Amira Hass :Gli ordini di demolizione sono la norma nei piccoli villaggi palestinesi


Se non fosse per un paio di “scocciatori”, non avrei avuto a che fare con una relazione su tutti gli ordini di interruzione dei lavori per ogni tenda, o di demolizione per bagni, o dell’abbattimento reale di tende o stanze fatte di blocchi di cemento. In effetti, se non fosse per quegli scocciatori, forse di alcuni luoghi delle colline a sud di Hebron si potrebbero ravvisare solo i nomi: Lucifer Farm, Carmel, Susya, Maon e Avigail, tutti avamposti e colonie illegali in mezzo al nulla. Ma questi scocciatori, questi impiastri divulgano i nomi di luoghi come Um el-Kheir, al-Mufakara, Bir el-Eid, el-Fakhit, Jinba ed altri ancora. Parlano di questi luoghi meno conosciuti con non minore naturalezza  di quella con la quale altri fanno riferimento a Beit Hakerem a Gerusalemme o al quartiere fiorentino di Tel Aviv.
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Perciò, come hanno fatto questa gente e questi luoghi di cui parlano a diventare simili scocciature? Per colpa della mia indecisione sul se e sul come posso trasformare l’informazione in notizia, sono in grado di sentire nella mia testa la seguente conversazione con un caporedattore:

“ Ma hai portato un articolo su un ordine di demolizione la settimana scorsa.”

Quello riguardava un ordine di blocco dei lavori, e l’articolo non era stato pubblicato.

“E due settimane fa Akiva Eldar e Gideon Levy hanno scritto i loro reportage sugli ordini di demolizione.”

Ma quelli riguardavano ordini di demolizione diversi.

Questo è il punto cruciale di un autentico dilemma: il flusso regolare, in numero sempre più crescente degli ordini di demolizione nei confronti di costruzioni palestinesi è di routine. Una routine che ha la sua origine nella politica. Una routine che svela o nasconde un susseguirsi di catastrofi personali e di gruppo che il governo di Netanyahu ha elargito ai palestinesi. Cioè una routine di catastrofi.

I mezzi di informazione amano le tragedie, ma anche odiano la routine. In questo caso, la routine di catastrofi non comprende solo gli ordini di demolizione. Si tratta anche di ciò che si inserisce – vita senza acqua, elettricità e strade – tutte cose che gli avamposti di Lucifer Farm e Avigail hanno, manco a dirlo, ma non esistono a Jinba, un villaggio di caverne nella valle Arad, che esistono fin dal 19° secolo, collocato in mezzo al nulla proprio sul confine della Linea Verde.
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Le case di Jinba fatte di semplici pietre sono state demolite dall’esercito israeliano la prima volta nel 1954, poi di nuovo negli anni ’80; C’è stata un’evacuazione giustificata dal fatto che questa è “un’area con funzione di poligono di tiro.” Dovrebbe esserci (condizionale) il ritorno al villaggio a seguito di una causa legale non ancora conclusa. Ci sono state esercitazioni militari nei campi del villaggio e queste, di recente, sono ricominciate ancor prima delle udienze alla Corte Suprema. In una specie di tango Con i divieti imposti dal governo vengono le rappresaglie e gli attacchi lanciati dai coloni. Tutto questo è di routine.

I giornali non sono tenuti a riportare cose che sono di routine: a Tel Aviv i semafori divengono rossi e verdi, il traffico sulla Route 1 scorre e le studentesse della colonia Immanuel vanno a scuola. I bambini di Jinba si trovano di fronte all’alternativa di vivere una routine non dichiarata: possono studiare nella lontana città di Yatta e vivere lì con i parenti per molte lunghe settimane; oppure, possono rinunciare alla scuola.

Ecco qualcosa che rompe la routine. Khaled Tabarin, un genitore nativo del paese delle grotte, mi ha detto che gli abitanti del villaggio hanno deciso di avere una terza possibilità. Hanno costruito nel loro villaggio una piccola scuola in modo tale che i bambini dei livelli più bassi possano studiare la mattina, e tornare a casa dai loro genitori il pomeriggio. Un’associazione caritatevole islamico-americana ha donato i fondi per la costruzione di due aule in cemento, e l’Autorità Palestinese manda gli insegnanti.
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La scuola si trova di fronte ora a un ordine di demolizione emesso dall’Amministrazione Civile. L’ordine deve essere ripristinato! Anzi, ci sono 22 ordini di demolizione. Uno riguarda il pericoloso sentiero di roccia che porta fino al villaggio, che gli abitanti hanno osato migliorare – non che abbiano usato, per carità, asfalto, ma che hanno avuto il buon senso di spianare un po’ rimovendo alcune pietre.

Questa zona alla fine del mondo è cosparsa di grotte e di villaggi tenda. Dopo l’occupazione del 1967, le autorità israeliane hanno fatto tutto il possibile per impedire la crescita naturale di questi villaggi e il numero delle abitazioni. Non si deve essere esperti in strategia per capire che quando una zona del villaggio viene classificata come area per poligono di tiro e vengono emessi degli ordini di demolizione per pozzi e pannelli solari, l’intenzione delle autorità è quella di espellere i residenti indigeni.

Ritornando indietro, gli scocciatori che ci impediscono di rimanere ignoranti: sono gli attivisti dell’organizzazione Ta’ayush, i Rabbini per i Diritti Umani, Rompere il Silenzio e il Gruppo Villaggi. Fianco a fianco con i residenti, saldi nelle loro decisioni, essi lavorano per contrastare l’espulsione.

Una biblioteca è pure un modo per ostacolare le espulsioni. Al villaggio di Um El Kheir afflitto dagli ordini di demolizione (mentre la lussureggiante colonia di Carmel prospera nelle vicinanze) gli abitanti hanno istituito un “centro per l’attività comunale.” Utilizzando i fondi raccolti dal Gruppo Villaggi, il centro ha acquistato il telaio di un vecchio veicolo commerciale. Un’organizzazione di Ramallah ha donato i libri. Ehud Krinis, del Gruppo Villaggi, ha fatto notare come durante le giornate di tempesta dell’inverno, la struttura del vecchio mezzo è risultata essere un rifugio per i libri, mentre le tende del centro per le attività comunali sbattevano e poi sono volate via col vento. Poi, il 2 maggio, un funzionario dell’Amministrazione Civile che si faceva chiamare Carlos si è presentato a Um El Kheir e ha emesso un ordine di interruzione dei lavori nei confronti “dell’utilizzo della struttura del mezzo come area di stoccaggio.”

In risposta, l’Amministrazione Civile ha dichiarato, “Ciò comporta l’emissione di un ordine di interruzione in merito a una struttura che è stata costituita illegalmente, senza averne ottenuto il permesso da parte delle autorità competenti. I proprietari della struttura hanno il diritto di fare ricorso contro l’ordine e di presentare la loro posizione alla sottocommissione dell’Amministrazione Civile per il monitoraggio; essi devono ancora esercitare questo diritto. La difesa del diritto è un imperativo. Ci dispiace che gruppi che hanno interessi diversi, tentino continuamente di violare la legge, e, nei limiti del diritto, noi continueremo a operare per fornire aiuto alla popolazione della Giudea e della Samaria nei campi dell’istruzione, delle infrastrutture e dell’assistenza sociale.”

(tradotto da mariano mingarelli)

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