Sguardo critico sul sistema giudiziario militare di Israele


L’organizzazione Addameer ha pubblicato un rapporto e una serie di analisi individuali sul sistema giudiziario militare israeliano, che secondo l’associazione viene poco studiato. Il rapporto dà l’opportunità di comprendere meglio l’intero processo che potenzialmente coinvolge tutti i palestinesi dei Territori Occupati e tenta di mettere in evidenza il gap tra gli obblighi legali dei tribunali militari e gli standard internazionali.
Background del regolamento militare nei Territori Occupati.
I Territori Occupati sono sotto la giurisdizione della legge militare israeliana. Secondo il rapporto, circa 750mila palestinesi sono stati detenuti in carceri israeliane dal 1967, ovvero circa il 20% dell’intera popolazione dei TPO e il 40% della popolazione maschile. Attualmente i prigionieri politici palestinesi nelle prigioni israeliane sono 4.610.
Tutte le prigioni in cui i palestinesi arrestati vengono detenuti, eccetto una, si trovano in Israele, in diretta violazione dell’articolo 76 della IV Convenzione di Ginevra che stabilisce che un potere occupante deve detenere i residenti del territorio occupato in carceri all’interno del territorio occupato stesso.
L’arresto e la detenzione dei palestinesi dei TPO è regolata da un ampio numero di normative militari, e più precisamente da ordini militari divisi in cinque categorie: attività terroristica, disturbo dell’ordine pubblico, reati criminali, presenza illegale in Israele e infrazioni stradali commesse nei Territori Occupati.
Il rapporto sottolinea che l’implicazione pratica di tali “reati” è la criminalizzazione di molti aspetti della vita civile palestinese. Ad esempio, i partiti politici sono tuttora considerati “organizzazioni illegali”, compresa l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, anche se Israele è coinvolto nei negoziati di pace con l’OLP dal 1993. È un crimine anche sventolare una bandiera palestinese, secondo la legge militare israeliana.
La principale funzione dei tribunali militari israeliani, situati nei TPO, è perseguire i palestinesi arrestati dall’esercito israeliano e accusati di minacce alla sicurezza e di altri crimini. Ma Addameer spiega che non tutti i palestinesi arrestati vengono giudicati in corti militari: alcuni vengono rilasciati, altri vengono reclusi in detenzione amministrativa senza un processo.
 
La detenzione amministrativa
La detenzione amministrativa è una procedura che permette all’esercito israeliano di detenere prigionieri a tempo indeterminato sulla base di “informazioni segrete”, senza accusarli ufficialmente di un crimine e senza garantire loro un processo. Si fonda sull’Ordine Militare n. 1651 (art. 285): l’esercito israeliano può emettere un ordine di detenzione amministrativa di sei mesi, continuamente rinnovabile di altri  sei mesi, se ha “ragionevoli prove che la sicurezza dell’area o la sicurezza pubblica richiedano la custodia”.
Il rapporto spiega che gli ordini di detenzione vengono frequentemente rinnovati poco prima della data di scadenza, a volte a tempo indeterminato. Alcuni prigionieri palestinesi hanno trascorso oltre otto anni in prigione senza accuse né processo, per i continui ordini di detenzione amministrativa mossi contro di loro. Secondo Addameer, sono circa 322 i palestinesi in detenzione amministrativa al primo aprile 2012.
 
I processi presso le corti militari
Il rapporto sottolinea che il 99,74% di coloro che vengono accusati di un reato sono poi condannati, la maggior parte dei quali dopo il patteggiamento.
In qualità di potere occupante, la legge internazionale umanitaria garantisce a Israele il diritto di creare corti militari nei TPO, ma anche di rispettare alcuni fondamentali diritti per un processo equo, spesso violati dai tribunali militari. Prima di tutto, secondo il rapporto, il diritto a ricevere immediata comunicazione dei crimini di cui si è accusati è violata da Israele: gli ordini militari non prevedono la consegna all’accusato, che spesso avviene con molto ritardo.
In merito al diritto di preparare una difesa efficace, un prigioniero può essere detenuto 90 giorni in stato di interrogatorio senza vedere un avvocato, che ha inoltre molte difficoltà a incontrare il proprio cliente nelle prigioni dentro Israele. Riguardo al diritto di essere sottoposti ad un processo senza ritardi, Addameer riporta che i palestinesi possono essere tenuti in custodia per otto giorni prima di vedere un giudice.
Il diritto alla traduzione non viene applicato: nella pratica le confessioni dei detenuti e i rapporti militari sono redatti in ebraico e si chiede al prigioniero di firmare qualcosa che non comprende. Stesso dicasi per tutti i procedimenti presso le corti militari, tutti in ebraico. Infine, gli ordini militari israeliani non prevedono un’esplicita clausola riguardo alla presunzione di innocenza.
Il rapporto aggiunge che la legge umanitaria, che prevede la creazione di corti militari nei TPO, restringe la giurisdizione di tali corti solo ai casi di violazione della legislazione criminale, mentre la giurisdizione dei tribunali militari israeliani è molto più ampia e include crimini non legati a tale legislazione.
 
La detenzione di bambini
Il rapporto analizza inoltre il fatto che molti dei detenuti della Cisgiordania sono bambini sotto i 18 anni e calcola che circa 700 minori l’anno vengono arrestati, interrogati e detenuti dall’esercito israeliano. Se la Convenzione delle Nazioni Unite per i Diritti del Bambino definisce minori tutti gli esseri umani sotto i 18 anni di età, i tribunali militari israeliani continuano a giudicare minorenni come se fossero adulti. L’aspetto più critico della pratica giudiziaria militare è che l’età del bambino viene stabilita nella data della sentenza e non in quella di commissione del reato. In questo modo, a causa di lunghe detenzioni prima dei processi, i bambini palestinesi vengono spesso giudicati da adulti.
Il rapporto documenta che nella maggioranza dei casi l’accusa contro i bambini palestinesi è di aver lanciato pietre. Molti di loro vengono arrestati indiscriminatamente e sono soggetti a interrogatori in cui vengono estorte confessioni false, a causa dei metodi coercitivi dell’esercito israeliano. Addameer stima che in media i bambini vengono condannati alla prigione per periodi tempo che vanno dai 2 ai 12 mesi per aver lanciato pietre o Molotov. Ma in alcuni casi la pena è molto più dura.
 
La persecuzione degli attivisti per i diritti umani
Il rapporto analizza anche il fatto che, nonostante numerosi attivisti palestinesi siano considerati difensori dei diritti umani dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea – elemento che dovrebbe garantire loro protezione –, continuano ad essere perseguiti dalle corti militari israeliani. I tribunali criminalizzano le loro attività, compresa la partecipazione e l’organizzazione di manifestazioni. Così gli attivisti palestinesi, considerati difensori dei diritti umani, vengono regolarmente riconosciuti colpevoli di crimini contro la sicurezza e spediti in prigione.
 
Le testimonianze
Infine, il rapporto riporta numerose testimonianze di volontari dell’associazione che hanno fatto visita alle corti militari israeliane nei TPO. Ingiustizia, ipocrisia, speranze e sfide sono i temi persistenti dei loro racconti: ognuno di loro ha avuto difficoltà a definire tali tribunali delle corti eque. Hanno riportato che tutte le procedure sono state effettuate in lingua ebraica e che i traduttori non sono spesso riusciti a tradurre i più importanti passaggi, dichiarazioni che avrebbe potuto aiutare molto l’imputato. Inoltre, hanno raccontato che la maggior parte degli accusati sono stati trattati come colpevoli molto tempo prima che una formale accusa venisse mossa contro di loro.
Ma le testimonianze riflettono anche la speranza. I volontari hanno raccontato che, nonostante i maltrattamenti e le ingiustizie commesse contro di loro, i prigionieri palestinesi appaiono di buon umore, sorridono e ricordano i loro cari, una reazione che molti di loro considerano un atto di resistenza, il rifiuto a vedere la loro forza vinta da un tribunale militare israeliano.
Claude Durant e Aria Daghighi
Alternative Information Center

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