Amira Hass :Gli Stati Uniti: l’indagine israeliana per la morte di Rachel Corrie non è stata ‘credibile’


Gli Stati Uniti: l’indagine israeliana per la morte di Rachel Corrie  non è stata ‘credibile’
 Di Amira Hass
24 agosto 2012
 L’indagine di Israele per la morte dell’attivista americana Rachel Corrie non è stata soddisfacente e no è stata così approfondita, credibile o trasparente, come avrebbe dovuto essere, ha detto questa settimana, l’ambasciatore statunitense a Israele, Dan Shapiro, alla famiglia Corrie.
I famigliari della defunta – i genitori Craig e Cindy e la sorella Sarah -sono in Israele in attesa del verdetto della causa civile che hanno intentato  due anni fa  contro lo  Stato di Israele per la morte della loro figlia. La sentenza della Corte Distrettuale di Haifa è attesa per martedì.
La posizione del governo statunitense non è nuova per i Corrie, ma il loro avvocato ha detto che sentirla soltanto pochi giorni prima del verdetto è stato  “importante e incoraggiante” perché indica alla famiglia Corrie che il governo degli Stati Uniti continuerà a richiedere un resoconto completo da parte di Israele sull’uccisione della loro figlia, senza tenere conto di che cosa decreti il giudice Oded Gershon.
Nel 2002 Rachel Corrie  si è unita a un gruppo di attivisti del Movimento Internazionale di Solidarietà che avevano vissuto tra i palestinesi in Cisgiordania e a Gaza, in zone che erano soggette alle incursioni e agli attacchi delle forze della Difesa israeliana. (Israeli Defense Forces -IDF).
A Rafah, dove Rachel Corrie ha trascorso le ultime settimane della sua vita, gli attivisti volevano dimostrare contro la distruzione sistematica delle case palestinesi in quelle che le IDF chiamavano scopi operativi.
Il pomeriggio del 16 marzo, 2003, una ruspa di marca Caterpillar ha schiacciato la Corrie uccidendola, mentre insieme ai  suoi amici era in piedi davanti alla ruspa per impedire ciò che essi pensavano fosse la demolizione pianificata delle due case occupate.
Le IDF hanno sostenuto che la morte della Corrie  era  stato un incidente, e che il guidatore della ruspa non l’aveva vista affatto.
Nel 2005, dopo che il procuratore militare ha chiuso la pratica, la famiglia ha intentato una causa civile  contro il governo di Israele accusandolo di essere responsabile della morte della Corrie e di non aver condotto un’indagine completa e credibile. Lo stato ha risposto che il guidatore della ruspa non aveva affatto visto la Corrie, che lei non si sarebbe dovuta trovare in una zona di combattimenti e che l’indagine della Polizia Militare non aveva riscontrato alcuna violazione della legge.
Nel maggio 2011, quando Shapiro è stato interrogato dal comitato del senato statunitense per le relazioni estere, prima della sua nomina ad ambasciatore di Israele, ha ripetuto la posizione dell’amministrazione riguardo all’indagine di Israele.
Il senatore John Kerry ha chiesto a Shapiro quali passi avrebbe fatto l’ambasciata, sotto la sua amministrazione  che dovrebbero essere conformi alle osservazioni del portavoce del Dipartimento di stato P.J: Crowley. Il 30 giugno 2010, Crowley  aveva detto: “Continuiamo a evidenziare al governo di Israele ai suoi livelli più alti, di continuare un’indagine, trasparente e credibile sulle circostanze riguardanti la morte di Rachel Corrie.”

Shapiro ha replicato: “Per sette anni abbiamo fatto pressioni al governo di Israele ai livelli più alti perché conducessero un’indagine approfondita, trasparente e credibile sulle circostanze della sua morte. Il governo di Israele ha risposto che considera chiuso questo caso e che non ha in programma di indagare di nuovo sull’incidente.”
Shapiro ha poi osservato che il caso era stato portato in tribunale nel marzo 2010 e ha detto: “Speriamo che questa sede processuale  finalmente fornirà [alla famiglia Corrie] le risposte che cercano.  Continueremo a lavorare con la famiglia Corrie e ad assisterla come è giusto che sia.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
wwww.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommmunications.org/u-s-israeli-probe-into-rachel-corries-death-wasn-t-credible-by-amira-hass
Originale: Haaretz.com
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2012  ZNET Italy – Licenza Creative Commons – CC  BY-NC-SA  3.0
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VENERDÌ 6 MAGGIO 2011

Amira Hass : giustizia per Rachel Corrie


Due statunitensi arrivano a Ramallah dopo aver passato un po’ di tempo ad Haifa. Qui si gustano una cena in terrazza, a casa di amici palestinesi. Una brezza rinfrescante si fa strada tra le colline.I visitatori sono Cindy e Craig Corrie, i genitori di Rachel, un’attivista dell’International Solidarity Movement che il 16 marzo 2003 si trovava a Rafah, nella Striscia di Gaza. Mentre protestava contro la demolizione di alcune case, fu schiacciata da un bulldozer dell’esercito israeliano.Nel marzo del 2005 i genitori di Rachel hanno fatto causa allo stato d’Israele. Avevano capito che non ci sarebbe stata un’inchiesta seria sull’episodio. Nel marzo del 2010 sono cominciate le udienze. Due avvocati – palestinesi con cittadinanza israeliana – hanno accettato di lavorare gratis. Alcuni simpatizzanti della causa hanno messo a disposizione dei Corrie un appartamento ad Haifa.I mezzi d’informazione internazionali si sono interessati al processo, mentre quelli israeliani lo hanno ignorato. Nell’ottobre scorso è stato chiamato a testimoniare l’autista del bulldozer, protetto da uno schermo. Ha ammesso che sapeva che le disposizioni erano di lavorare a una distanza minima di dieci metri dalle persone, ma gli era stato ordinato di continuare.Quando ha testimoniato Craig, il tribunale ha chiamato un interprete. Ma davanti alla parola “occupazione” si è confuso e ha usato il termine sbagliato. Un’attivista israeliana l’ha interrotto: “Occupazione si dice kibbush”.
Traduzione di Andrea Sparacino.Internazionale,  numero 896, 6 maggio 2011
allegati 
3  RACHEL» DI SIMONE BITTON. Leggi tutto...
4 Rachel Corrie, le verita' nascoste  Il processo in corso in Israele sulla morte dell'attivista americana Rachel Corrie, iniziato il 13 marzo scorso, ha fatto emergere nuovi elementi relativi alle indagini condotte all'epoca del fatto. Documenti militari dimostrerebbero infatti un tentativo di insabbiamento da parte del generale Donor Almog, nel 2003 comandante delle forze israeliane del Sud. The Independent ha avuto accesso diretto ad un resoconto in cui si legge che Almog avrebbe interrotto la deposizionedel conducente del bulldozer D-9 che provocò la morte dell'attivista. L'investigatore della polizia militare nel suo rapporto scrisse infatti che "alle 18:12 il colonnello riservista Baruch Kirhatu entrò nella stanza e informò il testimone [Edward Valermov] che non avrebbe dovuto comunicare niente e che questo ordine arrivava dal comandante generale del Sud [Donor Almog ]".L'avvocato della famiglia Corrie, Hussein Abu Hussein, ha commentato la notizia sostenendo che l'intervento di Almog avrebbe bloccato una testimonianza chiave, indispensabile per capire e accertare cosa sia realmente successo quel giorno.Chi era Rachel? Rachel Corrie era una studentessa statunitense di 23 anni, attivista dell'International Solidarity Movement(Ism), morta il 16 marzo 2003 nella Striscia di Gaza. Si trovava a Rafah da due mesi quando, durante un'azione non violenta per impedire la demolizione di una casa palestinese, rimase brutalmente uccisa, vittima di un bulldozer davanti al quale si era sdraiata. Da quel giorno Rachel Corrie è diventata un simbolo. Le e-mail che aveva inviato alla famiglia, pubblicate prima da The Guardian e poi tradotte in molte lingue, hanno permesso al mondo di conoscere i pensieri e le opinioni di questa giovane attivista. Le lettere, poi diventate un spettacolo teatrale, testimoniano il suo sincero sgomento di fronte alla sofferenza, ma anche alla forza, delle famiglie palestinesi che incontrava. Una determinazione fuori dal comune, dimostrata con il suo attivismo non violento fino alla fine, sempre divisa tra la rabbia per la situazione di cui era testimone e un senso di colpa per il privilegio di essere statunitense, che così esprimeva scrivendo ai genitori il 7 febbraio 2003: "nessuna lettura, conferenza, documentario o passaparola avrebbe potuto prepararmi alla realtà della situazione che ho trovato qui. Non si può immaginare a meno di vederlo, e anche allora si è sempre più consapevoli che l'esperienza stessa non corrisponda affatto alla realtà".Il processo. Dopo la morte dell'attivista, l'esercito israeliano ha accusato Rachel Corrie e l'Ism di comportamento "illegale, irresponsabile e pericoloso", rifiutando di assumersi qualsiasi responsabilità per quanto accaduto. Tre giorni dopo la morte di Rachel, il governo israeliano assicurò l'allora presidente Usa George W. Bush che avrebbe condotto indagini "trasparenti" per accertare la dinamica dei fatti e attribuire le dovute responsabilità. Oggi invece, a distanza di sette anni, emergono nuove ombre.Edward Valermov, all'epoca comandante riservista, era nel bulldozer insieme al conducente. Il suo compito, come stava egli stesso chiarendo prima di essere interrotto, era quello di "guidare. Il conducente non poteva farlo da solo in quanto la sua visione di campo non era larga". Durante la sua testimonianza, Valermov disse agli investigatori militari di non aver visto Rachel Corrie: "Fu solo quando spostammo indietro il D-9 che la vidi. La donna giaceva dove la macchina non era arrivata". A contestare questa dichiarazione, sono arrivate le parole di una ex volontaria dell'Ism, Alice Coy, che si trovava vicino all'attivista quando rimase uccisa. Secondo la Coy infatti "il conducente del bulldozer poteva vedere Rachel mentre spingeva la terra sopra il suo corpo". L'avvocato della famiglia Corrie ha detto che le parole non dette di Velermov avrebbero potuto essere fondamentali per capire se le sue affermazioni sul non aver visto Rachel potessero essere ragionevoli. L'avvocato ha inoltre aggiunto che la famiglia della vittima ritiene "lo Stato responsabile per la morte di Rachel. Sosteniamo che le indagini non siano state professionali". Un altro documento militare, datato 18 marzo 2003 ed emerso soltanto durante il processo, documenterebbe inoltre un secondo tentativo di ostacolo alle indagini compiuto sempre dal generale Almog. Un investigatore della polizia militare si dovette infatti rivolgere ad un giudice per chiedere il permesso di condurre l'autopsia sul corpo dell'attivista. Nel documento si legge: "Siamoarrivati solo oggi [due giorni dopo] perché c'era una questione tra il generale del comando del sud e il procuratore militare circa l'apertura di un'indagine e sotto quali circostanze". Inoltre, è stato accertato che l'autopsia fu condotta senza la presenza di un diplomatico statunitense, come invece aveva ordinato la sentenza del giudice. di Laura Aletti Alcune testimonianze acquisite durante le udienze farebbero ...



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