Turchia, Iran e Bahrein: ecco cosa accade alla comunità Lgbt


 Amnesty punta il dito contro questi tre paesi. Qui, tra maltrattamenti e abusi, la diversità sessuale è ancora considerata una malattia da debellare. 
 di Maria Letizia Perugini
 Nel rapporto annuale di Amnesty International pubblicato nei giorni scorsi, alcune sezioni sono dedicate alle problematiche legate alle discriminazioni e ai maltrattamenti riservati alle comunità Lgbt.
Nei paesi a maggioranza musulmana, l’amore tra persone dello stesso sesso non trova spazio a livello legislativo, se non in senso punitivo.
In realtà, originariamente l’Islam si diffuse tra popolazioni pagane per le quali l’omosessualità apparteneva alla tradizione. 
Successivamente, anche grazie all’influenza delle più puritane nazioni colonizzatrici, l'omosessualità ha invece assunto i caratteri dell’immoralità, per poi essere relegata nelle zone più segrete dell’animo umano.
Ed è così che oggi le persone Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) vivono sotto assedio. In particolare in Turchia, Iran e Bahrein.


IN TURCHIA È UN "DISORDINE BIOLOGICO"

Secondo il rapporto annuale di Amnesty, il problema della discriminazione nei confronti delle persone Lgbtnon è stato affrontato.
Nel corso del 2011 si sono registrati almeno 8 omicidi tra gli attivisti, e le autorità di pubblica sicurezza continuano a sentirsi autorizzate a compiere molestie e trattamenti arbitrari nei confronti degli appartenenti a tale comunità.
Inoltre non è stato aperto alcun procedimanto penale rispetto agli episodi appena citati.
Nel corso del 2011, l'organizzazione per i diritti umani aveva già puntato il dito contro il governo di Ankara, pubblicando un rapporto intitolato “Non una malattia né un crimine: le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender in Turchia chiedono uguaglianza”.
Infatti, nonostante i numerosi accordi internazionali siglati, l’orientamento sessuale continua ad essere motivo di discriminazione.
Dal punto di vista legislativo, la Turchia 'ignora' completamente la materia. La Costituzione e la legislazione nazionale non contemplano il tema della discriminazione sessuale. Semplicemente non esiste.
E quando se ne parla, diventa "devianza" o peggio ancora.
Così almeno si esprimeva il ministro responsabile per le Donne e la Famiglia nel 2010, anno della prima grande manifestazione di piazza per i diritti degli Lgbt: “L’omosessualità è un disordine biologico, una malattia che deve essere curata”.
Chi sceglie di battersi per i propri diritti non può quindi sperare in nessuna protezione a livello statale, sebbene la società civile abbia tentato più volte di fare pressione sul Parlamento perché si pronunciasse sulla questione.
Nel 2005, al momento dell’introduzione del nuovo codice penale, tutte le richieste di norme contro la discriminazione sessuale sono state respinte.
Allo stesso modo l’emendamento costituzionale che nel maggio 2010 ha portato a modificare l’articolo 10 sulla la non discriminazione, prevedendo anche azioni positive in materia, ha deluso le aspettative non riuscendo ad essere esteso anche all'ambito sessuale.
Lo stesso esito ha avuto il lungo cammino, sostenuto dalla società civile turca, per l'approvazione di una bozza di “Legge per combattere la discriminazione e per l’uguaglianza”. Terminato nel marzo 2011, ha fallito il suo intento.
Se nelle intenzioni delle associazioni che hanno proposto la legge c’era anche la volontà di combattere la discriminazione sessuale, nella versione finale, pubblicata dal ministero dell’Interno, questo riferimento è sparito.
La rimozione che avviene a livello legislativo, nella pratica si traduce in comportamenti molto concreti: maltrattamenti e barriere, senza che il motivo della discriminazione venga mai esplicitato. 
Spesso i licenziamenti vengono per lo più motivati dalla formula “comportamenti dissoluti”.
La marginalizzazione e la mancanza di leggi a protezione dei diritti di questa parte della popolazione li espone a tutti i tipi di vessazione da parte delle forze di pubblica sicurezza.
Sono soprattutto i bisessuali e i transgender a subire i trattamenti peggiori, soprattutto nel segreto della custodia cautelare.
Ma la situazione più difficile è quella dei soldati. In Turchia il servizio militare di 15 mesi è obbligatorio per tutti gli uomini tra i 19 e i 40 anni. Il diritto all’obiezione di coscienza non è risconosciuto.
Sono esenti dall'imbracciare le armi i gay, in quanto per le autorità turche 'soffrono' di "disordini psico-sessuali", e quindi “inadatti a prestare servizio”.
Per provare la propria 'inabilità' devono mostrare prove fotografiche o sottoporsi a ispezioni anali.
Chi decide di non “dichiarare la propria malattia” si sottopone a mesi di maltrattamenti e comportamenti omofobi giustificati a tutti i livelli della gerarchia.
La situazione delle donne lesbiche e bisessuali è, se possibile, ancora più drammatica rispetto a quella degli uomini, essendo loro vittime di una doppia discriminazione.


IL BAHREIN E LA 'CONTA' DEGLI OMOSESSUALI

Il 2 febbraio scorso, l’intervento della polizia in una festa nella quale si riteneva fossero presenti dei gay ha provocato il fermo di 200 persone.
Cinquanta hanno avuto conseguenze giudiziarie, e di queste 30 sono state accusate di prostituzione e altri atti illeciti.
La criminalizzazione dei rapporti omosessuali in questo paese, così come in molti altri Stati del Golfo, è andata di pari passo con l’aumento dell’influenza politica e morale britannica, particolarmente rigida in materia di costumi sessuali.
Oggi l’articolo 324 del codice penale considera illegale l'indurre qualcuno a “compiere atti immorali”, il che significa che un semplice invito che riguardi una persona Lbgt può diventare reato e tradursi in cinque anni di carcere.
Il 2008 è stato un anno particolarmente duro su questo fronte. 
Il blocco parlamentare Menbar fece pressioni per 'debellare' l'omosessualità dal paese, proebendo l'ingresso di tutti gli stranieri ritenuti tali e istituendo una commissione per stimare il numero di gay presenti nel paese.
I luoghi da tenere sotto controllo, secondo i promotori della proposta, erano soprattutto i saloni di bellezza e le scuole. 


IRAN: IL PAESE CON IL PIÙ ALTO NUMERO DI CONDANNE A MORTE

L’Iran è il paese mediorientale con il più alto numero di condanne a morte per omosessualità.
Qui la condizione per le persone Lbgt è particolarmente drammatica, dal momento che vengono considerate solo per il fatto che rappresentano un’onta al pubblico pudore.
Le vicende individuate dal report di Amnesty sono due in particolare: il 4 settembre del 2011 tre uomini sarebbero stati uccisi nel carcere di Karoun, nella provincia di Khuzestan perché ritenuti colpevoli di sodomia.
C’è poi la storia di Siyamak Ghaderi, per 18 anni giornalista dell’agenzia di stampa di stato IRNA, condannato a 4 anni di carcere, alla fustigazione e al pagamento di un’ammenda per aver “pubblicato menzogne” sul suo blog e per aver commesso “atti religiosamente illeciti”.
La 'colpa' di Ghederi, per la quale si trova in carcere dall’agosto 2010, è stata quella di aver dato spazio sul suo blog alle voci di persone della comunità Lgbt.
La sua iniziativa voleva essere un atto di protesta contro le affermazioni del 2007 del presidente Ahmadinejad, quando durante i lavori dell’assemblea generale dell’Onu aveva dichiarato pubblicamente: “Noi non abbiamo omosessuali come li avete voi nel vostro paese”.
Dichiarazioni a parte, la legge iraniana sembra invece tenerli più che in considerazione. 
L’art 111 del codice penale recita: “Lavat (attività sessuale consumata tra maschi) è punibile con la morte nel caso entrambi i partner attivi e passivi siano maturi, consenzienti e capaci di intendere e di volere”.
Mentre l'articolo 123 dice che “se due uomini non consanguinei giacciono nudi sotto la stessa coperta non in caso di necessità”, ciascun di loro riceverà 99 frustate.
Solo del 13 maggio scorso la notizia della condanna a morte di altri quattro giovani gay Vahid Akbari, Sahadat Arefi, Javid Akbari e Hushmand Akbari.
 
4 giugno 2012

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