Il Muro, 10 anni dopo / Parte 11: Sicurezza per Israele?






Il Muro, 10 anni dopo/ Parte 11: Sicurezza per Israele? 
di Haggi Matar

La causa scatenante del momento per dare inizio alla costruzione del muro era la sicurezza dei cittadini israeliani. Dieci anni dopo, con tutte le note ricadute accumulate sui palestinesi, sulla natura, l’economia e vicende politiche – la barriera ha soddisfatto i suoi obiettivi dichiarati per gli israeliani? 

Stando in piedi sul monte del cimitero di Budrus, a prima vista, il muro di separazione sembra avere completamente senso. Oltre le nubi di gas lacrimogeni che salgono dal campo sottostante, dove i giovani del villaggio e i giovani dell’esercito si scambiano pietre per granate, al di là della barriera che ora è quasi sulla Linea Verde dopo che la celebre lotta popolare locale ha costretto l’esercito a modificarne il percorso e a restituire il 95 % delle terre del villaggio, e attraverso la bruna nebbia dei fumi delle auto che è distesa sulla cima del cuore della terra – si può vedere con chiarezza il profilo di Tel Aviv. A soli 20 chilometri di distanza si possono riconoscere alcuni edifici famosi che sembrano sorprendentemente vicini. 
Stando qui, si può capire facilmente perché Israele vuole che questa barriera sia qui. Come menzionato nel primo capitolo di questa serie, è stata l’ondata di attacchi suicidi contro le città israeliane a creare la pressione pubblica sul governo perché costruisse il muro, e questa barriera qui che impedisce ai palestinesi di accedere facilmente e velocemente alla più grande metropoli del paese sembra essere proprio la soluzione.

                                 Panorama di Tel Aviv dal monte del cimitero di Budrus. (foto: Ruth Edmonds) 
Tuttavia, qui è necessaria anche una seconda occhiata. Allontanando lo sguardo dal profilo della città, si può vedere anche la dispersione di una manifestazione, l’apertura del cancello della barriera, l’invasione furibonda delle jeep dell’esercito, il cannone installato su una di esse che spara circa 20 bombolette di gas lacrimogeno nel villaggio, i soldati che tentano di fare arresti e le famiglie che, di fronte al gas, cercano di sigillare le porte e le finestre. 
Questo secondo sguardo può pure rammentare che circa 100 dunam di terra sono ancora intrappolati sull’altro lato della barriera, che l’esercito (come ogni israeliano) può ancora entrare liberamente in questo posto e fare quello che vuole, che se non fosse stato per la lotta la barriera avrebbe dovuto annettere una porzione di terra di ben venti volte maggiore, a spese dei mezzi di sussistenza degli agricoltori, e che in molti luoghi non ci sono state lotte di questo tipo o che non hanno ottenuto alcun successo. Ricorda pure che lo stato attuale delle cose è ancora inaccettabile per milioni di persone che vivono sotto il regime militare, e che proseguiranno nella lotta in un modo o nell’altro fino all’indipendenza. Questo complica un po’ di più la faccenda. 
“Non c’è dubbio che il percorso mette in pericolo le truppe”
“Chiedi a un israeliano medio che cosa pensa del muro e lui ti dirà ‘guarda, qui mi salvo la pelle, quindi al diavolo, sì – falli stare in piedi per altre due ore a un posto di blocco’, perché lui tenderebbe a pensare che la questione sta se costruire o meno un muro”, afferma il colonnello (della riserva) Shaul Arieli, un membro del Consiglio per la Pace e la Sicurezza e co-autore di The Wall of Folly – Il muro della follia (“Khoma U’Mekhdal”). “In tal caso credo che sarebbe del tutto giusto, perché la vita soppianta qualsiasi altra cosa. Ma questo è solo un bluff – in quanto non c’è alcuna reale discussione sulla questione se Israele ha il diritto di costruire un muro. Il mondo intero sostiene che è possibile utilizzare una barriera, un muro, un fiume pieno di coccodrilli, basta che sia sulla Linea Verde. Questo è il punto sul quale Israele è in disaccordo e dove il governo ha scelto volontariamente di mettere in pericolo i suoi cittadini a vantaggio di altri interessi, quelli, ad esempio, delle colonie.

                                  “Un muro lungo e tortuoso”. Il muro nei pressi di Gerusalemme (foto di Oren Ziv)
Come citato in precedenza nella serie degli articoli, la lunghezza della barriera con il suo zig-zagare risulta essere più del doppio di quella della Linea Verde ed è quindi evidentemente più difficile da proteggere. Ma non è solo il percorso nel suo complesso ad offrire una difesa minore di quanto possibile, ma lo sono pure alcuni tratti specifici dello stesso. Nel 2005, la Corte Suprema di Giustizia ha abrogato una propria sentenza, e ha spostato la barriera costruita vicino alla colonia di Tzufin. Il giudice Aharon Barak ha dichiarato che lo Stato ha mentito per nascondere il fatto che questo tratto del percorso era pianificato per favorire la futura espansione della colonia – e non solo per motivi di sicurezza. E’ stata una sentenza che sarebbe costata l’impiego al pianificatore della barriera e colonnello (della riserva), il colono Danny Tirza – ma non c’è da preoccuparsi: il Tirza stesso è stato assunto di recente dal primo ministro Benjamin Netanyahu per delineare un futuro confine per Israele, da presentare nel caso di negoziati. 
In un caso differente, quello del villaggio di Bil’in, la Corte ha constatato che non solo il percorso è stato pianificato avendo in mente l’espansione della colonia di Matityahu Est, ma che di fatto aveva delle caratteristiche tattiche inferiori. “Non c’è dubbio che il percorso mette in pericolo l’attività di pattugliamento delle truppe”, ha scritto l’ex presidente della Corte Suprema Dorit Beinish. “Considerando i casi precedenti nei quali ci era stato detto dell’importanza di mantenere la barriera in posizioni topograficamente dominanti, il percorso in oggetto solleva alcune questioni.” 
Mentre è possibile affermare che casi come questi stanno a confermare il valore dato alla sicurezza per quanto riguarda il muro, dal momento che il sistema è in grado di riparare i propri errori laddove il percorso lo richiede, vorrei aggiungere all’equazione una certa sorta di scetticismo: perché, chi può dire che le comunità locali palestinesi si sono prese pure la briga di andare in tribunale in tutti quei casi in cui i progettisti hanno scelto un percorso di annessione? Chi può dire che prove come quelle tenute nascoste dall’esercito e rivelate dai firmatari delle petizioni nei casi di Jayous e Bil’in potrebbero essere palesate altrove? E che cosa dire delle implicazioni sulla sicurezza a lungo termine coerenti con le scelte proprie della Corte Suprema di accettare la singolare affermazione dello Stato secondo la quale il muro è “temporaneo”, per cui è permesso fagocitare e proteggere le colonie più importanti?

                                     Dividere la campagna: La barriera nei pressi di Ariel (foto di Oren Ziv) 
La scelta palestinese 
Anche se si sceglie di ignorare il percorso lungo e tortuoso, oppure i casi in cui i pianificatori del muro hanno mentito sui veri motivi – non possiamo ignorare le implicazioni relative alla sicurezza di quattro parti del muro non ancora realizzate. Di tre di queste (i piani di Adumim, di Gush Etzion e del deserto della Giudea) non si prevede neppure che venga ripresa la costruzione nell’immediato futuro, e nel caso della quarta – a sudovest di Gerusalemme – dai villaggi palestinesi dei dintorni si può ancora vedere il profilo della capitale e, a differenza di Budrus, si può attraversare con facilità. 
“Questi varchi permettono l’ingresso a fiotti di infiltrati, di droga e armi, come pure di assassini”, sostiene Arieli. “Comunque non sono chiusi ermeticamente solo perché il governo vuole annettere grossi pezzi di territorio e questo la Corte lo sa altrimenti non l’avrebbe permesso – così ne viene a perdere la nostra sicurezza”. “Che i varchi nella barriera vengano attraversati non costituisce un problema e che ogni giorno decine di migliaia di lavoratori clandestini li percorrano avanti e indietro, e non dovrebbe esserci alcun problema trovare attentatori suicidi finiti di tra di loro”, sottolinea Ilan Tsi’on, co-fondatore di “Una Barriera per la Vita”. “E allora perché non lo fanno? Perché è una scelta dei palestinesi. Sanno che se la barriera fosse completa dovrebbero affrontare in pratica molte più difficoltà e toglierebbe loro la possibilità di influenzarci. Quindi, in effetti, la nostra sicurezza è in realtà un’illusione.”

                             “Ogni giorno decine di migliaia passano attraverso i varchi”. Un cantiere deserto (foto di Oren Ziv) 
Le risposte di Arieli e di Tsi’on mettono in evidenza un atteggiamento nuovo nei confronti della domanda di sicurezza: quantunque il numero degli attentati suicidi nelle città israeliane è diminuito in modo significativo dal momento in cui ha avuto inizio la costruzione del muro, e anche se a tal fine è risultato efficace, esso non è stato però l’unica motivazione. La brutale oppressione della Seconda Intifada, la rioccupazione delle città palestinesi, gli arresti di massa, la pressione esercitata sulla popolazione civile e l’operato del Servizio di Sicurezza Generale hanno prodotto tutti il loro effetto – come l’ha avuto la scelta dei palestinesi di intraprendere un percorso di resistenza popolare non armata, di incoraggiare il boicottaggio economico, accademico e culturale e di avviare un lavoro diplomatico a livello internazionale. “Sì, abbiamo una barriera con pattuglie armate, un qualcosa che dà sicurezza, ma porta tranquillità? Certo che no”, dice Arieri. “La prova di ciò è che gli aspiranti terroristi non vengono catturati nei dintorni del muro come era usuale a Gaza prima che si cominciasse a sparare contro qualsiasi cosa vi si avvicinasse costì. Se nessuno viene catturato – vuol dire che non è proprio il muro ciò che blocca le persone”. 
La domanda sbagliata 
Il comandante della Brigata Paracadutisti dell’IDF, colonnello Amir Baram, ha dichiarato di recente ad Haaretz che “Prima della barriera non c’era una difesa efficiente. I Servizi di Sicurezza Generale (GSS) avrebbero potuto mettere in guardia che un attentatore suicida era per via, e sapevo che non c’era molt’altro da fare se non disporre soldati sulla strada e sperare per il meglio”. Eppure anche questo comandante sa che la barriera a lungo termine non può essere una soluzione. Una recinzione può essere tagliata, un muro scavalcato e, naturalmente, i missili sono in grado di volare al di sopra di qualsiasi cosa. Come ha scritto recentemente Ilana Hammerman in un editoriale, “Non è stata inventata alcuna situazione storica in cui un’asimmetria di questo tipo (tra occupante e occupato) avrebbe garantito una vita fatta di tranquillità e sicurezza.” Queste parole erano riecheggiate nella sinistra profezia di Sheerin Al Araj , già riportata nella serie degli articoli, in cui lei ha detto: “Potranno occorrere 10 o 15 anni, ma le cose cambieranno, e quando si verificherà Israele, con ogni probabilità, non avrà solo a che fare con i palestinesi, ma con l’intero mondo arabo. Spero davvero che gli israeliani capiscano questo ora e trovino una soluzione che non ci porterà a ucciderci a vicenda.”

                 “Un muro può essere sempre scavalcato.” Il muro ad al-Walajah, vicino a Gerusalemme (foto Oren Ziv) 
La maggior parte dei paesi del mondo, la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), la leadership palestinese e la maggior parte degli attivisti che lottano contro il muro nei loro villaggi e città (a parte i sostenitori della soluzione dello stato unico) sarebbero d’accordo sulla costruzione da parte di Israele di un muro di sicurezza lungo il confine riconosciuto, la Linea Verde. Eppure, finché l’85% di esso è realizzato al di là della stessa in territorio palestinese, finche non appare evidente agli israeliani, finché danneggia agricoltori e lavoratori per il percorso che fa e fintanto che continua l’occupazione – nessuna soluzione e nessuna barriera può offrire veramente sicurezza agli israeliani. 
La questione, dunque, non è se un muro, un qualsiasi muro, offre o meno una sicurezza (e lo fa, probabilmente, in una certa misura) – ma piuttosto se questa barriera specifica, con questo tracciato specifico è in grado di offrire una sicurezza vera e duratura più delle altre alternative esistenti. La risposta è quasi certamente: No.

                Può il muro garantire la sicurezza? Un muro trasformato in barriera di recinzione: (foto di Oren Ziv) 
( Come già detto nei capitoli precedenti, nonostante le mie ripetute richieste, il Ministero della Difesa si è rifiutato di concedermi un intervista con un funzionario per quanto riguarda la progettazione o costruzione del muro per questa serie). 
(tradotto da mariano mingarelli)


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