A Parigi, nella prima moschea 'inclusiva' d'Europa
Ludovic-Mohamed Zahed è un ragazzo di 35 anni di origine algerina,
sposato con un ragazzo sudafricano. Antropologo e psicologo, questo
giovane è promotore di quella che lui stesso definisce la ‘prima moschea
inclusiva d’Europa’.
Fin da giovanissimo, Ludovic-Mohamed Zahed ha dovuto fare i
conti con le conseguenze di una discriminazione legata alla sua
condizione personale: algerino in Francia, musulmano omosessuale,
sieropositivo.
Un’identità che l’ha portato a compiere un viaggio interiore che è
partito dall’islam salafita e l’ha condotto fino al buddismo tibetano,
per poi tornare a riabbracciare la sua religione.
Lo incontriamo nel bar della moschea centrale di Parigi, affollata
da chi cerca sole e tè alla menta, e con lui discutiamo di fede e
omosessualità, in uno dei cuori pulsanti della comunità musulmana
d’oltralpe.
Partiamo dai titoli della stampa che parlavano di questa nuova moschea.
Ecco, di solito chiedo ai giornalisti di specificarlo, di non
parlare di "moschea per gay" perché può suonare come una provocazione e
poi invece trovo il titolo "moschea per omosessuali"!
Personalmente considero il nostro centro una moschea inclusiva. Un
luogo di preghiera e spiritualità aperto a tutti. Vengono uomini e
donne, transessuali ed etero, così come non musulmani che sono solo
interessati all’islam.
Si uniscono a noi il venerdì per pregare, e partecipano alle nostre
attività. Spesso invitiamo degli intellettuali, organizziamo conferenze
per riflettere su religione, cultura e società.
Come è nata l’idea?
Con il tempo e l’esperienza. Alcuni anni fa, insieme ad altri, abbiamo fondato un’associazione che si chiama HM2F (Homosexuels
Musulmans de France), e abbiamo cercato di parlare della nostra
condizione, di affermare la nostra esistenza, lavorando dall’interno.
Frequento la moschea fin da piccolo e il mio modo di vivere, o
anche il mio aspetto non mi avevano mai creato dei problemi...vede mi
vesto di nero, ho la barba: il giornale la Jeune Afrique mi ha descritto come il ‘perfetto salafita’!
Le cose sono cambiate quando si è diffusa la voce sulle mie
attività, le mie posizioni, il mio matrimonio… è allora che sono
iniziati i problemi. Alcuni mi fermavano, mi facevano domande.
Ho iniziato a non poter più andare nella moschea del mio quartiere.
Vivo in una periferia di Parigi, una zona difficile, con piccola
criminalità, droga ed estremismo islamico, è qui che mi hanno iniziato a
vedere come un imam progressista. Con tutte le conseguenze del caso,
positive e negative.
Ad esempio una donna mi è venuta a chiedere di pronunciare la
preghiera per una transessuale deceduta e per la quale non c’era nessun
imam disposto a pregare.
Altre invece volevano sposarsi con dei cristiani o degli atei, e
nessuno era disposto a celebrare la loro cerimonia...quindi mi sono
ritrovato a fare l’imam senza esserlo e senza una moschea.
Ho pensato che la comunità dei musulmani di Francia non fosse
disposta a cambiare, e che quindi c’era bisogno di fare qualcosa di più
forte, soprattutto di più concreto.
Quindi in un primo momento avete provato a restare all’interno della comunità?
Sì, anche se in realtà bisogna capire di cosa si parla quando si
dice "comunità musulmana". È difficile parlare di una sola e unica
comunità, qui in Francia di solito i musulmani si trovano divisi per
gruppi etici, e non c’è una vera rappresentatività di tutta la comunità.
E’ un problema politico.
Esiste un organo che dovrebbe rappresentare tutta la comunità del
paese, il CFCM - Conseil français du culte musulman -, ma è diventato
ormai un luogo dove si fanno giochi politici e dove sono le ambasciate a
dirigere i voti, in quanto è in gioco l’influenza sull’islam francese.
Molti dei rappresentanti che sedevano al CFCM si sono dimessi
dicendo che non si parlava mai di religione, ma solo degli equilibri
politici.
Un altro problema è costituito dal fatto che tale rappresentanza è
molto conservatrice. La maggior parte dei musulmani francesi viene dai
paesi del Maghreb, e indubbiamente oggi vediamo l'effetto positivo delle
primavere arabe, ma ciò non toglie che esiste ancora un problema serio
di libertà d’espressione e di diritti di genere.
Allora mi sono detto che non saremmo mai riusciti a fare qualcosa
di nuovo con questi strumenti vecchi e ancorati a una visione
conservatirce.
Ho preso contatto con una imam californiana. Conoscevo già queste
comunità americane musulmane progressiste, ma non mi ero mai avvicinato
alla loro visione, mi sembrava troppo "estremista".
Ma dopo aver avuto un po’ di esperienza nella realtà francese mi
sono reso conto che forse era questo quello di cui c’era bisogno: un
modo di fare più sovversivo, potremmo dire, e avanguardista, per
riuscire davvero ad aiutare le persone.
Perché era proprio questo lo scopo, aiutare le persone. Per me la
religione deve essere un fattore di liberazione e non di oppressione,
deve aiutare a stare meglio: è il benessere dell’individuo che deve
essere messo al centro.
Ho iniziato a lavorare con Amina Wadud,
ed eravamo soprattutto gay e donne. Siamo stati l’avanguardia, intesa
in termini bellici, di questo scontro intellettuale ed etico. Abbiamo
iniziato ad organizzare delle attività, una conferenza insieme
all’associazione di LGBT musulmani d’Europa, della quale sono
coordinatore internazionale dal 2010.
E l’anno scorso abbiamo creato l’associazione dei musulmani progressisti
di Francia, sul modello di quella americana già esistente, e abbiamo
fondato questo moschea, la prima in Europa. La prima preghiera del
venerdi è stata celebrata il 30 novembre 2012.
All'inizio la moschea era ospitata da un dojo buddista,
ora invece abbiamo una sala nostra nella quale ci riuniamo. Le cose
hanno iniziato a muoversi molto velocemente a testimonianza di un
bisogno reale e impellente che esiste nella società francese.
Può raccontarci la sua storia? Cosa l’ha portata ha impegnarsi in questa prima linea?
Sono algerino di origine ed è lì che ho la mia famiglia. Quando ero
piccolo l’islam era rappresentato dai salafiti. Quindi è con loro che
ho studiato e mi sono avvicinato alla religione, imparando metà del
Corano a memoria e studiando per diventare imam.
E’ quando ho capito di essere gay che c’è stata la rottura. Non
riuscivo più a pregare, vivevo in questo conflitto etico per cui o ero
io ad essere sbagliato, e allora ero un pervertito, un ‘deviato’ come mi
dicevano, oppure era la religione, quella che mi insegnavano, a non
andare bene, almeno per me.
All’epoca non ero ancora abbastanza maturo o colto per capire la
differenza tra religione intesa come spiritualità e religione intesa
come ideologia politica.
A 17 anni ho capito che non sarei mai potuto diventare un imam e
allora ho cambiato strada. Mi sono buttato sullo studio e sul lavoro, ho
studiato la psicologia, l’antropologia e mi sono costruito una vita.
Non ero infelice, dovevo ritrovare quella dimensione di completezza
che avevo sperimentato da adolescente. Ed è allora mi sono avvicinato
al buddismo, e mi è servito. È stato molto utile per riappropriarmi di
quella spiritualità che avevo messo da parte.
Sono andato in Tibet. Il buddismo mi ha insegnato due cose
fondamentali: innanzitutto che la spiritualità è una cosa diversa da
quella rappresentazione totalizzante e fascista del mondo che per molti è
la religione, in cui non c’è spazio per altro, e in secondo luogo che
in ogni cosa c’è del bene e del male.
Nello stesso buddismo ho trovato dell’omofobia, delle
discriminazioni, della misoginia, in questo momento per esempio ci sono
dei musulmani uccisi da buddisti in Birmania.
Allora sono tornato all’islam, e ho ricominciato dall’inizio, ho
ripreso in mano il Corano, sono andato alla Mecca, ho studiato e ho
cercato di rimettere insieme i pezzi delle mie identità.
Ha dedicato molta della sua riflessione
all’omosessualità nell’islam. Lei sostiene che non vi è contraddizione e
che l’islam non abbia mai condannato l’omosessualità...
L’omofobia non esiste solo nell’islam, esiste in tutte le società,
se si va in qualsiasi piccolo paese di Francia, di Italia o di Algeria,
ovunque è difficile che un omosessuale sia accettato senza problemi,
senza andare incontro a pregiudizi e discriminazioni. Quindi l’omofobia
esisterà sempre fino a quando la società umana sarà come è oggi.
Il problema è che la religione sacralizza tutto quello che tocca e
pretende di imporre una legge sulla vita dell’essere umano, una legge
che nell’islam viene assimilata a un codice civile o penale. La
religione non è una legge, per questo esiste lo Stato, la religione è
etica.
La condanna all’omosessualità che si ritrova nel Corano in realtà è
frutto di una deviazione semantica del testo coranico relativamente
alla storia del popolo di Loth, e in particolare al famoso episodio di
Sodoma e Gomorra.
Quello che si condanna qui sono quelle pratiche, effettivamente
esecrabili, rappresentate dalle violenze sessuali rituali, testimoniate
anche da altri testi storici, ad esempio in Erodoto. Tra i popoli della
Mesopotamia era diffuso l’uso di violentare stranieri di passaggio per
offrirne la verginità alla divinità. È questo quello che condanna il
Corano.
Non c’è mai un passo del Libro in cui viene posto al profeta il
quesito su come considerare due persone dello stesso sesso che stanno
insieme.
Infine lo stesso profeta si circondava di quelli che venivano
chiamati mukhanatun, una parola araba per descrivere gli uomini
effeminati , oggi potrebbero essere assimilati forse ai transessuali,
erano degli uomini che si vestivano e si truccavano come le donne.
Portavano l’henné sulle mani, il simbolo della bellezza femminile, e
davanti a loro le donne non si velavano, perchè non avevano desideri
sessuali nei loro confronti. Il profeta accoglieva presso di lui queste
persone, non li condannava come perversi, e li difendeva da coloro che
volevano ucciderli, che li consideravano contro natura. Come vede porto
degli esempi dell’ortodossia!
Lei si definisce un femminista. Quale è il ruolo delle donne nella vostra moschea?
Da noi ci sono delle donne imam e pregano insieme agli uomini, con o
senza velo. E' una loro scelta. Le donne sono uguali agli uomini e
questo è quello che dice anche il Corano. Se vogliamo andare davvero
alla fonte della religione, così come fanno i salafiti ad esempio,
dobbiamo dire che all’inizio della predicazione sono raccontati episodi
in cui il profeta veniva cacciato entrando in alcuni villaggi, gli
venivano lanciate delle pietre, proprio perché veniva considerato come
qualcuno che predicava diritti per tutti, perfino per le donne.
Inoltre la prima donna sapiente e imam è stata Aisha, sposa del
profeta. Bisogna sapere che il Corano è stato rivelato in un contesto di
tribù basate sul patriarcato, all’epoca la religione è stata un fattore
di emancipazione anche per le donne, non capisco perchè oggi debba
essere uno strumento di oppressione.
Avete avuto problemi qui in Francia? Riuscite a portare avanti attività anche al di fuori, per esempio in alcuni paesi arabi?
Per quanto riguarda i problemi, finora ce ne sono stati pochi.
Tanti invece gli incoraggiamenti, molte persone che si sono rivolte a
noi perchè avevano voglia di tornare ad abbracciare la religione, e come
dicevo tra loro ci sono anche molti eterosessuali.
Naturalmente non mancano le critiche, così come alcuni
intellettuali hanno detto di non essere d’accordo con noi, trovando
comunque interessante il nostro progetto.
Per quanto riguarda le attività al di fuori della Francia ora andrò
a Rabat in Marocco per partecipare ad alcune conferenze. In quel caso
sarà nell’ambito del festival di musica sacra, quindi non avremo
problemi, ma in generale cerchiamo di non marcare troppo il tema
omosessualità per non urtare le sensibilità di molti!
Ora che in Francia hanno legalizzato i matrimoni per persone dello stesso sesso vedrà riconosciuto il suo di matrimonio..
Sì, finora non avevamo neanche potuto fare il PACS qui in Francia,
in quanto avremmo dovuto presentare dei certificati di celibato, ma non
potevamo perché eravamo già sposati in Sud Africa, quindi
paradossalmente avremmo dovuto divorziare per poter vedere la nostra
unione riconosciuta qui!
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