Generazione checkpoint di Muin Masri
Generazione checkpoint
Muinmasri.ithttp://www.muinmasri.it/pep_generazione_checkpoint.aspGenerazione checkpoint
di Muin Masri
Quanta sofferenza e umiliazione ci sono nel varcare la linea della frontiera immaginaria? Fu Charlie il più famoso della storia. I checkpoint sono i “non luoghi” per eccellenza, di pessima architettura e traspirano di desolazione e apatia. Non delineano una frontiera, ma tracciano punti nevrotici all’interno della stessa città. Non servono per controllare documenti, ma per rendere impossibile la vita.
Oramai da noi in Palestina ci sono più
checkpoint di qualunque altro posto sulla terra e con il tempo sono
divenuti una specie di cartina al tornasole che misura il tempo e la
distanza. Quanti checkpoint occorrono per arrivare a destinazione?
Quanti checkpoint dista una città da un’altra? Anche il concetto
d’attesa è radicalmente mutato. Una persona ferma ad un checkpoint è un
essere sospeso, la sua giornata può andare avanti o tornare indietro,
tutto dipende da tanti fattori senza nessuna logica tra di loro, sono
variabili come una giornata d’autunno.
I checkpoint hanno un’aria minacciosa
nonostante le piccole dimensioni più che sufficienti, però, per
contenere soldati, mitra, fari, sacchetti di sabbia e filo spinato.
Praticamente è un allungamento della prima linea e tutta la gente in
attesa là fuori è vista come nemici da respingere il più lontano
possibile. I checkpoint non hanno niente di umano, sguardi, gesti e
parole vengono scambiati con una cattiveria sordomuta e un odio
animalesco reciproco tra chi deve perquisire e chi deve essere
perquisito. Se non fosse per il sole che spacca le pietre, il vento e la
pioggia si potrebbe benissimo pensare di essere all’inferno.
Non si può nemmeno dire che Dio è
assente, ogni tanto accadano dei miracoli; ci sono donne palestinesi che
hanno partorito ai checkpoint e ci sono donne israeliane straordinarie
che hanno fondato un movimento (“Machsom watch”) per presidiare i
checkpoint monitorando il comportamento dei soldati e cercando di
aiutare la popolazione palestinese a passare senza troppe umiliazioni.
I checkpoint non rispettano nessuna
regola scritta e se ne fregano della Convenzione di Ginevra. Per questo
chi è costretto a compiere un viaggio è consapevole dei rischi che
corre, infatti non è consigliato a vecchi, donne, bambini e deboli di
cuore; se bisogna proprio andare a trovare un parente, all’università, a
lavorare o a pregare in un’altra città è meglio armarsi di pazienza e
portare con sé cibo e medicine, l’attesa può durare ore e non sempre va a
buon fine. Tutto dipende dalle circostanze, quelle che determinano la
vittima e il carnefice. Capita di trovare il soldato “quasi” umano e
tutto si risolve in pochi attimi, ma sei consapevole di essere stato
fortunato perché spesso non è così; sovente l’attesa è lunga e la
perquisizione è disumana: tutto viene ribaltato compreso il corpo stesso
dello sfortunato viaggiatore e non certo per cercare chissà cosa, ma
per pura violenza psicologica.
Molti cercano di aggirare i checkpoint,
ma in Palestina è diventato quasi impossibile, sono ovunque come una
ragnatela: alcuni sono fissi e molti altri nascono come i funghi dopo la
pioggia. La popolazione, stanca e rassegnata, oramai viaggia solo in
caso di necessità primarie, mai per piacere.
L’occupante israeliano in questi
quarant’anni ha cambiato spesso politica e metodi e a noi non rimane che
adeguarci a suoi gusti e capricci: da occupante militare permanente è
passato ad una libertà di movimento limitata così ogni generazione ha
preso il suo nome: generazione profughi, generazione coprifuoco,
generazione intifada, generazione kamikaze e generazione checkpoint.
Ogni generazione porta dentro di sé
un’invisibile ferita sottile e profonda diritta al cuore. Pochi gli
indenni, pochi coloro che riescono ancora a riflettere ed amare, il
resto è pieno di rabbia e odio. Nessun essere umano vorrebbe essere
umiliato così tanto e a lungo.
Molti inviati e giornalisti occidentali
hanno documentato e fotografato i nostri chechpoint, ma è impossibile
per chiunque comprendere cosa proviamo dentro, impossibile fotografare
la barriera di odio e di sospetto che separa palestinesi e israeliani.
Vivendo qui in questo incantevole
occidente è impossibile non rimanere affascinati. Non per la vostra
democrazia e la libertà di espressione, sono incompiuti senza etica. Non
per le vostre tavole imbandite, un po’ di fame fa bene all’anima. Non
avete niente di cui noi dannati non possiamo fare a meno. Ad esclusione
della libertà fisica e mentale di muoversi, di viaggiare chilometri e
chilometri senza dover essere fermati e perquisiti in continuazione,
poter passare da una città all’altra così, come se niente fosse, senza
frontiere. Poter uscire e ritornare a casa come e quando vi pare.
È la massima conquista che un essere
umano possa sognare. E voi ce l’avete la libertà di movimento che fa la
differenza tra l’uomo e il non uomo. A noi non rimane che moderare la
velocità e liberare i cattivi pensieri.
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