Akiva Eldar : ai pazienti palestinesi negate le cure adeguate da Israele



 SINTESI PERSONALE
Akiva Eldar

Il report sulla morte di Abu Maysara Hamdieh era incentrato  sulla preoccupazione che la notizia di un'altra morte palestinese in carcere  avrebbe   innescato  un'ondata di violente manifestazioni nei territori. Pochi si sono  chiesti perché ci sono voluti sei mesi per diagnosticare  il cancro in stadio avanzato  e perché Abu è stato ricoverato solo alla fine del mese di marzo, tre giorni prima della sua morte.  Si può facilmente immaginare l'entità della reazione del pubblico in Israele  se  un  soldato israeliano morisse  in prigione . Abbiamo tutti assistito alla campagna pubblica, durante la visita  del  presidente Barack Obama , per il rilascio della  spia ebrea Jonathan Pollard, per non parlare del commerciante israeliano di droga rapito dagli  Hezbollah e liberato, diversi anni fa, in cambio di centinaia di prigionieri palestinesi.E 'più difficile, ancora, decifrare il sistema che permette a  una società che vive  una  preoccupazione collettiva per i suoi figli e le sue  figlie di agire, allo stesso tempo, con tanta insensibilità e durezza di cuore quando si tratta di sensibilità simili vissute  dai  palestinesi : oltre 4.700 dei  loro figli e figlie sono detenuti da Israele come “security prisoners.”.Mentre la questione dei rilasci dei  prigionieri e le condizioni di detenzione  emergono di tanto in tanto , ma solo a seguito di uno sciopero della fame o  per il  "Prigioniero Day" nei territori - il destino dei palestinesi malati, le cui vite dipendono da cure mediche speciali, è relegato ai margini, se non ignorato del tutto. La settimana scorsa il mio collega Mohammed Suliman ha descritto  su questo sito l'uso manipolativo da parte delle autorità israeliane  dei permessi concessi ai residenti di Gaza malati eai  loro accompagnatori in cerca di cure specialistiche in Israele e a Gerusalemme est.Solo se  loro  o i loro accompagnatori diventano collaboratori ottengono  il  permesso  e addirittura sono arrestati  se  rifiutano, ciò  costituisce il punto finale scandaloso e crudele  di una serie di ostacoli posti dalle autorità . '' Medici per i diritti umani'', una ONG israeliana, riporta che l'anno scorso si è notato  un certo miglioramento nel numero di permessi concessi ai cittadini di Gaza, ma  al 20% di loro è stato  negato questo  .Ma Israele non è sola nella sua insensibilità. Gli attivisti di "The Road to Recovery", una organizzazione che si occupa  dei bambini palestinesi da e per  gli ospedali in Israele e Gerusalemme Est, raccontano il  comportamento scandaloso  dell'Autorità palestinese a Ramallah e del governo di Hamas a Gaza, verso i malati e le loro famiglie . I genitori che non hanno la fortuna di avere un cugino o un conoscente nei posti giusti, sono costretti a pagare una tangente per ogni permesso. Di tanto in tanto una di quelle famiglie viene informata  che si deve interrompere il trattamento per un bambino con il cancro in un ospedale israeliano, dotato delle migliori attrezzature mediche, ed il bambino  deve  continuare il trattamento in un ospedale di Gerusalemme Est o al Cairo. Perché? "Perché è più conveniente lì."L'Autorità palestinese, che destina un quarto del suo budget per pagare gli stipendi dei suoi apparati di sicurezza, esercita una rigorosa parsimonia di bilancio per la fornitura di farmaci e di  ambulanze per i malati. Un ex coordinatore dell'ufficio permessi  dell'Autorità a Gaza si lamentò della insensibilità del Ministero della Salute palestinese a Ramallah verso residenti di Gaza ammalati. "Questa situazione è nota a tutti", uno dei volontari dell'organizzazione ha detto ad Al-Monitor ", ma nessuno si preoccupa, tranne i malati e  le loro famiglie che  vogliono raggiungere  un ospedale israeliano e hanno paura di parlare troppo. "L'enorme divario tra il livello di medicina israeliana e quello di  Gaza non è venuto fuori dal nulla. In larga misura è il risultato di decenni di oppressione e di abbandono delle infrastrutture civili, in generale e del sistema sanitario, in particolare, sotto regime di occupazione israeliana. Nell'aprile del 1994, il primo ministro palestinese della salute, il Dott. Riad Zanoun, ha descritto la condizione del sistema che gli  era stato consegnato: "Quando Israele conquistò la striscia di Gaza nel 1967, c'erano  360.000 i palestinesi e cinque ospedali con 800 posti letto. Oggi, 800.000 persone vivono a Gaza e abbiamo ancora cinque ospedali con 800 posti letto. "Sotto la dirigenza  dell'Autorità palestinese, il numero di posti letto è aumentato del 30%, a 1,3 posti letto per ogni 1.000 residenti. (La media letto nei paesi OCSE è pari a 3,6 posti letto per 1.000 persone, mentre in Israele è 2 posti letto per ogni 1.000).Da allora, la popolazione di Gaza è quasi raddoppiata, ma la condizione relativa dei servizi di salute è peggiorata ulteriormente. La delegazione dei  Medici'' per i diritti umani'' (PHR) che ha visitato la Striscia di Gaza a metà marzo  ha  riferito che il blocco prolungato della Striscia aveva provocato una carenza   di specialisti  e di programmi per aggiornare medici nei vari settori della medicina. Molti pazienti non ricevono un adeguato consulto medico , a loro ,per difficoltà di rifornimento,   sono spesso somministrati medicinali  scaduti. A causa delle difficoltà finanziarie e la mancanza di conoscenza circa le alternative, i medici continuano a farcire i pazienti con i farmaci che non contribuiscono al loro recupero.Purtroppo, la pratica di fornire ai pazienti  farmaci che non migliorano la loro condizione è tipica dei leader di entrambe le parti lese - così come  utilizzare  i farmaci scaduti . Come sempre, i malati, gli indifesi, i carcerati, gli stranieri , sono i primi a soffrire. Fortunatamente, diverse centinaia di persone rette in Israele sono stati toccate  dalla sofferenza del prossimo e non hanno assimilato la  durezza di cuore delle autorità. Così, lo scorso anno, i volontari di "The Road to Recovery" hanno effettuate almeno 2.000 trasporti  di bambini palestinesi negli  ospedali israeliani. Proprio lo scorso Sabato [6 aprile], un gruppo di medici di PHR ha visitato il campo profughi di Jenin e curato più di 320 residenti.A parte l'importante contributo pratico, l'incontro dei palestinesi malati e le loro famiglie con i volontari israeliani fornisce un vantaggio collaterale: la costruzione di relazioni di fiducia tra le persone di due nazioni apparentemente divise  da una cortina di ferro. I dirigenti e gli alti funzionari a Gerusalemme, Ramallah e Gaza farebbero bene a imparare come trattare la vita umana con dignità e libertà. La  detenzione di migliaia di  prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane ,insieme alla negligenza medica nel curare i malati,  equivale a tenere un fiammifero acceso  in  un barile di polvere da sparo.





The reporting on the death of Maysara Abu Hamdieh focused on concern that news of another Palestinian dying in prison would spark a wave of violent demonstrations in the territories. Few wondered why it took six months from the time Abu Hamdieh complained of sharp pain in his throat in August 2012 until he was diagnosed this past February with advanced-stage cancer. Fewer, still, wondered why he was only hospitalized at the end of March, three days before his death.

About This Article

Summary :
Callousness on the part of Jerusalem, Gaza and Ramallah alike prevents Palestinians from getting life-saving treatment at Israeli hospitals, writes Akiva Eldar.
Original Title:
The Sick Side of the Conflict
Author: Akiva Eldar
Translated by: Ruti Sinai
One can easily imagine the magnitude of public reaction in Israel to a report of an Israeli soldier dying in captivity, heaven forbid. We all witnessed the public campaign surrounding the President Barack Obama visit for the release of Jewish spy Jonathan Pollard, not to mention the Israeli drug dealer who was kidnapped by Hezbollah and freed, several years ago, in exchange for hundreds of Palestinian prisoners.
It’s harder, still, to decipher the system that enables a society blessed with collective concern for its sons and daughters to act, at the same time, with such callousness and hard-heartedness when it comes to similar sensitivities displayed by the Palestinians over 4,700 of their sons and daughters held by Israel as “security prisoners.”
While the issue of prisoner releases and conditions of incarceration occasionally arises — but only following a hunger strike or the marking of “Prisoner Day” in the territories — the fate of “regular” sick Palestinians, whose lives depend on special medical care, is relegated to the sidelines, if at all. Last week my colleague Mohammed Suliman described on this site the manipulative use made by Israeli defense authorities of the permits granted to sick Gaza residents and their escorts seeking treatment in Israel and East Jerusalem.
Stipulating that they or their escorts become collaborators in order to get an exit permit and even arresting those who refuse, constitutes the crudest, most outrageous end point in a series of obstacles placed by authorities in the way of the helpless. ''Physicians for Human Rights,'' an Israeli NGO, reports that the last year saw a certain improvement in the number of entry permits granted to Gazans, but even today entry is refused to some 20% of those needing treatment or to their escorts.
But Israel is not alone in its callousness. Activists of “The Road to Recovery,” an organization that drives Palestinian children to and from hospitals in Israel and East Jerusalem, recount scandalous behavior on the part of the Palestinian Authority in Ramallah and the Hamas government in Gaza toward sick people and their families who require help. Parents who are not fortunate enough to have a cousin or acquaintance in the right places, are forced to pay a bribe for each permit. Occasionally one of those families is informed that it must stop treatment for a baby with cancer in an Israeli hospital, equipped with the best medical equipment, and is directed to continue treatment at a hospital in East Jerusalem or Cairo. Why? “Because it’s cheaper there.”
The Palestinian Authority, which earmarks a quarter of its budget to pay the salaries of its security apparatus, exercises strict budgetary thrift in the supply of medication and ambulances for the sick. A former coordinator of the Authority’s permit office in Gaza complained to the Israeli transportation volunteers of the callousness of the Palestinian Health Ministry in Ramallah toward sick Gaza residents. “This situation is known to all,” one of the organization’s volunteers told Al-Monitor, “but nobody cares about it except the sick and they — the sick and their families — want to safely reach an Israeli hospital and are afraid to say a word.”
The tremendous gap between the level of Israeli medicine and that in Gaza did not come out of nowhere. To a large extent it is the result of decades of oppression and neglect of civilian infrastructure, in general, and of the health system, in particular, under Israel’s occupation regime. In April 1994, the first Palestinian minister of health, Dr. Riad Zanoun, described the condition of the system he had been handed: “When Israel captured the Gaza Strip in 1967, there were 360,000 Palestinians and five hospitals with 800 beds. Today, 800,000 people live in Gaza and we still have five hospitals with 800 beds.” During the rule of the Palestinian Authority, the number of hospital beds has risen by 30%, to 1.3 beds to every 1,000 residents. (The bed average in OECD countries stands at 3.6 beds to every 1,000 people, while in Israel it is 2 beds for every 1,000).
Since then, the population of Gaza has almost doubled, but the relative condition of the health services has worsened further. A ''Physicians for Human Rights'' (PHR) delegation that visited the Gaza Strip in mid-March described a shortage of experts, advanced equipment and medicines. At the end of a long day of intensive activity, which included several operations, the doctors reported that the prolonged blockade of the Strip had caused a shortage in sub-specializations and an urgent need of programs to update doctors in various areas of medicine. An examination of hundreds of patients revealed problems with diagnoses and appropriate treatment. Many patients don’t get adequate medical consultation and are not directed to a further investigation of their condition. On top of that, patients are not given up-to-date drugs and are often forced to make do with ones that have expired. Due to financial difficulties and a lack of knowledge about alternatives, doctors continue to stuff patients with drugs that don’t contribute to their recovery.
Sadly, the practice of providing patients with drugs that don’t improve their condition is typical of the leaders of both injured parties — they also keep prescribing medications past their due dates. As always, the sick, the helpless, the incarcerated, the unconnected, are the first to suffer. Luckily, several hundred righteous people in Israel have been touched by the affliction of their neighbor and are not put off by the authorities’ hard-heartedness. Thus, in the past year, volunteers of “The Road to Recovery” carried out at least 2,000 runs of Palestinian children to Israeli hospitals and back to the roadblocks. Just this past Saturday [April 6], a group of PHR doctors visited the Jenin refugee camp and treated more than 320 residents.
Apart from the important practical contribution, the encounter of sick Palestinians and their families with Israeli volunteers provides a side benefit: building relationships of trust between the people of two nations supposedly divided by an iron curtain. The leaders and senior officials in Jerusalem, Ramallah and Gaza would do well to learn from their anonymous citizens how to treat human life with dignity and freedom. Until then, the detention of thousands of Palestinian “security prisoners” in Israeli jails along with the medical neglect of Palestinian patients is tantamount to holding a burning match to a keg of gunpowder. 
Akiva Eldar is a contributing writer for Al-Monitor’s Israel Pulse. He was formerly a senior columnist and editorial writer for Haaretz and also served as the Hebrew daily’s US bureau chief and diplomatic corre

Read more: http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2013/04/palestinian-patients-denied-adequate-treatment.html#ixzz2Pzzfetea

2 Nessuna cura medica, prigionieri palestinesi in pericolo      


Betlemme, 12 aprile 2013, Nena News - Le violazioni compiute dai medici nei carceri israeliani mettono in pericolo la vita dei prigionieri, palestinesi e israeliani, in particolar modo dei detenuti in sciopero della fame. A lanciare l'allarme è l'associazione israeliana Physicians for Human Rights che chiede l'immediato passaggio delle competenze in materia di salute dall'Israeli Prison Service al Ministero della Salute.

L'appello giunge in giorni caldi sul fronte dei prigionieri palestinesi detenuti in Israele: due settimane fa il prigioniero Maysara Abu Hamdiya è morto di cancro all'esofago, senza ricevere alcuna cura, se non pillole di antidolorifici. La sua morte aveva provocato dure proteste nelle città della Cisgiordania, mentre dentro le carceri israeliani migliaia di detenuti avevano rifiutato il cibo per tre giorni come forma di protesta. E Samer Issawi, in sciopero della fame dall'agosto 2012, è gravissimo: il suo cuore si sta velocemente indebolendo e le perdite di coscienza sono sempre più frequenti.

Secondo l'organizzazione israeliana, gli abusi perpetrati dalle strutture mediche militari comprendono "il divieto per i detenuti ad essere visitati da medici indipendenti e il divieto al monitoraggio di coloro che sono in sciopero della fame, oltre al divieto di trasferire i prigionieri in ospedali civili". Alla questione dei detenuti palestinesi, Physicians for Human Rights aggiunge il caso di Ben Zygier, cittadino australiano e israeliano, ex agente del Mossad, morto suicida in carcere. La sua morte ha sollevato polemiche e dubbi: tenuto prigioniero in segreto, si sarebbe impiccato nella sua cella, ma gli eventi che hanno portato al decesso non appaiono affatto chiari.

"Il PHR-Israele chiede la creazione di una commissione che esamini la possibilità di trasferire il controllo e la responsabilità dei servici medici dentro le prigioni dall'Israeli Prison Service al Ministero della Salute - spiega l'associazione - Un simile trasferimento renderebbe il livello dei servizi sanitari e la loro qualità uguali per tutti, lo stesso tipo di servizi forniti alla popolazione civile".

Tra le numerose restrizioni imposte ai prigionieri palestinesi - divieto di ricevere un'educazione, di accedere a radio, tv e libri e di essere visitati dalle famiglie, pratica dell'isolamento come forma punitiva, frequenti perquisizioni personali e delle celle, obbligo ad acquistare cibo e vestiti all'interno del carcere - si aggiunge la sistematica negazione all'accesso a cure mediche di base, una mancanza grave soprattutto per quei detenuti che soffrono di malattie croniche.

Il numero di prigionieri palestinesi malati ha raggiunto le 1.400 unità: tra loro anche detenuti entrati in carcere sani e ora affetti da malnutrizione o sofferenti per gli abusi fisici e psicologici perpetrati dell'amministrazione carceraria. Diciotto detenuti sono permanentemente detenuti nell'ospedale militare di Ramle, dove però non ricevono i necessari trattamenti medici. Nena News


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