Palestina : Le donne di Mufagarah e al-Tuwani, tra coraggio e occupazione
Il villaggio di Mufagarah è di nuovo nel mirino delle forze militari israeliane, dopo la decisione dei comitati popolari delle colline a sud di Hebron di continuare, nonostante le crescenti minacce, la campagna nonviolenta "Mufagarah Project".
di Paola Robino Rizet - Un ponte per...
Obiettivo della campagna è la costruzione di 15 piccole abitazioni per gli abitanti del villaggio situato in area C, dove il governo israeliano da decenni non rilascia permessi di edificazione anche se i terreni sono di proprietà palestinese, acclarata e documentabile.
In questa zona la popolazione vive di antichi lavori tradizionali, coltivando piccoli appezzamenti di terra a grano e cereali, producendo il leben - una sorta di yogurt leggermente salato- e formaggio di pecora lasciato essiccare al sole.
Ogni sabato, dal 19 maggio scorso, palestinesi, attivisti israeliani e internazionali convergono a Mufagarah per difendere il diritto della comunità a resistere contro le politiche di inibizione allo sviluppo promosse da Israele, mentre le colonie esistenti e quelle nuove, costruite per il 90% su terre palestinesi e definite illegali dal Diritto umanitario internazionale e dall'Onu, sono in costante ampliamento.
Domenica scorsa, al suo risveglio, la comunità ha ricevuto due stop working orders.
Uno per la prima nuova casa costruita nelle settimane passate, e il secondo per la tenda adibita a punto d'incontro per attivisti e volontari.
Già nel pomeriggio di venerdì, l'esercito aveva fermato un trattore che trasportava materiali edili per le nuove costruzioni, obbligandolo a tornare indietro.
In serata sono stati istituti posti di blocco lungo la strada che collega al-Tuwani a Mufagarah e a Yatta: anche qui altri due trattori sono stati bloccati.
Uno è stato costretto a tornare indietro scortato dalle camionette.
Ma l'autista del secondo trattore si è rifiutato di obbedire ed è stato trattenuto per ore. I militari lo hanno minacciato di arresto, anche se in realtà sarebbe stato illegittimo, dal momento che l'avrebbero potuto fare solo in presenza di uno stop working order, e non era il suo caso.
Nel frattempo alcuni uomini palestinesi erano accorsi per cercare di aiutare l'uomo e capire cosa stesse succedendo. Anche loro sono stati bloccati.
E' a questo punto che un gruppo di donne ha deciso di farsi avanti.
Resy, una volontaria di Operazione Colomba, ci racconta cosa è successo: "Le donne hanno iniziato a camminare in direzione del primo blocco e quando gli è stato intimato di fermarsi, hanno continuato a procedere. Superando i militari schierati, hanno raggiunto il secondo blocco".
Grazie alla loro mediazione, pacata, gentile e disarmante, sono riuscite a ottenere la riapertura della strada e a far passare il trattore che è giunto a destinazione.
Per ritorsione, venerdì notte l'esercito israeliano ha pattugliato il villaggio con due camionette.
Sabato mattina, quando la comunità ha fissato la tenda e sono iniziati i lavori nei pressi della piccola moschea in costruzione, esercito, polizia e D.C.O. si sono presentati contemporaneamente.
Hanno istituito un cordone di sicurezza per impedire a palestinesi, attivisti israeliani e internazionali di entrare nella moschea. Successivamente hanno preso le generalità del rappresentante dei comitati popolari della zona.
Per Resy, che era con loro, il coraggio delle donne palestinesi è un esempio straordinario di lotta.
Una lotta che in questo minuscolo lembo di terra è sinonimo di sopravvivenza. Da sabato prossimo, a Mufagarah, si ricomincerà a costruire perché - come dicono i volontari di Operazione Colomba - "un muro ricostruito vale più di cento case abbattute. Perché un trattore liberato da 15 donne vale più di cento strade bloccate dai soldati”.
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13 giugno 2012
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