Paola Caridi (invisiblearabs) :Arafat, il veleno, e gli alambicchi degli apprendisti stregoni


Novembre. Freddo e piovoso novembre palestinese. Di quelli descritti da Joe Sacco nella graphic novel che è la sua pietra miliare, Palestine. Novembre 2004: allora si pensava che la seconda intifada fosse ancora lontana dalla sua conclusione, e invece di lì a poco la fase cruenta della rivolta più devastante e controproducente per i palestinesi si sarebbe conclusa. Novembre 2004. Dopo giorni di agonia, Yasser Arafat muore lontano dalla Muqata di Ramallah, dov’era stato messo sotto assedio dai soldati israeliani per lungo tempo. Muore in un ospedale militare alla periferia di Parigi, lo stesso ospedale militare dove forse – ora – bisognerà cominciare a cercare altre tracce sul repentino malessere che condusse Abu Ammar alla morte. Altre tracce, oltre quelle di Polonio 210 trovate sui suoi oggetti personali da un serissimo istituto di ricerche svizzero di radiofisica, e rese note al mondo dal giornalismo investigativo versione Al Jazeera.
Arafat ucciso, questa è la conclusione. Una conclusione a cui, francamente, molto pochi tra i giornalisti presenti a Gerusalemme credevano. Me compresa, che a Gerusalemme ero anche proprio in quell’uggioso novembre del 2004, a seguire l’agonia e la morte di Arafat come una giornalista che a Gerusalemme non era per caso, ma ci viveva. Sarà che non mi piacciono i complotti, e che tendenzialmente non credo alle dietrologie, ma per anni ho cercato di evitare di seguire il flusso dei racconti – soprattutto di parte palestinese – in cui la lettura era sempre la stessa. Arafat è stato assassinato. Ma da chi? Sui mandanti, le teorie erano le più varie: qualcuno del suo entourage, che magari voleva eliminare Abu Ammar per ereditarne il potere. Oppure i servizi segreti israeliani, che a dire il vero in quel momento avevano messo sotto assedio l’allora presidente dell’Autorità Palestinese non solo con i carri armati attorno alla Muqata, ma anche con un isolamento internazionale senza pari. Come se Oslo non ci fosse mai stata.   

Teorie degne degli alambicchi dei giallisti. Questo ho sempre pensato. L’inchiesta di Al Jazeera, però, pone a questo punto dei seri, serissimi dubbi sulla morte naturale di Yasser Arafat. E questo, ora, conta. Conta perché adesso, negli scorsi mesi, negli ultimi due anni, si è raggiunto il picco più basso nei rapporti tra israeliani e palestinesi. Conta perché a settembre, all’Onu, si ridiscuterà forse dello Stato di Palestina. Conta perché sia Abbas a Ramallah sia Hamas a Gaza City sentono il fiato sul collo dello scontento popolare che non vuole più la divisione politica dei palestinesi. Conta perché la possibile eliminazione di Arafat per mano ignota getta una luce diversa sul processo di transizione del personale politico palestinese. Dal punto di vista della politica interna a Cisgiordania e Gaza, non si può infatti non mettere in relazione la morte di Yasser Arafat con l’uccisione – questa sì conclamata – di sheykh Ahmed Yassin, fondatore e leader di Hamas.

CONTINUA QUI
 Arafat, il veleno, e gli alambicchi degli apprendisti stregoni  

Commenti

Post popolari in questo blog

Hilo Glazer : Nelle Prealpi italiane, gli israeliani stanno creando una comunità di espatriati. Iniziative simili non sono così rare

giorno 79: Betlemme cancella le celebrazioni del Natale mentre Israele continua a bombardare Gaza

Né Ashkenaziti né Sefarditi: gli Ebrei italiani sono un mistero - JoiMag

I 'cimiteri dei numeri': dove finisono i "nemici" di Israele