Le elezioni presidenziali egiziane e la riconciliazione palestinese


Le prospettive di riconciliazione tra Fatah e Hamas sono strettamente legate all’esito della transizione egiziana, ed in particolare della corsa presidenziale – scrive l’analista palestinese Hani al-Masri
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I risultati del primo turno delle elezioni presidenziali egiziane sono stati sorprendenti sotto molti punti vista e soprattutto per l’approdo al ballottaggio di Ahmad Shafiq al posto di Amr Moussa, e di Mohammad Morsi invece di Abdel Moneim Aboul Fotouh, nonché per l’ascesa della stella di Hamden Sabahi; ciò significa che il livello della competizione e della polarizzazione raggiungerà il suo picco massimo tra il 16 e il 17 di giugno quando si sceglierà definitivamente chi sarà il presidente dell’Egitto. Sarà forse il candidato del vecchio regime o quello dei Fratelli Musulmani? E se fosse quest’ultimo a ottenere la presidenza, la vittoria sarà stata il frutto dell’alleanza con le forze della rivoluzione, o almeno la maggior parte di esse, oppure no? Sarà forse ottenuta grazie a un patto con le forze armate che riservi per l’esercito una posizione speciale nella Costituzione, proprio come successe poco dopo la rivoluzione, quando i Fratelli Musulmani si accordarono con i vertici militari sulla Costituzione e lasciarono la piazza, monopolizzando il campo e rifacendosi sul parlamento dove ottennero una netta maggioranza?
Ciò che ci interessa capire in questo articolo è quale influenza avranno le elezioni presidenziali sulla riconciliazione palestinese, dato che quello che succede in Egitto ha forti ripercussioni su tutta la regione e in particolare sulla questione palestinese e sul problema della riconciliazione.
Sorprendente è stata anche la firma del 20 maggio scorso, da parte di Azzam Al Ahmad e Musa Abu Marzouq (esponenti di Fatah e Hamas, rispettivamente (N.d.T.) ), dell’appendice esecutiva agli “accordi di Doha”, poco meno di quarantotto ore prima dell’elezioni egiziane; a tal proposito la domanda sorge spontanea: perché non aspettare per scoprire l’identità del nuovo presidente?
Una risposta plausibile è che le due parti in conflitto si siano mosse con approcci opposti, tra la speranza di vedere eletto un presidente favorevole al proprio partito (Amr Moussa o Ahmad Shafiq per Fatah, e Mohammad Morsi o Abdel Moneim Aboul Fotouh per Hamas) e la paura che a vincere la competizione fosse un candidato alleato del rivale, in un momento in cui i sondaggi alla vigilia delle elezioni indicavano che il candidato dei Fratelli Musulmani non era tra i favoriti, e che Amr Moussa aveva più chance di Ahmad Shafiq.
Ora l’immagine è più chiara, anche se direi non del tutto, ed esistono vari possibili scenari:
-Il primo è che Ahmad Shafiq venga eletto e questo significherebbe per Hamas, nel migliore dei casi, che la situazione rimarrebbe essenzialmente la stessa, ma potrebbe d’altra parte anche comportare un ritorno all’era di Hosni Mubarak, e dunque la permanenza di un regime che continua ad assicurare il suo sostegno a Fatah, all’OLP e al presidente Abu Mazen, osteggiando e cercando di contenere Hamas nello stesso tempo. Se così fosse, si rimarrebbe nell’impasse, senza alcun progresso significativo e il valico di Rafah continuerebbe ad aprirsi e chiudersi senza alcun cambiamento decisivo.
In questo scenario, l’Egitto non modificherebbe gli accordi di pace e continuerebbe a sostenere il cosiddetto  “processo di pace” e la ripresa dei negoziati tra Palestinesi ed Israeliani, senza impegnarsi in maniera convincente per andare incontro alle rivendicazioni palestinesi legate allo stop della colonizzazione, alla creazione di  uno stato palestinese indipendente entro i confini del 1967 e al rilascio dei prigionieri.
-Altra eventualità è la vittoria di Mohammad Morsi, e questo costituirebbe per Hamas la migliore situazione dato che il presidente egiziano sarebbe a questo punto dalla sua parte. Ciò condurrebbe l’Egitto ad assumere una posizione diversa rispetto alla riconciliazione palestinese, più incline verso Hamas e la riapertura del valico di Rafah, ed aprirebbe la strada all’ottenimento da parte del movimento di resistenza islamico della legittimazione a livello arabo ed internazionale. Invece, rispetto al processo di pace e ai negoziati è probabile che l’impasse si prolunghi per un periodo di cui solo Iddio conosce la fine.
-Terzo scenario: vittoria di Muhammad Morsi grazie ad un alleanza con le forze della rivoluzione sulla base di una Costituzione consensuale e la creazione di uno stato civile, democratico e pluralista. In questo caso il presidente egiziano sarebbe imparziale rispetto alle diverse fazioni palestinesi e l’Egitto ricoprirebbe allora un ruolo attivo nel breve termine per quanto concerne la riconciliazione, certamente contribuendo ad una sua realizzazione, mentre diverso sarebbe il suo ruolo nel medio lungo termine in relazione alla questione palestinese e al conflitto arabo israeliano.
-La quarta ed ultima possibilità è che si verifichino in Egitto degli sviluppi negativi, che spingerebbero il paese verso l’ignoto, come un mancato completamento delle operazioni di voto o la cancellazione dell’elezioni o peggio, un colpo di stato militare, prima o dopo le elezioni, che condurrebbe il paese ad una nuova rivoluzione facendolo forse addirittura precipitare in una guerra civile e nel caos: in questa eventualità  la causa della Palestina sarebbe persa, e distrutti i diritti del suo popolo. Questo scenario è inverosimile perché l’Egitto dopo la rivoluzione non può tornare indietro o cadere in una situazione peggiore, tuttavia non si può neanche escludere tale possibilità.
Il quadro delle ripercussioni di ciò che sta avvenendo in Egitto sulla questione palestinese, dunque sul problema della riconciliazione, non sarebbe completo senza l’affermazione che, chiunque sia il prossimo presidente dell’Egitto, anche fosse il candidato dei Fratelli Musulmani, il trattato di pace con Israele non potrà mai essere cancellato né potranno mai essere interrotte in maniera definitiva le relazioni con lo stato ebraico. Il nuovo presidente erediterà problemi economici, sociali e di sicurezza enormi sui quali sarà costretto a concentrare i propri sforzi e che gli richiederanno di contribuire alla stabilità regionale, senza la quale è impossibile ottenere l’appoggio internazionale necessario per superare la situazione che l’Egitto sta attualmente attraversando. Questa situazone, protraendosi, minaccerebbe di sfociare in avvenimenti tragici che sarebbero sicuramente devastanti.
Il futuro presidente egiziano potrà al massimo proporre delle modifiche dei trattati di pace con Israele, o chiedere che si proceda all’applicazione di tutti gli articoli, ma le relazioni israelo-egiziane, se nei primi tempi resteranno fredde a livello di rappresentanza e scambi diplomatici nonché di rapporti commerciali, sul lungo periodo dipenderanno dal successo o dal fallimento della rivoluzione egiziana nella realizzazione dei suoi obiettivi.
Se il prossimo presidente sarà islamista ed alleato con Hamas, probabilmente chiederà al movimento palestinese di mantenere un profilo moderato per evitare di presentarsi come un ostacolo alla stabilità regionale e alle relazioni del nuovo governo islamista con gli Stati Uniti. Questo è quanto è successo dopo l’ascesa dell’Islam politico, quando i Fratelli Musulmani hanno raccomandato ad Hamas di mostrare flessibilità politica e progressi sul fronte della riconciliazione, o di non rilasciare dichiarazioni che avrebbero dato un’immagine ancora più estremista del movimento, fatto che avrebbe maggiormente allontanato il successo della riconciliazione.
Ad ogni modo rimane un punto di fondamentale importanza, e cioè che a prescindere dai risultati delle elezioni presidenziali, la posizione dell’Egitto dopo la rivoluzione non sarà più monopolio di un solo individuo, che si tratti perfino di un dittatore (autoritario o illuminato); al contrario, sarà il risultato del nuovo equilibrio formatosi tra la presidenza, il governo, il parlamento, l’esercito e l’opinione pubblica. Questo equilibrio è quello che definirà il futuro dell’Egitto e le relazioni con i suoi vicini, tra i quali ovviamente Israele e la sua posizione riguardo la causa e le fazioni palestinesi.
Hamas si aspetta molto, forse troppo, dalle sue relazioni con l’Egitto e dal suo sostegno, soprattutto dopo l’allontanamento dalla Siria e dall’Iran e la mancanza, per lo meno fin ad ora, di un’apertura da parte saudita e degli altri paesi del Golfo, ad eccezione del Qatar. Fatah dal canto suo, ha il grande timore di perdere l’alleato egiziano, dunque è molto difficile che si verifichi un qualunque progresso sensibile nella questione della riconciliazione senza che l’immagine sulla sorte dell’Egitto si sia fatta più nitida, e ciò non può che accadere dopo il secondo turno delle presidenziali,  la promulgazione della nuova Costituzione e l’accettazione da parte delle fazioni egiziane delle regole pacifiche del gioco democratico che determinano il peso e l’entità di ogni partito. Ugualmente, progressi saranno possibili solo quando i partiti palestinesi smetteranno di perseguire mire egemoniche, di inseguire illusioni e di puntare sugli altri.
Basandosi su quanto appena detto, si deve riconoscere che ai fini del perseguimento dei principali interessi nazionali palestinesi, e per evitare che questa causa venga messa da parte in un momento in cui l’Egitto e gli altri paesi arabi sono impegnati dalla loro situazione interna, è necessario, come prima cosa, che i palestinesi scommettano su se stessi, e che nessuna delle due fazioni punti sulla ripresa dei negoziati bilaterali o sulla possibilità di controllare in maniera esclusiva la leadership palestinese che  ci ha condotto a un inasprimento dell’occupazione, della colonizzazione e della divisione. Parimenti i palestinesi non possono scommettere troppo su ciò che avviene in Egitto o negli altri paesi arabi nonostante l’importanza strategica che essi ricoprono, poiché la capacità palestinese di impegnarsi per i propri interessi sarà nulla se il fronte palestinese non sarà unito e attivo, e se la divisione che uccide ogni speranza di concretizzare i diritti dei palestinesi continuerà ad esistere.
Hani al-Masri è un analista politico palestinese; è direttore di Bada’el – Palestine Media and Research Studies Center; risiede in Cisgiordania
(Traduzione di Francesco Saverio Leopardi)

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