Amira Hass : Retata nel campo profughi di Jenin


1 Il canto del gallo è un segnale universale. Ma quando il pennuto, invece di zampettare in una fattoria della Provenza, appare tra le strade di un campo profughi, il suo canto ha un suono speciale. Qui il gallo, oltre che una fonte di nutrimento, rappresenta anche la nostalgia della vita di villaggio.
A condurmi nel poverissimo campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, non è stato il gallo, ma un’ondata di arresti compiuti dall’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). Mi ha chiamato un amico che vive nel campo da sempre: “Per favore, vieni subito, nessun giornalista palestinese vuole scrivere di quello che è successo”. Non c’è da stupirsi: un commento su Facebook contro l’Anp può costare alcune settimane di carcere, ed è comprensibile che i giornalisti non vogliano scrivere della lotta di potere nelle forze di sicurezza. La maggioranza degli arrestati, infatti, fa parte di questi apparati.
La versione ufficiale è che si è trattato di un’operazione contro le bande armate che hanno seminato il caos a Jenin. Molti degli arrestati sono stati rilasciati senza accuse (dopo essere stati torturati). Altri, pesantemente armati, sono stati trattenuti. Molti vengono da famiglie con un passato doloroso, i cui figli sono stati uccisi dall’esercito israeliano, hanno compiuto attacchi suicidi o si trovano ancora nelle carceri israeliane (e sono tenuti in gran conto dalla società palestinese). Le famiglie degli arrestati si sentono tradite: gli eroi di ieri sono trattati come criminali.
Traduzione di Andrea Sparacino.
Retata nel campo profughi
‘Economist’ says Palestinians, denied statehood, increasingly ‘question the point of the P.A.’


2   Storia di un fallimento
I miei amici di Jenin, in Cisgiordania, si aspettavano grandi cose dal mio articolo, pubblicato su Ha’aretz, sugli arresti compiuti dall’Autorità Nazionale Palestinese nel campo profughi. E anch’io, se devo essere sincera. Non ci aspettavamo una scarcerazione collettiva, ma speravamo almeno di provocare un dibattito. Se fosse stato tradotto in arabo, l’articolo avrebbe potuto far conoscere gli aspetti illegali dell’operazione e la sua ingiustizia di fondo. Speravamo che le autorità avrebbero almeno permesso alle famiglie di visitare i detenuti.
Ma siamo stati delusi su tutti i fronti. Una settimana di lavoro intenso e decine di telefonate hanno prodotto un silenzio totale. I siti internet filopalestinesi, che di solito riprendono tutti i miei articoli, hanno ignorato quello su Jenin, e lo stesso hanno fatto i quotidiani palestinesi. Ho provato un amaro senso di fallimento. Non è stata la prima volta e sicuramente non sarà l’ultima. Avrei potuto scriverlo diversamente per attirare l’attenzione? Me lo chiedo sempre quando i miei articoli vengono accolti con indifferenza. Ma forse è stata solo una settimana sfortunata, ricca di eventi. Ci sono state le proteste degli israeliani contro le ingiustizie sociali, con la repressione della polizia. Poi le tensioni tra Israele e la Striscia di Gaza. Infine lo sgombero di alcune colonie illegali. Se aggiungiamo anche gli sviluppi in Egitto e in Siria, ecco che i problemi del campo profughi improvvisamente non interessano più a nessuno.
Traduzione di Andrea Sparacino.

Internazionale, numero 955, 29 giugno 2012

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