Italia, Libera non si ferma davanti alle intimidazioni mafiose


Gli ultimi due incendi che hanno interessato il trapanese non sembrano casuali a Libera. Non sembrano casuali soprattutto se si tiene conto di alcuni fattori, come i territori italiani colpiti e il periodo dell’anno in cui gli attacchi stanno avvenendo. E-il mensile ha intervistato Davide Mattiello, referente di Libera per il Piemonte, per capire in che modo vanno inquadrati questi episodi e qual è il messaggio che sta dietro di essi.

ALBERTO PIZZOLI/Staff
Come dobbiamo interpretare quando sta accadendo in questi giorni?
La prima cosa da dire è che bisogna essere prudenti nell’analisi. Bisogna, cioè, stare con i piedi per terra, non farsi prendere dall’emozione e distinguere per non confondere, come dice don Luigi Ciotti. Pur mantenendoci nella prudenza dobbiamo però dire che senz’altro si tratta di gesti intimidatori. La matrice di questi gesti è verosimilmente mafiosa. Non crediamo, però, che ci sia un’unica regia dietro questi gesti. Secondo noi, cioè, non c’è una pianificazione degli eventi, un’agenda da seguire.
Quindi, stessa matrice culturale ma diversa regia. Ma perchè  questi attacchi sono avvenuti in determinati territori e stanno aumentando nell’ultimo periodo?
Perché sono appena finite le scuole e stanno per cominciare i campi di volontariato per i beni confiscati alle mafie. Si tratta di attività di volontariato che ormai ogni anno nel periodo estivo richiamano più di 5mila giovani volontari. Il messaggio che arriva da questi atti è che il lavoro di Libera sul territorio da fastidio perciò qualcuno vuole mettere la sordina a questo lavoro.
Come risponde a questi episodi Libera?
Libera cerca di non farsi mettere la sordina. Cerchiamo di andare avanti in maniera più convinta di prima, continuando ad organizzare il lavoro libero e riscattato in terreni che sono stati per tanti anni il simbolo del potere mafioso su quei territori colpiti.
Di cosa si occupano concretamente i giovani che decidono di condividere il progetto di Libera?
Intanto lavorano. Ed è il fatto stesso di lavorare la sfida più grande in questi territori. Si tratta di posti ad alta infiltrazione mafiosa. E dove c’è alta infiltrazione mafiosa semplicemente le persone non sono libere di decidere del proprio futuro e della propria vita. Allora, quando in territori del genere si confiscano certi immobili, il fatto stesso che grazie al lavoro di tanti (dai comuni alle forze dell’ordine, alla magistratura, alla prefettura, all’Agenzia nazionale per i beni confiscati) si generi lavoro vero, è già la rivoluzione. La vera sfida, quindi, è il fatto stesso che queste cooperative riescono a nascere a partire da beni confiscati che prima appartenevano alla mafia.
Le attività di questi ragazzi poi dipendono nel concreto dalle diverse cooperative che si generano. La maggior parte di esse sono dedite al lavoro della terra, dalla produzione del vino, alla pasta all’olio. Il paniere di attività è ormai molto ricco ma, voglio ribadirlo, la cosa fondamentale rimane il lavoro riscattato, legale, di questi giovani che scelgono di non andare via dalla propria terra.
Non è la prima volta che si verificano azioni intimidatorie nei confronti di Libera da quando, nel 1995, è nata la vostra associazione. Cosa c’è di diverso questa volta?
Vorrei fare una premessa, ricordando che la prima grande battaglia condotta da Libera è stata proprio quella che ha portato alla legge 109 del ’96, ovvero la legge che permette l’utilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi. In questo senso, Libera ha una grossa responsabilità su tutte queste vicende proprio perché è il soggetto che ha provocato tale legge. Da allora sono nate tante cooperative e da allora si sono moltiplicati gli attentati contro di esse. I fatti di questi giorni, quindi non sono una novità. Quello che adesso colpisce in questa parte dell’anno è la sistematicità con cui questi episodi avvengono. Nell’arco di quindici giorni noi abbiamo avuto attacchi che spaziano dal sul del Lazio a Castelvetrano passando per Mesagne. Per questo abbiamo cominciato a dire che tutti questi eventi non possono essere una coincidenza. Il messaggio che sta dietro questi eventi è “statevene a casa, andate in spiaggia, non ficcate il naso, non mettetevi con Libera perché è pericoloso”.
Insomma, un modo per dire a questi giovani volontari che fermare la mafia è impossibile.
Esatto. Questo è ciò che vorrebbero che noi pensassimo. Ma noi non lo pensiamo. Noi non ci fermiamo. E questo non è uno slogan. Non ci fermiamo davvero davanti a questi eventi, siamo pronti a riorganizzarci in qualsiasi momento, a mandare anche noi dei segnali che davvero non ci fermeremo.
Ovvero, in che modo?
Continuando a organizzarci e a fare formazione. Faccio un esempio. Ieri a Caravaggio, un piccolo comune bergamasco, un insegnante che fa parte di Libera di Bergamo ha ribadito pubblicamentela sua intenzione a partire il prossimo sabato con un gruppo di giovani di Bergamo per andare a Belpasso, Catania, dove è avvenuto uno degli incendi. Come immaginerete, questo preoccupa le famiglie di quei ragazzi, che si sono ritrovate a discutere sull’opportunità del viaggio. Alla fine, però, si è optato per confermarlo. Questa è l’Italia che resiste alle mafie. Se voi pensate che da Bergamo parte un gruppo di giovani per andare a Catania in questo momento, con quello che è successo, quindi con grande consapevolezza e lucidità di quello che li può aspettare laggiù, capite perché dico che il mio non è solo uno slogan incoraggiante. Dire che Libera non si ferma non è un auspicio, è quello che veramente facciamo noi tutti i giorni.

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