Israele: elezioni, un mix di vecchio e di nuovo che non cambia nulla



Le opposizioni, condannate alla sconfitta dai sondaggi impietosi, litigano e si spaccano. Netanyahu e l'ultradestra procedono sul velluto.
di Roberto Prinzi

Il ritorno di Livni: Ha-Tnu'a ("Il movimento")

Sconfitta alle primarie per la leadership di Kadima il Marzo scorso, Tzipi Livni si era sentita profondamente tradita dalle feroci accuse che le erano piovute addosso da parte dei suoi colleghi di partito. La direzione di Kadima, ereditata dopo l'uscita di scena dell'ex premier Olmert per motivi giudiziari, era stata giudicata fallimentare, debole e incerta soprattutto su un tema caro agli israeliani: la sicurezza.Ferita nell'orgoglio aveva perciò scelto di ritirarsi dalla vita pubblica chiamandosi fuori dal dibattito politico. Ciononostante la sua presenza era continuata ad aleggiare nei corridoi della Knesset e nelle sedi dei partiti di centro. Soprattutto negli ultimi mesi, durante i quali il suo ritorno era apparso una possibilità sempre più concreta. Praticabile però, solo a condizione che Olmert, da qualche mese "riabilitato" dalle accuse di corruzione, non si fosse candidato. Le avance dei laburisti di Yachimovitch e dello Yesh 'Atid di Lapid erano state cordialmente rifiutate: se ritorno doveva essere, sarebbe stato solo da assoluta protagonista. Ottenuto il via libera da Olmert, l'ex Ministro degli Esteri ha sciolto gli ultimi indugi annunciando la nascita di un nuovo partito Ha-Tnu'a (in ebraico "Il movimento") la scorsa settimana. «Spero che aumenteremo il numero dei seggi che andranno al blocco [di centro-sinistra n.d] anche se non dovessimo essere il partito più grande» ha dichiarato mercoledì in una sala gremita. Livni ha detto di volere offrire un'alternativa ad un elettorato deluso dalle politiche del governo di destra e ha sostenuto che così, a beneficiarne, potrà essere l'intero centro sinistra.

Le reazioni del "blocco di centro" e del Likud

Ma a giudicare dalle prime reazioni dei suoi possibili alleati e analizzando i sondaggi, la sua scelta pare rivelarsi un boomerang che causerà l'effetto contrario: dividere e frammentare ancora di più le forze "moderate" rafforzando così Netanyahu. Duri, infatti, sono stati i commenti del partito laburista (centro) e di Meretz (sinistra sionista) che all'unisono hanno parlato di un «indebolimento del blocco di centro». «Noi dobbiamo unire i voti ed essere una grande forza di centro che lavori unita per sconfiggere Netanyahu. Potevamo esserlo insieme. Ma invece, con mio grande dispiacere, assistiamo ad una ennesima frammentazione» ha commentato amaramente la leader laburista Shelly Yachimovitch. «La frammentazione indebolisce, sebbene non ci tocchi direttamente, o forse solo in parte, perché resteremo il partito più grande. Fondare un nuovo partito all'interno del Blocco è un grosso errore politico, avrei preferito se non avesse fatto questa scelta». Non meno leggero è stato l'attacco di Meretz: «Il suo ritorno sulla scena politica è una replica di Kadima. Indebolisce i suoi alleati al centro come i laburisti e lo Yesh 'Atid di Lapid. Nelle precedenti elezioni Livni si era presentata come di sinistra, ma la sua era stata un'opposizione debole. Il suo messaggio politico è confuso soprattutto dopo che ha sostenuto l'operazione militare a Gaza». Aspra è stata la reazione del Likud: «Tzipi Livni ha sostenuto il disimpegno [unilaterale da Gaza ordinato dall'allora premier Sharon nell'estate 2005 n.d.] e così ha portato al potere Hamas a Gaza. Ora farà lo stesso portando Hamas e Iran in Giudea e Samaria [Cisgiordania occupata n.d.]». Alcuni analisti politici israeliani hanno espresso alcune perplessità di fronte a questa scelta compiuta a poco più di un mese dalla data elettorale. In effetti perché un politico di primo piano  come lei, che ha diretto un dicastero importante come quello degli Esteri nel precedente governo, dovrebbe accontentarsi di un partito a cui i sondaggi attribuiscono sei o al massimo nove seggi? E soprattutto perché andare a indebolire uno schieramento anti-Netanyahu già molto fragile per le lotte intestine che lo lacerano? Livni non ha ancora presentato una lista completa dei candidati. Tuttavia il passaggio ufficiale di sette politici di Kadima alla nuova formazione potrebbe infliggere un colpo mortale al partito fondato da Sharon nel 2005.

Kadima e 'Atzmaut sopravviveranno?

Sembra difficile credere che un partito, che vantava il maggior numero di seggi a inizio legislatura (28), possa aver avuto un tracollo così clamoroso in pochi anni e che ora stia lottando per sopravvivere. A poco è servito il "cambio" annunciato dal vincitore delle primarie di Marzo Mofaz. Negli ultimi anni il partito è stato dilaniato da rivalità interne (quella tra Livni e Mofaz è nota a tutti ma non è stata l'unica) e molti suoi esponenti (16 su 28) hanno abbandonato le sue file preferendo altri lidi. Un partito senza storia, creato ad immagine e somiglianza del suo leader Sharon, senza alcun chiaro progetto politico, senza risposta alcuna ai temi "caldi" della politica israeliana quali "processo di pace", "sicurezza" e, non ultimo, "giustizia sociale". Così come destinato a scomparire a breve, o, tutt’al più, a restare un piccolissimo e ininfluente partito è 'Atzmaut ("Indipendenza") fondato da Ehud Barak e da altri quattro parlamentari laburisti nel Gennaio 2011. Nato anch'esso senza una precisa identità politica (è di "centro"? E se sì perché ha sostenuto le posizioni massimaliste del Likud negli ultimi anni?) ha legato le sua esistenza e fortuna alla notorietà del suo leader Barak, ex-premier laburista sul finire degli anni novanta nonché attuale Ministro della Difesa. Non dovrà allora stupire se a segnare il suo probabile de profundis potrebbe essere proprio la decisione di Barak, annunciata la scorsa settimana, di ritirarsi a vita privata a fine legislatura. A poco, infatti, servirà il tentativo di alleanza delle ultime ore con il movimento dei Kibbutz per sopperire alla probabile perdita di elettori. Così come ridotte al lumicino sono le speranze di sostituire Barak con l'attuale Ministro dell'Intelligence e dell'Energia atomica Dan Meridor. Quest'ultimo, che non è riuscito ad ottenere un «posto reale» nella lista dalle primarie del Likud, pare stia valutando la possibilità di lasciare la politica e di non presentarsi alle prossime elezioni. Sul possibile scioglimento dei due partiti di recente costituzione, Yossy Sarid su Ha'Haaretz ha osservato lucidamente ieri «Non è un caso che soltanto i "partiti storici" resistano con il passar del tempo. Hanno alti e bassi, hanno più o meno successo, si lamentano per dolori interni, ma ciononostante, sopravvivono perché hanno radici. Invece "i partiti d'atmosfera", contrariamente ai primi, nascono nell'aria e presto si vaporizzano. Non hanno un buon collante che li unisca, né ideologico e né organizzativo. Non hanno una cultura politica comune né un passato da cui attingere. Per cui non hanno neanche un futuro, e il presente, in fondo, è una moda che passa alla prossima stagione».

L'addio di Barak
 Di sicuro a incidere sulla probabile fine di 'Atzmaut sarà l'addio annunciato di Barak. Un politico scaltro e "navigato" l'attuale Ministro della Difesa. Quando fu eletto premier alla fine degli anni novanta aveva destato speranze in una vasta parte dell'elettorato israeliano di centro-sinistra. In lui c'era chi aveva visto l'uomo "forte" e "coraggioso" che avrebbe potuto raggiungere un accordo definitivo con i palestinesi dopo gli anni bui che erano seguiti all'uccisione di Rabin e al fallimentare mandato di Netanyahu. Sogni che però presto si trasformarono in amare delusioni. Le sue prime dichiarazioni, in cui aveva mostrato empatia nei confronti dei palestinesi subito «si sono scontrate con il Barak reale e con le sue azioni» ha commentato amaramente Larry Dafner sulla rivista +972. «Le parole che riflettono la sua vera eredità, le parole d'ordine della sua carriera» continua Dafner «sono "noi non abbiamo un partner" frase detta ritornando da Camp David nel 2000 e, pochi anni dopo, quando affermò che Israele è una "villa nella giungla"». Alcuni analisti politici gli attribuiscono il merito di aver ritirato l'esercito israeliano dal Libano nel 2000. Fu mediaticamente bravo ad addossare ad Arafat tutte le responsabilità del mancato accordo di Camp David. Il leader palestinese fu ritenuto «colpevole» di aver rifiutato «l'offerta generosa» proposta dalla controparte israeliana. Molto più difficile fu, invece, poter giustificare i fallimenti strategici e militari delle Operazioni Piombo Fuso (dicembre 2008-gennaio 2009) e della recente "Colonna di Difesa". Il passaggio di Barak da "promettente" leader laburista a capo di 'Atzamaut (e quindi di conseguenza la sua trasformazione da rivale di Netanyahu a suo alleato di governo) è l'immagine che, meglio di qualunque sofisticata analisi, racconta il fallimento del centro-sinistra israeliano a partire dagli Accordi di Oslo e l'ascesa prorompente della destra xenofoba e razzista ben rappresentata da Israel Beitenu. Per un Barak che esce una Livni dunque che entra. Ma il ritiro a vita privata del primo sarà davvero definitivo? «I politici israeliani lasciano la politica e subito ritornano. C'è chi lo fa dopo un anno (Barak nel 2001), due giorni (Mofaz nel 2008), una settimana (Cahalon, 2012) e chi ha aspettato due anni, tre o un intero mandato. É difficile trovare un altro stato in cui il concetto di ritiro sia così sfuggente e ingannevole al punto tale che, a volte, sembra quasi che chi se n'è andato è sempre tra noi e invece chi è qui se n'è andato da tempo» ha commentato ironicamente Yossi Warter su Ha'Aretz.

Primarie Laburisti

Ma la scorsa settimana si è caratterizzata anche per le primarie dei laburisti e del Likud. La lista dei candidati del Labour per le prossime elezioni di Gennaio è stata ufficializzata venerdì. Presenta un mix di "vecchi" e "nuovi", di uomini e donne (una percentuale alta di queste ultime era stata fissata per regolamento poco più di un mese fa), di politici "di sinistra" e di moderati. Non mancano poi i personaggi famosi e i giornalisti (quest'ultimi, numerosissimi, sono presenti in quasi ogni partito). «Noi siamo alla fine di un percorso democratico meraviglioso» ha dichiarato la leader Yachimovitch commentando i risultati delle elezioni interne. «Siamo rimasti l'unico partito in cui avvengono primarie vere, regolari e democratiche, con una percentuale di partecipazione enorme».quando è stata eletta a capo dello storico partito israeliano, l'ex giornalista si è presentata come unica alternativa alla destra, "sorda", a suo dire, alle istanze di "giustizia sociale" espresse fragorosamente dai cittadini israeliani a partire dalla "protesta delle tende" del 2011. Ha parlato di "sicurezza" ma ancora nebulose sono le sue idee relative al "processo di pace" con i palestinesi. La sua intenzione è quella di porsi a capo di un "blocco" di forze "moderate". Tuttavia farebbe bene prima a guardarsi le spalle all'interno del partito. Tra i «posti reali» (cioè chi quasi certamente entrerà alla prossima Knesset) Amir Peretz si è classificato terzo e, forte del risultato ottenuto, ha subito minacciato battaglia qualora il partito dovesse entrare a far parte del prossimo governo Netanyahu. Secondo alcuni analisti israeliani questa ipotesi, difficile già prima delle primarie, risulterebbe prossima allo zero ora. La lista, a loro giudizio, è espressione di una "vera opposizione" laddove quella di Yesh 'Atid del giornalista Lapid appare più conciliante con un eventuale governo di destra.

Primarie Likud

Nelle primarie del Likud di lunedì scorso il dato da sottolineare è l'evidente spostamento dell'asse del partito verso la destra radicale. Risultato prevedibile dopo il patto Netaniahu-Liberman che consentirà a quest'ultimo di ottenere un terzo dei seggi vinti alle prossime elezioni. Benny Begin, Michael Eitan e Dan Meridor insieme ad altri "moderati" si sono classificati lontani dai «posti reali» e molto probabilmente resteranno fuori dal parlamento. Al loro posto subentreranno coloro che maggiormente fanno dell'attacco alla sinistra, alle ONG e soprattutto agli "arabi" la loro filosofia politica. Il posto numero uno del Likud-Beitenu, ad esempio, sarà occupato dall'attuale Ministro dell'Istruzione Gideon Sa'ar colui che promuove le "visite scolastiche" nell'insediamento illegale di Hebron nella Cisgiordania occupata. Lo stesso Ministro che intende aprire un'università nella colonia di Ariel. Al numero cinque c'è Danny Danon uno dei politici più di destra nell'attuale legislatura. Danon aveva invitato ad usare la violenza contro gli "infiltrati" nel presidio di Tel Aviv di qualche mese fa. Quel sit-in di protesta in breve tempo si sarebbe trasformato in un disgustoso pogrom fascista contro gli immigrati del quartiere Ha-Tikva. Al tredicesimo posto si è classificata Miri Regev che ha definito i richiedenti asilo "cancro". E al triste elenco va menzionato Moshe Feiglin, capo della Leadership Ebraica che sostiene il transfert dei palestinesi dal paese. Fiero oppositore degli Accordi di Oslo, celebre anche per un famoso articolo dal titolo poco rassicurante "Io sono un omofobo orgoglioso". I fallimenti del "blocco"

Ma la radicalizzazione della destra e la sua scontata vittoria dovrebbe porre degli interrogativi ai partiti di centro e di centro-sinistra. Partiti pressoché identici tra di loro che parlano di «rinnovamento» e di «cambiamento» cercando di ingraziarsi un elettorato stanco delle «vecchie» politiche. I laburisti, il populistico Yesh 'Atid di Lapid (dalle dichiarazioni spesso contraddittorie) e ora Livni hanno provato (e provano) a sfruttare il malcontento della classe media israeliana, vittima della crisi economica che investe il paese, solidarizzando con la "protesta sociale". Ma la loro "vicinanza" e gli attacchi al "governo del capitale" sono demagogici: quale ricetta economica propongono per risolvere concretamente il dramma di migliaia di famiglie? Formazioni politiche che scelgono di rimanere ambigue sul "processo di pace" (nel migliore dei casi) ma su cui più frequentemente tacciono ("aprirsi" ai palestinesi potrebbe comportare una perdita di elettori. Viceversa, mostrarsi troppo "duri" potrebbe destare in qualcuno il sospetto di imitare la destra di governo). Partiti di centro-destra che provano ad identificarsi con il "centro" solo per finalità elettorali volte ad intercettare elettori moderati impauriti dal recente accordo Likud-Beitenu. Movimenti lacerati da conflitti intestini, messi insieme alla bell'e meglio per fini più personali e di visibilità che per il bene della "res publica". Partiti di "sinistra" solo se uniti: «la lista dei laburisti [uscita dopo le primarie n.d] è una sinistra sociale, quella di Lapid può essere chiamata sinistra civile, e quelle di Livni, quando sarà composta, una sinistra politica» ha osservato Yossy Walker su Ha'aretz. Un "unione" che appare sempre più una remota possibilità se perfino a poche ore dalla consegna delle liste definitive dei partiti (fissata per le 23 di stasera ore italiane) la "Troika" continua a scambiarsi accuse. «Ho proposto un'associazione vera e di unire le liste» ha dichiarato stasera l'ex Ministro degli Esteri nella sede del suo nuovo partito a Tel Aviv. «Ho proposto anche una rotazione. Da Shelly Yachimovitch ho ricevuto tre no: no all'unione delle liste, no all'aggiunta di altre persone e non alla rotazione. Da Yair Lapid, a cui ho proposto solo una unione di liste ho ricevuto un grande no. La proposta di unire i partiti è ancora valida per entrambi, ma che la smettano con queste storie del "Noi glielo abbiamo proposto"».

E sui palestinesi?

Sebbene si definiscano di "centro" o addirittura di "centro-sinistra" e mostrino minime differenze in campo economico, il "blocco" di centro mostra unità e perfetta sintonia con l'estrema destra quando il discorso di sposta verso il processo di pace con i palestinesi e con i paesi arabi. Non a caso Livni, Yachimovitch e Lapid hanno appoggiato incondizionatamente il governo di destra nei giorni di "Colonna di Difesa". Livni si è spinta oltre difendendo a spada tratta Netanyahu e Barak dall'accusa, mossa da alcuni ambienti della sinistra extraparlamentare israeliana, di aver iniziato la guerra per scopi elettorali. «Non è mai possibile prevedere come operazioni i questo tipo potranno terminare» ha motivato. Le uniche voci contrarie all'aggressione sono venute dai partiti "arabi", dalla sinistra radicale (Chadash) e da quella sionista (Meretz). E il "blocco" ha preferito tacere anche nei giorni che hanno preceduto e seguito la votazione della Palestina come stato osservatore alle Nazioni Unite.

«Il partito laburista, Yesh 'Atid e il nuovo Ha-Tnu'a non provano a sfidare Netanyahu sulla decisione palestinese» ha scritto su Ha'Aretz Barak Ravid «non lo attaccano e non rappresentano un'alternativa alla nuova realtà che si creerà dopo la votazione. Yachimovitch, Lapid e Livni si oppongono all'atto di Abu Mazen e in ciò si allineano perfettamente con la posizione di Netanyahu»

Sondaggi

Con queste premesse appare scontata la riconferma della Destra alle elezioni del 22 Gennaio. Stando a un sondaggio pubblicato sul quotidiano Yedioth Aharonot il 30 Dicembre, il blocco di destra dovrebbe ottenere 67 seggi: il Likud-Israel Beitenu diventerebbe il maggior partito del paese con 38 seggi (42 gli attuali), Shas dovrebbe confermarsi tra i 10 e gli 11, Giudaismo della Torah a 5, Casa Ebraica a 10 (ora 7). Un ipotetico centro unificato arriverebbe a 37 seggi: 10 seggi andrebbero a Yesh 'Atid di Lapid, 7 con Livni (ma essendo una formazione appena nata questo dato è facilmente suscettibile di cambiamenti), crescita dei laburisti dagli 8 attuali a 20. La sopravvivenza di Kadima e 'Atzmaut non è certa. Meretz dovrebbe passare da 3 a 5 seggi. Accanto a questi due "blocchi" vi è Chadash (partito misto di palestinesi d'Israele ed israeliani con al suo interno una componente comunista) con 4 seggi e altri due partiti "arabi": i nazionalisti socialisti arabi del Balad (3 seggi) e Ra'am- Ta'al (4) espressione del movimento islamico in Israele. L'unica speranza per il centro sarà capire se l'Ha-Tnu'a di Livni riuscirà a conquistare, nel breve tempo a disposizione, gli elettori del Likud delusi dalla radicalizzazione interna. La presenza di alcuni ex parlamentari "moderati" del partito di Netanyahu potrebbe aiutarla. Ma sovvertire ciò che i sondaggi ripetono da tre anni appare proibitivo e impensabile allo stato attuale. Sarebbe pertanto più logico cambiare domanda: non chi vincerà ma di quanto il binomio Bibi-Liberman lo farà. Un dato però è certo: a perdere saranno nuovamente i palestinesi. Nena News



                                        

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