Marek Halter: Israele e Hamas nella trappola jihadista

 Marek Halter: Israele e Hamas nella trappola jihadista

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Narek Halter è un ebreo polacco sopravvissuto miracolosamente alla distruzione del ghetto di Varsavia. Trasferitosi in Francia e divenuto uomo del dialogo, ha compiuto diversi viaggi in Siria incontrandovi i leader di Hamas. Oggi su “La Repubblica” espone una teoria che fa paura ma che purtroppo appare più che verosimile. La stessa Hamas sarebbe di fatto ostaggio delle frange jihadiste che hanno trovato nell’Isis e nell’autoproclamato califfo al-Baghdadi un nuovo punto di riferimento. Sono loro ad aver appiccato l’incendio col sequestro e il brutale omicidio di Eyal, Gilad e Naftali. Sono loro che mirano a destabilizzare il regno di Giordania per annetterlo al califfato e minacciare direttamente Israele. Sono loro ad aver continuato il lancio di missili dalla striscia di Gaza anche quando Hamas rispettava la tregua. L’analisi di Marek Halter si traduce in una critica a Netanyahu che demonizzando Hamas e delegittimando il governo di unità nazionale palestinese, di fatto favorisce le fazioni estremiste del campo avverso. Temo che Halter abbia ragione, questa guerra sembra uguale alle altre che l’hanno preceduta ma potrebbe sconvolgere gli equilibri interni al mondo arabo in una direzione pericolosissima.

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L'errore strategico di "Bibi" e l'ombra lunga del Califfo nero

ECHE nessuno sa come contenere, aggredire o neutralizzare. Sto parlando di Abu Bakr al Baghdadi, il nuovo Bin Laden, che a differenza del fondatore di Al Qaeda ha scelto di operare in una regione del mondo che ci riguarda più da vicino, per il petrolio, ovviamente, ma anche perché a Gerusalemme c'è il Dio delle tre grandi religioni monoteiste, dove i fedeli possono camminare sulle orme di Gesù, del re Davide e di Maometto. Al Baghdadi ha una strategia ben precisa. Scatenare l'inferno a Gaza è il diversivo che gli consentirà di penetrare in Giordania. Mentre Israele combatte o invade la Striscia, lui potrà tranquillamente dirigersi verso Amman per realizzare il sogno del califfato, un progetto tutt'altro che assurdo. Infatti, con il califfato si aboliscono le frontiere politiche e si ritorna all'idea originaria dell'Islam, dove i ricchi saranno costretti a spartire i loro beni con i poveri e dove sarà la religione a risolvere ogni problema. È un'idea seducente, che piace a molti. Per metterla in opera, Al Baghdadi e i suoi hanno capito che è necessario superare la guerra tra sciiti e sunniti, e hanno perciò creato brigate sciite che marceranno assieme ai sunniti, scongiurando il rischio di provocare un'ennesima fitna , una guerra civile tra musulmani.
Il jihadista Al Baghdadi procede ora su due teatri: alla frontiera con la Siria, per unirsi con i musulmani radicali siriani, allo scopo di abolire insieme quel confine; e alla frontiera con la Giordania, dove è consapevole che una volta entrato gli sarà facilissimo far insorgere la popolazione contro il re, il quale verrebbe difeso solo dai beduini. Ma anche Israele sarebbe allora costretto a intervenire per proteggere la monarchia giordana, perché una volta arrivate in Giordania le brigate di Al Baghdadi si troverebbero di fatto già in Palestina. Ecco perché il nuovo Bin Laden vuole aprire un secondo fronte a Gaza.
L'ultima volta che incontrai Khaled Meshal, il capo di Hamas, mi disse che presto non avrebbe più controllato Gaza, dal momento che la situazione gli stava sfuggendo dalle mani. Mi disse anche che era giunto il momento di negoziare con Israele, perché nella Striscia stavano nascendo falangi jihadiste, le quali non avrebbero mai trattato con lo Stato ebraico. Ebbene, a Gaza sono proprio quei gruppi paramilitari, molto più intransigenti e più radicali di Hamas, che oggi stanno mettendo il fuoco alle polveri.
Per opportunismo politico, a Netanyanhu e ai suoi alleati della destra israeliana conviene dire che è soltanto colpa di Hamas, perché in questo modo giustificano l'impasse dei negoziati con Abu Mazen. Il leader palestinese ha firmato un trattato con Hamas per formare un governo comune: dunque, dice Netanyanhu, se Hamas continua a lanciare razzi su Israele, noi non possiamo di certo negoziare con il suo sodale o con il suo alleato. Il premier israeliano è prigioniero della sua stessa strategia. In realtà Hamas ha teso la mano ad Abu Mazen nella speranza, un giorno, di vincere democraticamente le elezioni in Palestina e governare sia in Cisgiordania sia a Gaza, costringendo Israele a negoziare anche alle sue condizioni. Ma Hamas non può più contare sull'appoggio egiziano, poiché il generale Sissi li considera alla stregua dei Fratelli musulmani. E, a parte il Qatar e qualche principe saudita, nessuno è più disposto ad aiutarlo. In questo momento, avrebbe troppo da perdere se scoppiasse una vera guerra con Israele. Al contrario, i jihadisti non hanno nulla da perdere. Senza contare che se Israele conosce tutte le basi militari di Hamas e le bombarda con precisione chirurgica, ignora dove siano ubicate le cellule islamiche nella Striscia, che continuano indisturbate a lanciare i loro sofisticati razzi.
Se volessimo risalire negli anni, uno degli artefici di questo disastro è l'ex presidente George W. Bush, il quale usando la menzogna ha destabilizzato quella parte del pianeta, dall'Iraq alla Siria. Bush è un criminale di guerra che andrebbe processato dal Tribunale internazionale dell'Aja.
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Marek Halter

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