Norman Finkelstein: domande e risposte


di Norman Finkelstein e David Samuels   - 12 giugno 2012
Da tre decenni Norman Finkelstein è il figlio difficile della comunità ebraica statunitense, denunciato come isterico, ideologo marginale ed ebreo che odia il proprio popolo. Disinteressato e borioso, fortemente emotivo – a volte isterico – nel tono e tuttavia incessantemente logico nelle sue tesi, è ora un accademico con un dottorato della Princeton i cui attacchi all’“Industria dell’Olocausto” e il pubblico tifo per Hezbollah l’hanno reso talmente deleterio che non gli è possibile ottenere nemmeno la più bassa posizione di professore aggiunto in qualsiasi università comunitaria degli Stati Uniti.
Tuttavia, piaccia o meno, l’influenza di Finkelstein nel dibattito pubblico è ormai innegabile, con le sue idee un tempo radicali abbracciate dall’intera comunità ebraica, dal suo smascheramento dell’idea di Israele come di “una terra senza un popolo” e dalla sua diagnosi di una messa a dura prova dell’ossessione per l’Olocausto presso gli ebrei statunitensi alle sue affermazioni circa l’immoralità della prosecuzione dell’occupazione israeliana della West Bank.
Alla vigilia della pubblicazione di due nuovi libri – Knowing Too Much: Why the American Jewish Romance With Israel Is Coming to an End e  What Gandhi Says About Nonviolence, Resistance, and Courage  [rispettivamente: ‘Sapere troppo: perché la storia d’amore degli ebrei israeliani con Israele sta finendo’ e ‘Quello che Gandhi dice a proposito della Nonviolenza, della Resistenza e del Coraggio’] – ho fatto un paio di sfortunati pellegrinaggi all’appartamento di una sola camera zeppo di libri a Ocean Parkway.  Situato proprio al centro dell’area più densamente popolata da ebrei negli Stati Uniti, il luogo dove Finkelstein trascorre la sua esistenza è, come lui è rapido nel puntualizzare, molto diverso dalle fantastiche dimore di periferia occupate da critici come Alan Dershowitz che, egli afferma, afferma di amare gli ebrei ma “vive tra i gentili [goyim]”.
Finkelstein è un martire di tipo speciale: un uomo che si dà fuoco a una cena con invitati e si meraviglia che nessuno gli offra un bicchier d’acqua. Nel corso delle nostre conversazioni abbiamo parlato della vita di Gandhi, dei genitori di Finkelstein sopravvissuti all’Olocausto, del suo mentore Noam Chomsky, e dell’idiozia dei teorici delle cospirazioni che insinuano che un piccolo gruppo di ebrei neoconservatori manipoli la politica estera statunitense in favore di Israele. Abbiamo anche parlato della sua fissazione per Jeffrey Goldberg (che mi aspettavo) e del suo amore per la musica di Pete Seeger (mi aspettavo anche quello) e per Whitney Houston(che non mi aspettavo affatto).  Dove la Houston è passata da essere una regina del pop nero con la manicure a un soggetto sboccato da reality-show, i coinvolgimenti di Finkelstein con il pubblico sono stati coerenti nella loro marginalità. Tuttavia il confronto è istruttivo, salvo per il fatto che la stessa spinta di Finkelstein  al ruolo di paria può avere ormai toccato il fondo.
Quel che rimane è un essere umano difficile e contraddittorio la cui storia personale e il cui distintivo modo di argomentare lo hanno confinato in un piccolo appartamento nel cuore di una comunità verso la quale professa di non provare alcun attaccamento. Ma scartarlo, professionalmente o personalmente, come “merce avariata” pone la questione di chi, esattamente, lo ha reso quel che è. Dopo aver letto le trascrizioni delle nostre conversazioni, mi sono reso conto che il suo disconoscimento di qualsiasi attaccamento alla comunità ebrea che rifiutò e stigmatizzò i suoi genitori sopravvissuti può prosciogliere troppo facilmente sia Finkelstein sia i suoi critici.
Quella che segue è una versione rivista di parti delle nostre conversazioni.
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Come hai conosciuto Noam Chomsky?
E’ una storia interessante che dice qualcosa a proposito del professor Chomsky come persona. Non amo metterlo su un piedestallo perché, sai, lo conosco da più di un quarto di secolo ed ero molto vicino a sua moglie, più vicino che al professor Chomsky.  Perché il professor Chomsky vive in un mondo cerebrale e [sua moglie, la linguista] Carlo [Schatz], che è brillante, era con i piedi per terra. Potevamo parlare di cazzate. Andavo a fare la spesa con lei, parlavamo dei prezzi al supermercato e lei presentava i suoi buoni alla cassa.
Chomsky ha i suoi difetti, ma le virtù sono sbalorditive. Non è soltanto che ha fatto queste scoperte nel campo della linguistica; sono le migliaia di laureati che ha addestrato. Ha creato fisicamente un campo. E, sai, io viaggio molto, ti dico che sempre, dovunque io vada, almeno un paio di persone mi dicono: “Ho letto un libro di Chomsky e mi ha cambiato la vita.”  Ma ha i suoi difetti, come chiunque altro.
Quali sono i difetti più grossi di Chomsky?
Non lo dirò mai. Perché sai qual è la virtù più grande di Chomsky? A parte il suo intelletto sbalorditivo e la sua assoluta lealtà, il professor Chomsky non ha mai tradito un amico. Li difenderà, anche se dentro di sé sa che hanno completamente torto.
Ma queste virtù di amicizia e lealtà non finiscono in conflitto con la verità?
Lo so. Lo capisco. Ma lui è estremamente attento ai fatti. Permettimi di raccontarti una storia. Lavoravo per un giornale radicale, The Guardian. Un giornale modesto. Non se ne sentiva parlare mai. Ricordo che eravamo seduti in una stanza, in una riunione editoriale, e all’epoca c’erano due fazioni maoiste – adesso la cosa fa ridere – la Lega dell’Ottobre e il Partito Comunista Rivoluzionario. Il The Guardian era a favore della Lega dell’Ottobre e discutevamo se nei nostri articoli  dovevamo aumentare il numero delle persone che partecipavano alle dimostrazioni della Lega dell’Ottobre e ridurre il numero delle persone che partecipavano alle dimostrazioni dei Comunisti Rivoluzionari.  E io penso tra me: “Un momento, qui c’è un problema. Non avremmo il dovere di dire la verità?” E, sai, quella era la differenza con Chomsky. Non era sufficiente dire che qualcosa era propaganda borghese o propaganda sionista; no, bisognava provarlo.
Dunque, com’è che lo conosco? Ero stato maoista e poi, quando la Banda dei Quattro fu rovesciata, sono stato completamente sconvolto. Sono stato costretto a letto per tre settimane; è stata un’esperienza dolorosa per me. Non solo perché mi ero sbagliato, ma perché mi sentivo davvero imbarazzato per aver tenuto discorsi e pontificato con tanta sicurezza di me stesso.
Poi, nel 1982, sono passati ormai trent’anni, sono stato coinvolto nel conflitto israelo-palestinese e poi in quello tra Israele e il Libano, il 6 giugno 1982. Appartenevo a un piccolo gruppo e si discuteva in continuazione del sionismo e io non volevo più sentir parlare di “-ismi”. Così rifiutai di prendere posizione nei confronti del sionismo. E poi ho deciso: “OK, Norm, vediamo di essere intellettualmente seri”. Mi sono seduto e ho cominciato a leggere sull’argomento. Alla fine è diventata la mia dissertazione per il dottorato a Princeton.
Proprio all’ultimissimo minuto, quando avevo quasi finito la fase di ricerca e stato per passare a quella di stesura della dissertazione, sono passato dalla libreria Harper e Row e c’era questo libretto, ‘Da tempo immemorabile’, di Joan Peters e diceva che avrebbe cambiato la storia del conflitto. Tutti a sinistra, come il professor [Edward] Said, dicevano: “Ah, propaganda sionista!  Perché mai interessarsene?”
Beh, era qualcosa che avevo già sentito in precedenza. Se qualcuno criticava la Cina, dicevano: “Propaganda borghese.” E mi sono detto: “Non passerò per scemo una seconda volta. Se è vero, è vero e io me ne vado da qui.” Perché ero stato così devastato da quello che era successo in Cina. La parte peggiore era stata l’umiliazione personale. Non avevo intenzione di passare per scemo di nuovo, capisci?
Così, quando il libro è uscito, mi ci sono avventato. Roba da capitano Achab e Moby Dick. Sono sceso alla Biblioteca Pubblica di New York e lì avevano una sezione speciale all’epoca in cui tenevano tutti i rapporti della Lega delle Nazioni e della Commissione del Mandato Permanente sulla Palestina e ho letto tutto. Il cuore del libro era il capitolo 13, lo studio demografico, e sul retro c’erano delle tavole che corrispondevano al testo. Tornavo a casa dal lavoro ogni sera, mi buttavo sul letto e scorrevo i numeri, facevo tutto con carta e penna, e lo faccio e lo faccio e lo rifaccio. E poi una notte, era l’una e mezza di mattina, ho improvvisamente scoperto la frode, i numeri falsi.  Mi è venuta la pelle d’oca. Avevo scoperto una frode!
Onestà intellettuale
Mi sono alzato e in quel minuscolo studio a Washington Heights ho cominciato a camminare avanti e indietro. Ce l’avevo fatta! Ce l’avevo fatta! Non potevo crederci. Ero soltanto un laureando. Lavoravo in un asilo per tirare avanti mentre scrivevo la mia dissertazione. E così per prima cosa sono andato da uno dei … ora è diventato uno dei principali studiosi d’informatica del mondo, all’epoca era capo della sezione teorica ai Laboratori Bell, per essere sicuro che i calcoli fossero giusti e lui me l’ha confermato.
Così ho scritto quello che avevo scoperto e l’ho inviato a venticinque dei principali studiosi al mondo esperti in materia. Ventiquattro non hanno mai risposto.
Un sabato mattina ricevo una telefonata. Tiro su il telefono e c’è uno che dice: “Salve, sono il professor Chomsky. Ho letto quello che hai scritto e mi suona corretto.”
A volte mi arrabbio con lui, lo faccio. Ma mi ha cambiato la vita. Penso che non sappia neppure ora che scuole ho frequentato. Non me l’ha mai chiesto. Ora, parte di questo è naturalmente Gulliver a Lilliput. Dalla sua altezza lui è in grado di vedere la differenza. Ma parte di ciò è stato che si doveva riconoscere un genuino impulso democratico. Non mi interessano le tue credenziali, non mi interessa il tuo pedigree, non mi interessa la tua carta intestata, non mi interessano le tue pubblicazioni, fammi semplicemente leggere! Si penserebbe che abbia per la testa cose migliori da fare che sedersi a sorbirsi questioni di riforma agraria in qualche angolo del Brasile. E qualche volta si pensa: è uno spreco?
Se lui può abbassarsi a questo poco eccitante lavoro di dettaglio, allora puoi farlo anche tu?
I dettagli, in realtà, sono la cosa più interessante, perché è lì che si scoprono tutte le menzogne.
Gli intellettuali di sinistra sono in tutto e per tutto disonesti quanto gli intellettuali di destra.
Ho vissuto una buona vita, una vita benedetta. Ma, di fatto, sono via dalla DePaul da cinque anni, giusto? Ci sono un mucchio di accademici che hanno simpatia per me. La Palestina non è più una causa impopolare nel mondo accademico. Va bene, rispondiamo alla domanda: c’è stato un solo professore che si sia dato da fare per trovarmi un lavoro in una qualsiasi università? Voglio stare ai fatti. La risposta è no.
C’è stato qualche professore che si sia dato da fare per ottenermi una docenza di un anno? Risposta: no.
C’è stato qualche professore che si sia dato da fare per ottenermi una conferenza, almeno una volta? Risposta: no.
Questo mi sorprende …
Fammi finire. Tu sei stato all’università: ricordi quella cosa chiamata pranzo di lavoro al sacco. C’è stato un solo professore che mi abbia invitato a un pranzo di lavoro al sacco? Risposta: no. Non stiamo neppure parlando del costo.
Sai, c’è un discreto numero di professori alla Columbia che sono filo palestinesi. Almeno uno di loro mi ha invitato a qualcosa? No.
La rivista Nation? Trent’anni; mi hanno stampato un’unica lettera. Lo trovo buffo.
Cosa pensi di Paul Berman, che per certi versi è il tuo opposto ideologico e letterario, ma che è un intellettuale pubblico nel vecchio senso, senza una posizione accademica di ruolo. Provi qualche affinità con lui?
Guarda, ho letto la sua roba; dunque non ne parlo da ignorante. C’è un’intera tradizione a sinistra che fondamentalmente risale a Trotzky, che è stato un brillante protagonista politico e anche un brillante scrittore politico. E così c’è questa intera tradizione … parlo ora della sinistra statunitense, di persone che sono buoni scrittori e vogliono scrivere anche di politica. Ma non sanno nulla della politica.
Bene, questa tradizione ha avuto dei personaggi che non erano malaccio, come Irving Howe, che conosceva la letteratura e sapeva qualcosa di politica perché era cresciuto negli anni ’30, durante la Depressione. In anni più recenti si tratta di persone che non sanno nulla. Come George Packer. Lui è andato alla Yale, ha conseguito una laurea in lettere e così pensa di aver titolo per scrivere di politica. OK, non è roba scritta male, ma non sa nulla dell’Iraq.
So che suona strano, ma molto in politica sta nell’avere un buon istinto politico. Alcune persone ce l’hanno, altre no. Chomsky ce l’ha. Trotzky ovviamente ce l’aveva. Ma naturalmente bisogna essere profondamente immersi nella materia di cui ci si occupa. Loro non sono interessati all’argomento; sono interessati a frasi ingegnose. Il loro modello era gente come Christopher Hitchens, la cui arte stava tutta in: “Prendi tre fatterelli esotici e sviluppaci attorno un articolo o un saggio intero.” Lui avrebbe iniziato un saggio sul Pakistan affermando: “Oh, Pakistan significa letteralmente TERRA DEI PURI!”  E tu avresti pensato: “Oh! Ne sa davvero qualcosa del Pakistan!”
Così arriviamo a Paul Berman che scrive Terror and Liberalism.  Lui trova per strada due volumi pirata di [Sayyid] Qutb, e improvvisamente diventa un esperto di testi islamici. Trotzky scrisse Letteratura e Rivoluzione stando nel vagone blindato mentre passava da fronte a fronte della guerra civile russa. Berman stava passeggiando per Atlantic Avenue e ha visto due versioni pirata e ora è un esperto di Qutb, la cui opera omnia arriva a quaranta volumi, se la memoria mi assiste. E’ semplicemente stupido. E’ così poco serio.
Tu naturalmente hai dedicato parecchia energia d’indagine a riflettere su Jeffrey Goldberg nel tuo nuovo libro. La tua opinione è che agisca da agente consapevole delle campagne di propaganda israeliana o pensi che creda a quello che scrive?
Goldberg è semplicemente come Packer. Ha del talento nello scrivere, ma non sa nulla di politica, non ne ha idea. Solo perché ha vissuto in Israele per un paio d’anni … beh, c’è un mucchio di gente che vive negli Stati Uniti che non ha idea che cosa succede qui. E’ stato guardia carceraria. Ciò non fa di lui un esperto del conflitto israelo-palestinese. Non c’è scienza in quello.
Così forse lui va in Israele e gli dicono queste cose; sono molto in gamba nella propaganda, sono molto abili nel manipolare. Lui è un ragazzo grasso, e sono sicuro che loro sono eccellenti nel farlo sentire importante … ti diciamo semplicemente questo, questo è il tuo piccolo scoop.  E lui si eccita tantissimo e scrive. Israele sta attaccando l’Iran? Penso sia ridicolo, ma si deve avere del buon senso politico per sapere che è ridicolo. No, non penso che succederà perché Israele è andato in Libano nel 2006 e non ha ucciso nemmeno un leader di Hezbollah, così penso che non attaccherà l’Iran.
“Siamo tutti Hezbollah.”
Non c’è nulla di politico in Goldberg. A parte quello che c’è di personale e basato sull’esperienza, si tratta solo di cliché.  Lui conosce il cliché dell’intossicazione ebraica per la forza e conosce il cliché a proposito dell’idea che i palestinesi devono abbracciare Gandhi, e poi, alla fine, io amo gli Stati Uniti, gli Stati Uniti sono uno splendore, la-la-la-la- E’ solo una serie di cliché dietro l’altra perché lui non sa nulla.
Scrive molto bene. Lo invidi per questo?
Io non sono bravo a scrivere e non m’importa. Sfortunatamente, una volta lasciata l’università, non ho avuto molto tempo per la letteratura. Vorrei averlo avuto. Per la maggior parte del tempo leggo documenti, e questo non migliora la propria scrittura. Ma sono un autore molto logico, e non riesci a sfuggirmi. Una volta che ti ho afferrato, sei finito.
Trovo che molto di quello che scrivi sia fondato su ottime ricerche e stimolante. Ma poi, quando ero a Beirut, accendo la TV e ti vedo su al-Manar, il canale televisivo di Hezbollah. Che bisogno ne avevi? Se sono quelli i tuoi amici, come puoi aspettarti che ti stiano a sentire quelli della comunità ebraica statunitense che potrebbero provare simpatia per le tue opinioni?
Le mie idee sul conflitto israelo-palestinese non sono particolarmente quelle che si direbbero di sinistra o radicali. Dico che dovremmo applicare la legge e por fine al conflitto sulla base della legge internazionale, il che significa una soluzione a due stati con i confini del 1967 e una giusta soluzione della questione dei profughi.
Ma su certe questioni di principio non ho intenzione di smuovermi di un millimetro, indipendentemente da quello che piace o non piace alla gente. I libanesi hanno il diritto di difendere la loro sovranità e hanno il diritto di utilizzare l’esercito per caccia gli occupanti stranieri. Non mi farai cambiare opinione al riguardo solo non ti piace Hezbollah.
Ora, non mi piace quello che Hezbollah dice adesso della Siria e l’ho dichiarato pubblicamente. Ma i precedenti di Hezbollah quanto al rispetto della legge internazionale sono di fatto molto buoni. Penso che la loro storia sia parecchio migliore di quella di ogni altro paese che conosco, ma naturalmente ciò può essere dovuto al fatto che sono la parte più debole.
Tu hai silurato l’offerta di un posto di ruolo alla [università] DePaul nel 2006 alzandoti a una manifestazione per annunciare: “Siamo tutti Hezbollah.”
Mi sono alzato quella mattina e gli israeliani stavano bombardando il Libano radendolo al suolo. Sono cresciuto sentendo dire che il crimine del mondo fu di restare in silenzio quando i miei genitori furono rinchiusi nel ghetto di Varsavia. Così ho sentito che era importante alzarsi a parlare con forza.
Ho pensato che la tua tesi sull’Olocausto fosse molto potente, considerandolo come una costruzione ideologica inventata dagli ebrei statunitensi che non hanno sofferto concretamente per mano dei nazisti e che hanno fatto poco per fermare l’assassinio degli ebrei d’Europa. Ma, di nuovo, il modo in cui hai presentato le tue idee le ha rese rivoltanti per la comunità che cercavi di raggiungere.
Ogni volta che qualcuno mi dice “Ho letto il libro”, il mio primo commento è “Hai riso?”. Perché l’intenzione era che fosse comico. Era un  parto comico della rabbia.
Ho vissuto con la sofferenza dei miei genitori ogni giorno fino alla fine delle loro vite, perché mi sono preso cura di loro per gli ultimi sette anni. E vedere cosa era diventata quella sofferenza mi ha riempito di nausea. Entrambi i miei genitori, come immagino tu sappia, prima di essere deportati nei campi di concentramento erano nel ghetto di Varsavia. Quando ero un ragazzo, a tredici o quattordici anni, ho cominciato a leggere libri a guardando i miei genitori non riuscivo a fare il collegamento. I cadaveri impilati nelle stradi, i bunker. I miei genitori erano persone così comuni! Mia madre non si truccava, niente. Non si tingeva i capelli. Indumenti smessi da nostra cugina. Mio padre era un operaio di fabbrica e indossava la camicia di flanella a quadri degli operai.
Quello che loro hanno passato … l’abisso è incolmabile. Mia madre apparteneva a una comunità polacca di ebrei assimilati. Era abituata ad andare a concerti ogni sera. Conosceva molto bene il latino, conosceva molto bene la musica classica e poi improvvisamente, nel giro di una notte, eri ridotto a spazzatura. I miei genitori erano molto vicini alle loro famiglie e improvvisamente l’intera famiglia era semplicemente scomparsa.
Di tanto in tanto ti avventuravi a porre una domanda e la risposta era: “Non parlarmi di quello.” Non ho mai posto una singola domanda a mio padre su Auschwitz. So che suona difficile da credere. Nemmeno una domanda. Non potevo farlo.
Ma forse una conseguenza positiva dell’”Industria dell’Olocausto” che tu deprechi non è che ha creato un clima in cui se ne può parlare più apertamente?
Non penso che abbia sensibilizzato le persone ad alcunché. Preferirei molto il modo in cui stavano le cose prima che fiorisse l’Industria dell’Olocausto. Semplicemente non ci si può immaginare cosa sia stato crescere da figli di sopravvissuti all’Olocausto. La domanda che indignava di più mia madre era: “Come sei sopravvissuta?” La maggior parte delle volte era una domanda innocente, ma lei avvertiva l’insinuazione: se sei sopravvissuta devi essere stata una kapò, o altrimenti come sei sopravvissuta? O si faceva qualcosa di sporco o si andava come un gregge al macello.
Era motivo d’imbarazzo essere figlio di sopravvissuti all’Olocausto. Innanzitutto i miei genitori erano chiamati gli imbranati, perché il loro inglese aveva un forte accento. E se eri figlio di un sopravvissuto all’Olocausto [si presupponeva che] i tuoi genitori erano andati ai forni come un gregge di pecore.
OK. Così i tuoi genitori sono stati resi vittime due volte e poi tu sei diventato vittima del doppio trauma sofferto da loro. Perché va bene restare intrappolato in quella vergogna? Ha sofferto un popolo intero.
Era il lutto privato della nostra famiglia e questo è tutto. Non rivendico la sofferenza dei miei genitori. Non hai idea di quello che hanno passato. Francamente, io mi arrabbio molto quando sento ebrei parlare dell’Olocausto. Cosa sapete? Davvero, cosa sapete? Cosa avete passato? Che diritti avete in proposito?
E’ semplicemente così solipsistico, così egocentrico. Sai, se prendi “Eichmann a Gerusalemme” di Hannah Arendt, lo ha scritto nel ’62 o ’63, e se guardi la bibliografia, sai quanti libri c’erano in inglese sull’Olocausto nazista? Due. C’era il libro di [Raul] Hilberg e un altro. A nessuno fregava niente di quello che era successo, fino a quando non è diventato un’industria.
Profeti intellettuali
C’è della psicanalisi da salotto su di te che direbbe: “Guarda, questa è una persona che è cresciuta in una casa con due genitori che hanno sofferto terribilmente. La loro esperienza è stata ignorata e rifiutata da una comunità che poi ha avanzato delle pretese sulla loro sofferenza personale. Così il figlio di queste due persone finirà per essere molto arrabbiato nei confronti della comunità che li ha trattati così.
Non intendo fingermi un profeta o un santo. Sono molto consapevole dei miei limiti. Conosco i miei difetti. Ma non amo mentire. Così, quanto Dershowitz si è passato migliaia e migliaia e migliaia di pagine di rapporti sui diritti umani soltanto per dimostrare che le violazioni dei diritti umani in Israele non sono avvenute … Non è vero, non è vero, non è vero. Semplicemente non è vero.  Per me questo non ha nulla a che vedere con la mia personale animosità nei confronti degli ebrei. Questo ha a che vedere con una sincera … OK, può sembrare pomposo … ma è una sincera repulsione per le menzogne.
Per quanto ha riguardato ‘L’industria dell’Olocausto’ avevo un interesse personale, nessun dubbio al riguardo. Non ho alcuna pretesa di obiettività in ciò. Ero il più istruito della mia famiglia, non il più intelligente, ma il più istruito negli Stati Uniti e quindi sono stato il rappresentante che ha combattuto le battaglie. Conoscevo personalmente tutti i protagonisti. E’ per questo che per me è stato così facile farli a pezzi nel libro.
D’altro canto, come ha detto Hilberg, è stato un buon lavoro. Perché mi sono seduto nella biblioteca dell’Università di New York e ho ottenuto tutte le microfiche di tutte le sessioni del Congresso sulle banche svizzere. E, come ha detto Hilberg, lui aveva sfogliato – quella è l’espressione che ha usato – tutti gli stessi documenti di Finkelstein. Di fatto, ha detto, le conclusioni di Finkelstein sono prudenti.
Ricordo di essere rimasto sconvolto quando mi sono reso conto per la prima volta che la verità era un valore relativamente insignificante nella vita intellettuale, nella vita accademica, nella vita letteraria. L’ideologia contava di più. Contava di più il benessere personale. Contavano di più le carriere.
Uno dei miei libretti preferiti è Il tradimento degli intellettuali di Julian Benda, che è basato su questa nozione binaria che ci sono nel mondo due insiemi di valori in competizione: la fama e la fortuna da una parte e la verità e la giustizia dall’altra. La tesi principale di Benda è che quanto più energicamente si è dediti alla verità e alla giustizia, tanto meno si godrà di fama e fortuna. Dunque io non voglio diventare troppo popolare, perché allora tradirei la verità e la giustizia.
D’altro canto una parte di me dice: “Beh, il professor Chomsky è riverito da una quantità enorme di persone.” Penso ci sia un numero di persone tra le 10.000 e le 100.000 che direbbero:”Leggere Chomsky mi ha cambiato la vita:” E così sono sempre lacerato tra la traiettoria del professor Chomsky, che gli ha guadagnato l’adorazione di masse di persone, perché ritengono che sia uno che dice la verità, un profeta e, d’altro canto, il ricordare sempre quello che ha detto Benda, che il chierico che è popolare presso l’uomo della strada è un traditore del suo compito.
Ma c’è qualcosa di intensamente fastidioso a proposito di questi profeti. Loro denunciano il re, denunciano il popolo, predicono che avverranno cose orribili a causa di un cattivo comportamento, di un’ingiustizia, e i fatti danno loro ragione. Così c’è della gratificazione nel vedere avverarsi predizioni orrende, nell’essere la sferza del popolo.
E’ spesso molto difficile separare l’ego da questo genere di cose. Diciamo che tu scrivi un libro e prevedi che avrà luogo una guerra. Ed io l’ho fatto. Una parte di te vuole che la guerra avvenga perché vuoi che ti sia data ragione, altrimenti avresti fatto una predizione stupida.  E’ una specie di egoismo intellettuale. D’altro canto è una follia completa e tu aggiungi sempre una premessa, dicendo: “Beh, spero di sbagliarmi su questo.” Ma ovviamente una parte di te dice: “Spero di avere ragione” in modo che tutti dicano. “Ehi, gente, quello lì è un profeta.”
Michael Walzer – non in Exodus e rivoluzione ma in La compagnia dei critici – discute ampiamente il tema dei profeti e comincia con la premessa che un profeta deve essere collegato al suo popolo. Non si può essere profeti distaccati, dunque si deve amare il proprio popolo nel momento stesso in cui lo si critica. Questo altro genere di profezie – non sono sicuro se ‘tormentare’ sia il termine giusto – dice, non è in realtà attuabile. Se vuoi tormentare il popolo, criticare il popolo, ti devi basare su un vero collegamento con esso.
Ma se una precondizione per essere un profeta è che si deve amare il proprio popolo, la cosa per me non funziona. Non è qualcosa cui io mi collego.
Se t’identifichi come parte dei gruppi che critichi, ciò significhi che hai della carne al fuoco. Altrimenti è facile dire che qualsiasi gruppo di persone è moralmente o intellettualmente corrotto, perché tutti i gruppi, di regola, contengono almeno i semi della corruzione.
Penso che si possa avere un interesse a principi di giustizia e indignarsi quando sono violati. So che suona, come lo chiamerebbe Walzer, molto astratto e distaccato, ma è così che funziono io.
E l’altra cosa è che si deve essere realistici a proposito delle proprie capacità. Io non ho la statura del professor Chomsky, non ho la sua capacità mentale, ma quello che faccio mi piace farlo bene. Sono uno portato ai dettagli e che domina i dettagli. Non avverto la stessa ossessione adesso per quel che riguarda il conflitto israelo-palestinese perché ci sono così tanti che se ne occupano.

Ma quando ho parlato con Chomsky riguardo al suo investimento personale nelle materie di cui scrive c’è stata un’interessante esitazione che ha avuto alla fine della nostra conversazione. Era un po’ come: “Sì, naturalmente, l’educazione, la fanciullezza, ricordi dei miei genitori, giocano tutti un ruolo per me.”
Ma c’è una grossa differenza quanto a questo. Chomsky è cresciuto in una famiglia fanaticamente sionista. Dovevi parlare ebraico in casa. Tutto era ebraico. Sai come ha conosciuto Carol? Suo padre era l’insegnante di ebraico di Carol. Carol ha detto perché ha sposato Noam. Perché era quello che a Filadelfia parlava meglio l’ebraico. C’era un solo altro rivale, ma lui era il migliore. Così la loro casa era satira di ebraismo. La mia casa era satura dell’Olocausto.
Opinione pubblica e conflitto israelo-palestinese
Hai citato il dibattito attualmente in corso nella sinistra su Israele e la Palestina. C’è qualcosa che mi fa davvero cadere le braccia proposito del movimento BDS [boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni nei confronti di Israele – n.d.t.] ed è la mancanza di onestà riguardo a ciò che la dirigenza di quel movimento sta cercando di realizzare. Se intendi chiamare Israele alle sue responsabilità in forza della legge internazionale non puoi contemporaneamente usare tatticamente queste cose per ottenere un risultato che non è conforme alla legge internazionale, cioè distruggere l’integrità legale e fisica di uno stato esistente. E’ intellettualmente disonesto, perché tratta la gente da stupida.
I punti che vorrei sottolineare sono, numero uno, nella base del movimento i gruppi nei campus, Studenti per la Giustizia in Palestina, non penso ci sia alcun cinismo. Voglio essere onesto. Per queste persone il punto fondamentale è: bene, abbiamo il movimento per i diritti civili, abbiamo creato una società per tutti, non dovrebbe essere questo dovunque l’obiettivo? E’ la richiesta di Rodney King estesa a Israele e alla Palestina: “Perché non possiamo andare tutti d’accordo?”
Il problema è che ci sono insiemi di principi in conflitto. C’è il principio dell’uguaglianza di fronte a un singolo stato laico unitario. Poi c’è il secondo principio, ed è il principio di autodeterminazione dei popoli. E il diritto all’autodeterminazione dei popoli è: “No, non vogliamo vivere insieme; vogliamo vivere separatamente.”
E dunque come si fa a far conciliare un impegno al principio di uguaglianza davanti alla legge con il principio dell’autodeterminazione di popoli diversi in stati diversi? La letteratura vi darà le vertigini. Perché l’intera questione dell’autodeterminazione consiste nello stabilire chi sia il popolo. E’ il popolo di Brooklyn? Sono gli ebrei di Brooklyn? Sono i latini di Brooklyn? Dunque è una questione molto complicata, ma è chiaro che un fondamento della legge internazionale è il diritto all’autodeterminazione dei popoli.
La mia idea personale è che non si può rivendicare come fondamento il principio della legge internazionale e quello che il movimento BDS chiama un approccio basato sui diritti e negare il principio fondamentale che, secondo la legge internazionale, Israele è uno stato. Non ci sono né ‘se’ né ‘ma’.
Quando si guarda al parere della Corte Internazionale di Giustizia, l’ultimissima frase del parere … si legga l’ultimissima frase. Dice: due stati. Voglio dire, semplicemente è qualcosa che non si può aggirare.  Non si può dire che si appoggia una posizione basata sui diritti e poi ignorare quel che dice la legge. La legge è questa! Ed è questo che trovo del tutto inaccettabile.
C’è quella che si definisce disonestà intellettuale – io la chiamo insincerità intellettuale, perché preferisco l’eufemismo – e poi c’è il lato pratico.  Non si lusinga certo la comunità ebraica affermando che Israele non ha il diritto di esistere come stato. Sta lì, è uno stato.
La verità è che la gente comune su entrambi gli schieramenti dello scontro israelo-palestinese è stata usata come pedina per un secolo o più di un gioco politico, dai suoi stessi leader e dai leader di paesi più grandi e potenti.
Ma io non penso che debba avere un finale sgradevole. Penso che tutti potranno uscirne sentendo che in qualche modo ne è valsa la pena e che la loro dignità è stata confermata.
La politica non si occupa della ragione astratta. Si prenda il caso degli Stati Uniti e dei messicani. Gli Stati Uniti si sono presi due terzi del Messico. Trenta milioni di statunitensi sono di discendenza messicana, vale a dire un decimo, o più, della popolazione. I messicani che vengono qui, trasmettono le loro rimesse alle famiglie in Messico, il che fondamentalmente consente all’economia messicana di sopravvivere. Perciò, parlando razionalmente, non dovremmo più parlare di una riforma dell’immigrazione ma dovremmo parlare di uno stato! E dunque perché non aboliamo il confine Messico-Stati Uniti?
Quella non è politica. Vorrei che lo fosse, ma non lo è. Ed è su questo che ho trovato che leggere Gandhi è davvero utile. Per Gandhi la politica era: “Qual è l’opinione pubblica? Cosa è possibile tenuto conto di dove si trova ora l’opinione pubblica?” Quanto a tutto il resto, diceva: “Non ci spreco il mio tempo.” Quando gli dicevano: “Signor Gandhi, lei sta conducendo questa campagna contro l’alcolismo in India perché lei afferma che l’alcolismo è un peccato. Ma perché non fa delle campagne contro le scommesse sui cavalli o contro il cinema”, perché pensavano che il cinema fosse peccato.
La risposta di Gandhi era semplicissima. Diceva: “Perché la maggior parte degli indiani concorda sul fatto che l’alcolismo è un problema. E invece non concorda sul fatto che siano un problema le altre cose e dunque è inutile tentare.”
Non si rinuncia ai propri sogni, ma i sogni non sono politica. Le convinzioni personali non sono politica. Le convinzioni personali, se diventano tema della convinzione di un gruppo, diventano un culto. Sai, Gandhi ha vissuto due vite. E’ stato un leader del movimento indiano per l’indipendenza, ma per tutta la sua vita ha anche partecipato a un ashram. Aveva vietato la biancheria intima, […] aveva vietato 10.000 cose. Era il guru supremo ed era molto rigido. Dovevi prendere nota di ogni secondo di ogni giornata. E lui leggeva. Quello è un ashram. Ma quella non è politica, sai.
La politica riguarda ciò a cui il pubblico è arrivato. E secondo me la cosa è ragionevole. Di tutto il resto non voglio parlare più.
Perché ti piace Whitney Houston?
C’è stato qualcosa di davvero tanto fragile in lei, persino alla fine dei suoi giorni. Ho ascoltato l’intervista con Oprah; in un certo modo mi ha davvero toccato. Naturalmente lei ha davvero amato Bobby Brown. Nonostante tutte le sue degenerazioni è rimasta una ragazza di chiesa molto innocente e pura.
Sua figlia è arrivata a casa e le ha detto: “Mamma, lui [Bobby Brown] ti disprezza” e lei ha detto “Va tutto bene, va tutto bene”. E ha detto che sua figlia ha ribattuto: “No, non va bene affatto.” E io ho pensato come fosse possibile che qualcuno disprezzasse Whitney Houston.
Forse lei doveva trovare l’uomo che la disprezzasse
Perché lei aveva così tanto potere, lei era qualcuno che aveva il comando. Le piaceva. Mi sarebbe piaciuto che avesse fatto del gospel. Il fatto, quanto alle canzoni che lei cantava, è che erano così infelici.

ZNet – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Tablet
traduzione di Giuseppe Volpe
© 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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