La questione siriana vista dalla Cina


La crisi siriana, e lo scontro internazionale che ruota attorno ad essa, fanno parte di un emergente conflitto globale per l’egemonia che vedrà Pechino come principale avversario di Washington – scrive l’analista libanese Raghid Solh
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Tanto più la crisi siriana si protrae, ed il paese sprofonda negli spargimenti di sangue e nella violenza, tanto più emergono il carattere internazionale dello scontro ed il ruolo delle maggiori potenze in gioco. Giacché la Siria è un Paese rilevante nella regione araba, l’allarmante internazionalizzazione del conflitto è il preludio di un cambiamento che potrebbe rendere il Vicino Oriente il teatro di uno scontro internazionale. Ultimamente, sembra che la partita si accontenti di due soli giocatori: la Nato guidata dagli Stati Uniti, che appoggia l’opposizione siriana, e la Russia, che appoggia il regime di Assad. Questo è ciò che ha fatto discutere alcuni esperti sulla posizione di Mosca, considerata il fattore decisivo per le sorti di questo conflitto.
L’enfasi sull’importanza della posizione russa nei confronti della crisi siriana è più che legittima. Non c’è dubbio che Mosca abbia in mano molti mezzi e molte carte da giocare per interferire con la questione siriana. Ad eccezione dell’ingerenza diretta dovuta al posizionamento di navi da guerra nella baia di Latakia e degli elicotteri ceduti alle forze siriane, Mosca può anche esercitare pressioni indirette su Washington per far rettificare al Governo americano la sua posizione nei confronti della crisi siriana. Mosca può, ad esempio, chiudere le linee di comunicazione e di rifornimento che l’amministrazione americana usa per le proprie truppe in Afghanistan. Questa situazione ha vari risvolti: pone le forze americane, ancora presenti sul territorio afghano, in una situazione difficile, facilitando l’assedio e gli attacchi dei Talebani.
La Russia potrebbe essere obbligata a utilizzare queste risorse contro gli Stati Uniti, e indirettamente anche contro la Nato, se si trovasse sola e isolata a difendere i propri interessi vitali in Siria, e se divampasse lo scontro con Washington e i suoi alleati in merito alla questione siriana. Ma in realtà il reciproco allontanamento tra Mosca e Washington non ha ancora raggiunto il limite massimo, e la posizione della Russia nei confronti della questione siriana è da considerarsi una posizione russo-cinese, a dire il vero. Entrambi i Paesi, infatti – e non solo la Russia – hanno grandi interessi nella regione e i loro leader sono consapevoli che il conflitto regionale è, in verità, un conflitto per stabilire le posizioni nell’ordine internazionale.
La Cina è presente nell’agone mediorientale, come anche la Russia. Tuttavia ci sono alcune differenze circa gli obbiettivi, le modalità d’azione e gli strumenti di influenza. Infatti, la Russia può intervenire direttamente. Invece, per la Cina, che è lontana fisicamente dalla regione, non è facile giocare lo stesso ruolo. Prendendo in considerazione questa differenza, l’influenza cinese nella questione siriana e mediorientale emerge nelle modalità seguenti:
1) Opponendosi ai progetti di intervento militare da parte dell’Occidente in Siria tramite l’appoggio agli sforzi del delegato dell’Onu e della Lega Araba, Kofi Annan. È degno di nota che Pechino ha preso una posizione più intransigente dopo che il Segretario di Stato americano, Hilary Clinton, ha descritto il veto cinese e russo alla risoluzione proposta dall’Occidente in seno alle Nazioni Unite come “disprezzabile”. Inoltre, dallo scorso febbraio sui giornali cinesi è aumentato l’accanimento contro gli Stati Uniti e contro la loro politica mediorientale. Infatti, l’agenzia ufficiale cinese “Xinhua” ha criticato la posizione americana in un editoriale, affermando che gli Stati della Nato, mentre mostrano di mobilitarsi sulla base di considerazioni umanitarie, in verità cercano “di estendere la loro egemonia nella regione”. Anche il quotidiano cinese ufficiale “People’s Daily” ha sostenuto questa tesi, accusando la posizione americana di essere espressione di una politica che manca di qualsiasi giustificazione morale, e sottolineandone l’aggressività, l’arroganza e la presunzione.
2) Sviluppando le relazioni sino-russe. È possibile dire che la questione siriana abbia giocato un ruolo fondamentale nel riavvicinamento delle due parti, specialmente durante la visita del presidente russo Vladimir Putin in Cina lo scorso giugno. Durante gli incontri, come ha dichiarato l’ambasciatore cinese a Mosca, si è discusso della questione siriana in una cornice internazionale allargata che mira a sviluppare le relazioni tra i due paesi nel quadro dell’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione. In seguito a questa visita sono aumentate le aspettative future dell’Organizzazione stessa, specialmente riguardo alla sua ipotetica trasformazione in una sorta di Nato euroasiatica.
A causa di questi sviluppi, le relazioni sono cresciute fino a un “livello senza precedenti tra i due Paesi, che sono d’accordo sugli interessi essenziali e condividono politiche internazionali affini”, ha dichiarato il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov. Le fonti diplomatiche dei due Stati hanno riferito che, durante le consultazioni svoltesi nel corso della sopraccitata visita, si è discusso della questione siriana, concordando misure concrete a sostegno del piano Annan e della sua applicazione futura.
3) Sviluppando le potenzialità cinesi. Pechino non è intervenuta ad ampio raggio in Medio Oriente, e nella questione siriana in particolare. Tuttavia, la Cina ha fatto ben più di questo quando ha costretto gli Stati Uniti a trasferire il principale teatro dello scontro internazionale nell’Asia orientale. Infatti, la Cina, che ha fatto passi da gigante sulla via dello sviluppo, parallelamente alla crescita economica sta modernizzando le sue forze armate. Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), il bilancio della spese cinesi per la difesa è aumentato di cinque volte tra il 2000 e il 2012, fino raggiungere i 160 miliardi di dollari. Nonostante Washington oggi spenda più del quadruplo della Cina, le statistiche condotte dal SIPRI e da altri centri di studi strategici stimano che la Cina spenderà più degli Stati Uniti entro il 2035.
Qual è il principale obbiettivo di questa politica di difesa? E che relazione c’è tra la Cina e la questione siriana?
Gli americani interessati alle relazioni sino-americane, rispondendo alla prima domanda, affermano che la Cina ambisca ad assumere il ruolo di “forza regionale egemone nel Sudest asiatico” e che queste aspirazioni siano in conflitto con i vitali interessi americani di sicurezza. Per rimediare a quest’allarmante minaccia cinese, il presidente americano Obama ha emanato il documento “Strategic Pivot”. Esso dà priorità all’Asia e si rifà ai principi generali sanciti da un documento del vicesegretario alla Difesa americano Paul Wolfowitz, pubblicato nel 1992. Questa direttiva includeva l’impegno dell’amministrazione americana ad agire – anche militarmente – contro ogni blocco regionale che si fosse opposto agli interessi degli Stati Uniti. A quel tempo, molti americani liberali e democratici, tra cui Joseph Biden, l’attuale vicepresidente americano, avevano già criticato il documento e la sua natura ostile. Oggi tuttavia Obama, che pure fu uno dei fermi contestatori della politica estera di Bush, non sembra avere alcun problema nell’applicarla. Così come la legge Wolfowitz sollevò forti critiche negli Stati Uniti, la politica adottata dall’amministrazione Obama contro la Cina suscita analoghe critiche. Durante una conferenza lo scorso maggio, l’ex vice capo di Stato Maggiore americano, James Cartwright, ha sostenuto che l’obbiettivo principale di questa politica è “demonizzare la Cina, e questo è dannoso per tutti”.
Questa politica lancerà la corsa agli armamenti in Asia e inaugurerà una nuova Guerra Fredda. Infatti, gli Stati Uniti sono decisi a inviare sei portaerei e numerose navi da guerra in prossimità della costa cinese, ed a rafforzare la propria presenza militare nei paesi confinanti, costituendo un’alleanza che comprenda l’India, il Giappone, l’Indonesia, la Corea del Sud e il Vietnam. Lo scopo sarebbe quello di contenere la Cina, impedendole di diventare un gigante regionale, o peggio, mondiale. È evidente che la Cina non tollererà questa sfida e risponderà, anche se dopo un po’ di tempo. Si tratta di un nuovo scontro internazionale che non si limiterà soltanto all’Asia orientale, ma si estenderà anche all’Asia occidentale. Theodore Roosevelt aveva già annunciato, insediandosi alla Casa Bianca nel 1901, che la Cina e i suoi Stati confinanti costituiscono un’area di vitale importanza per gli interessi statunitensi. Analogamente, non sarà difficile per i leader della Cina emergente nel mondo dell’economia, della politica e della difesa, annunciare che la regione araba (compresa la Siria) ricca di risorse naturali e di vie di comunicazione strategiche, è una regione essenziale per gli interessi cinesi.
Gli interessi arabi sono gli unici a mancare, almeno, fino a nuovo avviso.
Raghid Solh è un ricercatore, giornalista e saggista libanese; nei suoi scritti ha approfondito i temi della democrazia e delle relazioni regionali ed internazionali
(Traduzione di Omar Bonetti)

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