Perché l'Egitto allaga i tunnel verso Gaza

di Emma Mancini

Betlemme, 20 febbraio 2013, Nena News - Dopo il successo internazionale riscosso a novembre del 2012 per aver fatto da mediatore nella tregua tra Hamas e Israele, il presidente egiziano Mohammed Morsi ha presto dimenticato la questione palestinese. Forse troppo preso dai gravi problemi interni, il governo dei Fratelli Musulmani sta continuando a mostrare a Gaza lo stesso volto del regime di Mubarak.

C'era chi sperava che, con la caduta del dittatore egiziano, Il Cairo sarebbe tornato a svolgere il suo ruolo di leader in Medio Oriente, mostrando rinnovata attenzione alla causa palestinese. Così non è stato. Prova ne è, ultima in ordine di tempo, la decisione di allagare i tunnel di collegamento tra il Sinai egiziano e la Striscia di Gaza, unico passaggio per beni di prima necessità, cibo, carburante e materiali di costruzione dentro Gaza.

Stretti in un embargo lungo ormai quasi sette anni, impossibilitati a importare e esportare determinati beni, la popolazione di Gaza cerca di adattarsi: sarebbero 225 i tunnel tra Rafah e Gaza, dove lavorano in condizioni di estremo pericolo centinaia di palestinesi. Pochi giorni fa il governo egiziano ha deciso di agire con risolutezza contro quelli che vengono definiti contrabbandieri e criminali: aperte le pompe dell'acqua, decine di tunnel sono stati allagati.

Secondo quanto dichiarato da Mohamed Abdel Fadil Shousha, ex governatore del Nord del Sinai, l'obiettivo è lasciare l'acqua nei tunnel il tempo necessario a farli collassare. Altre fonti ritengono l'operazione inutile: pochi giorni e i tunnel saranno di nuovo accessibili. Certo è che l'obiettivo del Cairo appare più una punizione verso le comunità egiziane del Sinai che una crociata contro l'illegalità e il contrabbando di armi.

Dai traffici nei tunnel verso Gaza le comunità beduine del Sinai traggono sicuramente buoni profitti, che fanno storcere il naso al governo centrale: già sotto Mubarak, il Sinai era costante target delle politiche di sicurezza del Cairo (repressione politica, violenza da parte della polizia, politiche economiche oppressive), senza che si giungesse mai ad una vera riconciliazione. E oggi il nuovo governo utilizza l'arma della sicurezza per colpire le comunità beduine.

"Invece di distruggere i tunnel dovrebbero creare altre opportunità di lavoro nell'area. I loro tentativi falliscono perché approcciano la questione del Sinai dal punto di vista militare invece che da quello dello sviluppo. Vorrebbero trasformarci in un'area urbana, distruggendo il nostro stile di vita tradizionale", spiega Ashraf Ayoub, attivista del villaggio di Arish, al confine con Gaza.

Una punizione le cui conseguenze ricadono però interamente sulla popolazione sotto assedio di Gaza: Rafah è l'unico accesso alla Striscia, i tunnel gli unici strumenti di passaggio di beni, in una prigione a cielo aperto in perenne crisi umanitaria, aggravata negli ultimi mesi da una settimana di bombardamenti da parte israeliana.

Immediata la reazione di Hamas che ha condannato la decisione del governo egiziano, accusandolo di interrompere così il flusso di cibo e medicinali e di colpire i tunnel, unico mezzo di sopravivenza contro un assedio brutale. Più volte sia Egitto che Israele hanno tentato di porre fine al traffico sotterraneo, senza però riuscire nell'impresa: l'Egitto non intende bombardare i tunnel perché troppo vicini a abitazioni civili; l'aviazione israeliana si è fatta meno scrupoli e ne ha distrutti alcuni. Ma gazawi e beduini li hanno sempre ricostruiti.

La sola soluzione sarebbe aprire ufficialmente i confini tra Gaza e l'Egitto e porre fine all'embargo e all'assedio che stanno strangolando la Striscia da quasi sette anni. Nena News

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