Iraq, Dal Kurdistan contrabbando di petrolio verso l'Iran


Il sasso nello stagno lo ha lanciato il New York Times, ma poi è finita lì.
La regione autonoma kurda del nord Iraq esporta petrolio in Iran, in violazione delle sanzioni internazionali imposte contro Tehran.
Finita lì? Non proprio: se ai media occidentali la cosa sembra interessare poco o nulla, sulla stampa araba da giorni se ne parla eccome, e la questione è diventata un altro problema nei rapporti - già assai difficili – fra il Governo regionale del Kurdistan (KRG) e quello centrale di Baghdad. Questi i fatti, esposti dal giornale statunitense.
Ogni anno, greggio e prodotti raffinati per centinaia di milioni di dollari vanno in Iran attraverso le montagne della regione kurda. E ogni giorno – senza l'autorizzazione formale di Baghdad – oltre mille autocisterne varcano il confine fra i due Paesi, nei pressi della cittadina di Penjwin (provincia di Sulaimaniya) – e non soloUn "alto funzionario" del governo kurdo, coperto dall'anonimato, parla di business "enorme" ed "elaborato", i cui benefici vanno ai due partiti che controllano la regione (il Partito Democratico del Kurdistan-KDP del suo presidente Mas'ud Barzani, e l'Unione Patriottica del Kurdistan- PUK, del presidente iracheno Jalal Talabani) e alle compagnie che ad essi fanno capoAggiunge però che nel traffico sono coinvolti anche funzionari e politici di Baghdad.
Sempre secondo funzionari kurdi – che non vogliono essere citati, ogni giorno centinaia di autocisterne, della capacità di almeno 226 barili ciascuna, entrerebbero in Iran – da diversi posti di frontiera della regione del Kurdistan, trasportando greggio e prodotti raffinati. Quindi prendono la via del sud, verso i porti di Bandar Bushehr, Bandar Imam Khomeini, e Bandar Abbas - sul Golfo. A supportare tutto questo giro, si stima che ci siano 70 mini-raffinerie, in gran parte illegali, sparse in tutta la regione kurda, ma anche nelle zone sotto il controllo kurdo delle vicine province di Ninive e Kirkuk. Secondo il New York Times, il Primo Ministro del governo del Kurdistan, Barham Salih, non sarebbe affatto contento, ma non riesce a intervenire perché incontra resistenze all'interno del suo stesso partito (il PUK) A questo si aggiungono i suoi rapporti tutt'altro che cordiali con Ashti Hawrami, il ministro delle Risorse Naturali (leggi: petrolio e gas) del KRG, che ha l'appoggio del presidente della regione, Mas'ud Barzani, e del nipote di quest'ultimo – il potente ex Primo Ministro Nechirvan Barzani.
Se tutto ciò corrisponde a verità, quello che è a tutti gli effetti contrabbando di petrolio frutta alla regione autonoma kurda un bel po' di soldi: soldi che essa non deve dividere con il governo centrale di Baghdad, con il quale ha da tempo un contenzioso che riguarda proprio la gestione delle risorse petrolifere. KRG e Ministero iracheno del Petrolio (in particolare il ministro Hussein al Shahristani) sono da anni in conflitto a causa dei contratti che le autorità della regione kurda (che nel 2007 si è dotata di una sua legge sul petrolio e sul gas) hanno firmato con una ventina di compagnie internazionali: contratti che Baghdad considera illegali. Mentre il governo kurdo parla di suo diritto garantito dalla Costituzione irachena. Che in proposito non è molto chiara.
Le rivelazioni del
New York Times sono diventate un'arma di battaglia politica all'interno della regione kurda, oltre ad aver complicato i già non facili rapporti con Baghdad. Il movimento di opposizione Goran, in particolare, ha colto la palla al balzo, chiamando in causa KDP e PUK, accusati di non voler fare luce sulla vicenda [in arabo]La parte del leone dei proventi del contrabbando di petrolio e derivati verso l'Iran andrebbe infatti a compagnie come Iraq Oil, Qaiwan, e altre, che sono collegate ai due maggiori partiti - i partiti di governo, di cui Goran denuncia da tempo la grande corruzione.
Dal KRG il ministro Hawrami smentisce categoricamente [in arabo]: le notizie diffuse dal New York Times non sono assolutamente vere, dice.
Smentisce [in arabo] anche il portavoce ufficiale del governo, Kawah Mahmud: notizie prive di fondamento. Inaccurate, le definisce un comunicato del KRG, che fa il punto sulla questione.

E' falso, ribattono da
Goran. Abdallah Mahmud Nuri, un deputato del movimento di opposizione kurdo, parla [in arabo] di "informazioni confermate sull'esportazione di migliaia di tonnellate di greggio in Iran" e di "centinaia, anzi migliaia di camion che passano ogni giorno attraverso i valichi di frontiera del Kurdistan per trasportarli in Iran".
Nuri aggiunge che "parti governative hanno ammesso l'esistenza di raffinerie illegali sparse nelle province del Kurdistan (Irbil, Sulaimaniya, e Dohuk)", e annuncia l'intenzione di investire della vicenda il Parlamento regionale – alla ripresa dei lavori. Altrimenti, anticipa, ricorreremo alla pressione popolare.Intanto Baghdad e le autorità del Kurdistan si scambiano accuse: secondo i funzionari kurdi, il contrabbando di petrolio verso l'Iran passerebbe dalle zone di confine del sud. Il ministro Hawrami parla di "100.000 barili di petrolio che ogni giorno vanno in Iran" mentre il governo di Baghdad fa finta di non vedere. Da Baghdad ribattono che non è vero niente: è noto che il greggio iracheno viene esportato dai porti di Bassora e Amaya (nel sud) e attraverso l'oleodotto Kirkuk-Ceyhan (nel nord)
Intanto Goran rende pubblici alcuni documenti [in arabo]: in particolare un ordine del ministero delle Finanze del KRG (in data 15 novembre 2009), indirizzato alla Direzione delle dogane di Sulaimaniya, in cui si danno istruzioni per consentire il passaggio ai valichi di frontiera con l'Iran delle autocisterne che trasportano prodotti della raffinazione del greggio senza pagare dazi doganali. Da Baghdad, il ministro del Petrolio Shahristani annuncia l'apertura di una inchiesta per stabilire i fatti, nonché la convocazione di funzionari del governo del Kurdistan, per sentire cos'hanno da dire. Dunque, davvero non è finita. Il presidente della regione kurda, Barzani, chiede [in arabo] che vengano prese le misure più severe a riguardo, e invita i ministeri delle Risorse naturali e delle Finanze "a fornire spiegazioni". Questo, mentre un funzionario dell'ambasciata iraniana a Baghdad smentisce "il contrabbando di qualsivoglia quantità di petrolio in Iran". Siamo un Paese che ha ricchezza petrolifera a sufficienza per le proprie necessità – commenta.

Fonti: New York Times, al Sharq al Awsat, al Hayat
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