arabo”, nonostante le sue ripetute dichiarazioni elettorali nelle quali si è concentrato su Iran e Turchia, descrivendoli come dei concorrenti regionali per l’Egitto. Benché Moussa, quando ancora era in carica come segretario delle Lega Araba, fosse l’ideatore dell’Arab Neighboring Policy (la Politica Araba di Vicinato) che ricevette le critiche del Cairo  e Riyadh a suo tempo – venendo avvertita come un’apertura istituzionale proprio verso Turchia ed Iran – tuttavia la sua campagna elettorale e le sue relazioni nel mondo arabo e nella regione, così come la sua visione per il nuovo Egitto, hanno in una certa misura influenzato negativamente la sua opinione rispetto ad Istanbul e Teheran. Invece Abdel Moneim Aboul Fotouh pare essere chiaramente influenzato dal modello portato avanti dalla Turchia, sia dal punto di vista del suo approccio ai vari aspetti dell’economia egiziana sia da quanto si evince dal suo slogan elettorale “L’Egitto tra le 20 economie più forti del mondo entro il 2022”, che riprende il discorso di Erdogan, il suo vocabolario politico e gli slogan del partito “Giustizia e Sviluppo” durante le ultime elezioni parlamentari turche.
La situazione invece appare diversa per quanto riguarda Mohammad Mursi, candidato dei Fratelli Musulmani, il quale se da una parte guarda positivamente alla Turchia e alla sua esperienza in economia e politica estera, dall’altra rimane, come anche il resto della confraternita, su posizioni ambigue per quanto concerne questo paese, a causa delle velleità da “califfato” e “guida del mondo” che la confraternita ha pubblicamente rivendicato e che cozzano oggettivamente con la posizione della Turchia, nonostante lo scontro appaia rimandato. Hamden Sabahi dal canto suo, ha manifestato una certa apertura nei confronti dell’esperienza turca, prendendo atto del cambiamento avvenuto a livello regionale in favore del paese anatolico, tuttavia il nocciolo della sua politica estera si fonda sull’idea dell’esistenza di una regione araba, che necessita di una guida egiziana; quindi, a suo avviso la cooperazione e la collaborazione con la Turchia non può andare oltre i rapporti di buon vicinato.
Il contrasto tra i quattro candidati torna a palesarsi con chiarezza quando si tratta della loro posizione rispetto all’Iran: Amr Moussa non sembra mostrare una grossa antipatia nei confronti dell’Iran, come invece mostrava Mubarak, ma la sostanza delle sue alleanze nella regione lo terrà lontano da un’alleanza con la Repubblica Islamica. La stessa cosa si potrebbe dire di Mohammad Mursi, anche se per ragioni diverse da Moussa, poiché la dimensione confessionale appare evidente per i Fratelli Musulmani nell’avere a che fare con l’Iran dopo la Primavera Araba, sebbene le storiche relazioni della confraternita con l’Iran risalgano agli inizi degli anni cinquanta del secolo scorso. C’è invece da aspettarsi che Aboul Fotouh e Sabahi saranno più pragmatici rispetto a Moussa e Mursi, aprendo alla Repubblica Islamica e alla collaborazione con questo paese. Tuttavia la chiara predilezione di Aboul Fotouh per la Turchia lo porterà a stabilire un’alleanza regionale con Ankara, mentre Sabahi, che ha rapporti di alleanza con i movimenti della resistenza araba ed islamica, pare il più propenso tra i quattro candidati a voler intrattenere relazioni più strette con l’Iran, arrivando persino all’alleanza e al coordinamento con questo paese.
Forse i rapporti con i paesi del Golfo rimangono il mistero più grande in merito alle posizioni dei quattro candidati alla presidenza, infatti nessuno ha mai fatto riferimento esplicitamente alle future relazioni tra Egitto ed  Arabia Saudita. Nonostante questo, sembra chiaro che il Regno Saudita preferisca Amr Moussa per numerose ragioni: la prima è che i restanti candidati si muovono entro uno schema ideologico ed intellettuale che non pare necessariamente consono agli orientamenti di Riyadh. Inoltre l’Arabia Saudita nutre qualche timore rispetto alle ambizioni politiche dei Fratelli Musulmani e alla loro teorica capacità di contrastare e sconfiggere il modello politico-religioso promosso da Riyadh; perciò Aboul Fotouh e Muhammad Mursi sembrano fuori dall’ambito delle puntate saudite. Stesso discorso vale per Hamden Sabahi il quale deve molto intellettualmente ed ideologicamente all’esperienza storica del nasserismo che fu in conflitto con l’Arabia Saudita, con le sue ambizioni e il suo modello politico-sociale, e con la sua rete di alleanze regionali ed internazionali.
In conclusione, l’equilibrio regionale attuale poggia sul “cadavere politico dell’Egitto di Mubarak”, nel duplice significato dell’espressione, nel senso che l’assenza egiziana durante i tre decenni passati ha prodotto, con il passare del tempo, una mappa di equilibri che trova la sua ragion d’essere proprio nella mancanza del ruolo dell’Egitto. Dunque la rinascita del Cairo condurrà inevitabilmente allo stravolgimento di quegli equilibri che si reggono proprio sul “cadavere politico dell’Egitto di Mubarak”, e ad una riformulazione della stabilità regionale che rifletta le reali dimensioni storiche delle sue componenti.
“In piedi Egitto, raccogli le tue forze!”
Mustafa el- Labbad è un analista politico egiziano, esperto di questioni iraniane; é direttore dell’Al-Sharq Center for Regional and Strategic Studies, con sede al Cairo
(Traduzione di Francesco Saverio Leopardi)

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