Haaretz: la pulizia etnica israeliana nel Golan siriano



I diseredati

Che cos’è capitato ai 130.000 cittadini siriani che nel 1967 vivevano sulle Alture del Golan? Secondo la versione israeliana, sono fuggiti tutti in Siria, ma documenti ufficiali e testimonianze ci raccontano una storia diversa.
di Shay Fogelman Non appena entri nel villaggio di Ramataniya l’aroma dei fichi maturi riempie le tue narici. Nel colmo dell’estate, sono troppo maturi e l’odore della fermentazione diventa greve. Non essendoci nessuno a coglierlo, il frutto marcisce sull’albero. Non essendoci nessuno che li pota, le radici e i rami inselvatichiscono, facendo crepare le pareti nero basalto delle case vicine, passando attraverso le cornici delle finestre vuote, e distruggendo le pareti di pietra nelle cortiTutto è abbandonato e in rovina. Le rosse tegole sono scomparse dai tetti. Le mattonelle della corte sono state asportate. Tutti i beni sono stati confiscati o saccheggiati decine di anni fa. Sbarre ricoprono ancora alcune finestre, ma le porte sono andate. Un occasionale serpente spunta di sotto le pietre che facevano parte di un muro; uccelli becchettano i fichi in decomposizione, e un enorme cinghiale selvatico gironzola pieno di vita giù lungo il sentiero. Improvvisamente si ferma e lancia uno sguardo indietro, come se stesse considerando se accampare diritti o preoccuparsi per la propria vita. Alla fine se ne fugge.
Delle dozzine di villaggi siriani sulle Alture del Golan che erano stati abbandonati dopo la Guerra dei Sei Giorni, Ramataniya viene ritenuta quella meglio conservata. Sembra che, grazie al breve periodo di colonizzazione ebraica che c’è stata nel tardo 19° secolo – e non per la sua storia del periodo bizantino – sia stata dichiarata sito archeologico subito dopo la guerra del 1967 e preservata perciò dall’opera distruttiva dei bulldozer. Ben diverso è stato il destino delle rimanenti località siriane sulle Alture del Golan: A parte i villaggi drusi ai piedi del monte Hermon, tutti gli altri sono stati distrutti, in molti casi fin dalle loro fondamenta. Tuttavia, nelle ultime settimane, gli incendi che hanno spazzato via arbusti ed erbacce hanno messo in evidenza i loro resti, che attestano come, sulle Alture sotto il governo siriano prima della guerra, vi prosperassero ben più di 200 villaggi, città e fattorie. Molte delle costruzioni si sono disintegrate nel corso degli anni a causa dell’azione devastante del clima e del tempo. Altre sono state fatte saltare dalle truppe delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) durante le esercitazioni a fuoco sul posto. Ma la maggior parte sono state cancellate dalla faccia della terra in un processo sistematico di distruzione che ha avuto inizio subito dopo l’occupazione del Golan. Solo gli avamposti siriani e i campi militari sono rimasti per lo più intatti, le loro fortificazioni in ferro e cemento, a bruciante ricordo del terrore messo in campo nel Golan contro gli israeliani, che hanno soppresso il ricordo della vita civile che fioriva nei vicoli e nelle case di Ramataniya e degli altri villaggi. Il censimento siriano del 1960 sulle alture del Golan stabilitì che a Ramataniya vi erano 541 abitanti; al tempo della Guerra dei Sei Giorni ve ne erano 700. Secondo la maggior parte delle stime, la popolazione dell’intera area conquistata da Israele, nel 1967 si aggirava tra i 130.000 e 145.000 abitanti. Il dato si basa sul censimento e sul calcolo della crescita naturale. Nel primo censimento israeliano del Golan, effettuato esattamente tre mesi dopo la cessazione delle ostilità, risultò che c’erano appena 6.011 civili residenti sull’intera regione del Golan. La maggior parte di loro viveva in quattro villaggi drusi che sono rimasti popolati fino ad ora. Una parte più ridotta viveva nella città di Quneitra, che venne restituita alla Siria dopo la Guerra dello Yom Kippur. In tal modo, in meno di tre mesi più di 120.000 persone se ne andarono, o di propria volontà o perché erano state espulse.

“Verità promettenti”

In un articolo dal titolo “Verità della nuova realtà che ispirano speranza”, pubblicato sul Life Magazine del 29 settembre 1967, l’allora ministro della difesa Moshe Dayan raccontò la sua versione su cosa era accaduto agli abitanti del Golan. L’esercito l’aveva spuntata su tutto il fronte spostando i confini dalla Giordania al Libano per una profondità di circa 20 km. Inoltre, aggiunse, l’intera area, fatta eccezione per sette villaggi drusi, era al momento abbandonata, poiché non appena le truppe siriane si erano ritirate, la popolazione civile aveva preso le proprie greggi ed era fuggita verso oriente, per paura di essere colpita dal fuoco incrociato o di diventare oggetto di bombardamenti e del lancio di granate.
Altri politici israeliani, personale dell’esercito e portavoce, hanno descritto la fuga della popolazione siriana in termini equivalenti. In una lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite, il rappresentante di Israele presso le Nazioni Unite, Gideon Rafael, rispose ai reclami del rappresentante della Siria secondo il quale decine di migliaia di civili erano stati espulsi dalle loro case a seguito della guerra. Rafael scrisse che “la maggior parte della popolazione delle Alture del Golan era fuggita prima che iniziasse la ritirata delle truppe siriane. Di una popolazione di circa 90.000 persone, ne erano rimaste 6.404.”
I quotidiani di quel tempo accettarono questo tipo di versione. Un articolo scritto da Yehuda Arier su Ha’aretz nel tardo giugno del 1967 asserì che “i villaggi nel Golan erano tutti abbandonati, senz’alcuna eccezione. Tutti gli abitanti avevano temuto [attacchi] per vendetta. Nessun uomo o donna aveva ritenuto opportuno rimanere nella loro proprietà e continuare a lavorare la terra. Avevano abbandonato ogni cosa ed erano fuggiti.”
Haim Isak, un corrispondente per Davar che aveva preso parte a un giro del Golan organizzato dall’IDF circa un mese dopo la guerra, scrisse su una visita fatta a un avamposto siriano e a un villaggio chiamato Jalabina: “I soldati [siriani] erano stati uccisi o catturati o erano fuggiti: e tra coloro che erano scappati c’era anche tutta la popolazione non-combattente – le donne, i bambini come pure i vecchi che stavano qui. Gli unici esseri viventi che sono rimasti, sono gli animali abbandonati che vagano assetati e affamati….”
Non c’è da stupirsi, quindi, che i cosiddetti album della vittoria e le riviste pubblicate dopo la guerra fornissero un’immagine dello stesso tipo. Sul Davar’s Magazine in occasione del primo anniversario della conquista del Golan, Ruth Bondy scrisse: “Tutti i villaggi arabi lungo la strada sono abbandonati… Prima dell’arrivo dell’IDF, per paura del barbaro conquistatore, fuggirono tutti, fino all’ultimo uomo. Il sentimento che uno prova vedendo i villaggi abbandonati passa dal disprezzo per le scarne capanne che il regime ‘sviluppato’ era riuscito a fornire ai propri contadini, alla tristezza per la vista delle case del villaggio circasso di Ein Zivan relativamente accudite in modo piacevole….Sciocchi, perché hanno dovuto darsi alla fuga?” Nel corso degli anni, la narrativa israeliana relativa alla fuga dei civili siriani dal Golan durante la guerra ha trovato il suo spazio nei libri di testo e nella letteratura storica. “Oltre agli avamposti, i siriani avevano postazioni e luoghi fortificati in molti dei villaggi del Golan,” avevano scritto Ze’ev Schiff e Eitan Haber nel loro libro del 1976 “Un glossario dell’esercito israeliano.” “Questi villaggi erano per lo più abitati da turkmeni, circassi e drusi. La maggior parte di loro abbandonò le proprie abitazioni durante la Guerra dei Sei Giorni. Coloro che sono rimasti, sono stati principalmente i drusi.”
Nel suo libro, “storia del Golan”, Nathan Shur, autore di più di 20 libri e 100 articoli sulla storia ebraica, citò la risposta ufficiale di Israele alla protesta siriana di fronte alle Nazioni Unite relativa all’espulsione dei civili: “Prima della loro ritirata, le autorità militari siriane ordinarono agli abitanti dei villaggi del Golan di abbandonare le loro case e proprietà e di lasciare immediatamente i loro villaggi per andarsene in esilio all’interno della Siria. Solo gli abitanti dei villaggi drusi nel Golan settentrionale non dettero ascolto a queste istruzioni. Gli abitanti scomparvero tutto d’un tratto dagli altri villaggi.” In un glossario storico-geografico pubblicato dal Ministero della Difesa, alla voce Alture del Golan si legge: “Esse sono state conquistate dall’IDF nella Guerra dei Sei Giorni e la maggior parte dei suoi abitanti si è data alla fuga.”
Ma nel corso degli anni sono emerse occasionalmente altre testimonianze: storie raccontate da soldati e da civili che a quel tempo si trovavano nel Golan, e furono testimoni oppure giocarono un ruolo attivo nell’espulsione dei civili, alla quale - loro raccontano - era stato Israele a dare il via. Stranamente, perfino nella maggior parte degli studi storici più seri, gli autori si sono orientati a non prendere in considerazione queste testimonianze. Uno studioso di rilievo, che aveva pubblicato diversi anni fa un testo autorevole sul Golan, disse: “Ho sentito delle testimonianze che dichiarano che gli avvenimenti non sono avvenuti in realtà nel modo sostenuto dalla narrativa ufficiale in tutti questi anni. Non mi ci sono voluto consapevolmente addentrare e ho deciso di stare dalla parte dell’attuale narrativa. Ho avuto paura che tutta l’attenzione che ne sarebbe derivata riguardante il libro si sarebbe incentrata su questo problema e non sul cuore vero della ricerca.” Un altro storico ha attribuito la sua decisione di seguire la corrente a una mancanza di voglia di essere etichettato “di sinistra” : “C’è stata fuga e c’è stata espulsione. Anche se tutto è considerato un argomento controverso, chiunque ha studiato il periodo almeno un poco sa molto bene che ci sono state entrambe.Mi sono giunte testimonianze sull’espulsione e su come sia stato impedito il rientro, ma non ho avuto i mezzi per scavare al proposito in profondità….. Nell’indagare sulla questione non ho preso in considerazione ogni punto, in primo luogo perchè non viene mai considerato uno storico colui che prende posizione in un problema complesso di tal genere.”
Fuga nei campi.
Come sui fronti Egiziano e Giordano, pure sul fronte Siriano, nel 1967 la vittoria dell’esercito israeliano fu rapida e decisiva: in 30 ore di combattimenti, dalla mattina del 9 giugno fino alle 6 pomeridiane del giorno successivo, quando entrò in vigore il cessate il fuoco, le forze dell’IDF presero il controllo di una striscia di terra lunga 70 chilometri e profonda di media all’incirca 20 chilometri. L’esercito siriano, ben equipaggiato e schierato lungo il fronte, crollò prima ancora di incontrare le forze attaccanti, nonostante fosse favorito dal vantaggio dovuto alla topografia del terreno.
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L’offensiva di terra venne preceduta da tre giorni di cannoneggiamenti e di bombardamenti dall’aria. Molti degli avamposti siriani vennero colpiti durante i bombardamenti, come pure un buon numero di case, stalle e altre strutture civili. E ci furono anche, naturalmente, perdite umane. Secondo la gran parte delle testimonianze, la fuga dei civili alla volta di Damasco ebbe inizio allora e coinvolse decine di migliaia di persone.Sotto il bombardamento, il morale delle truppe siriane negli avamposti era a terra. Gli ordini che venivano da Damasco erano confusi e non erano in vista dei rinforzi. Questo fu il momento in cui elementi dell’esercito si ritiene che cominciarono a fuggire. Testimonianze raccolte più tardi in Siria sostengono che dapprima si dettero alla fuga dalle basi arretrate le unità amministrative, seguite dagli alti ufficiali del quartiere generale di divisione a Quneitra e dai comandanti delle unità sulla linea del fronte. Centinaia o forse migliaia di civili, in gran parte parenti, fuggì insieme al personale dell’esercito. E quando iniziò l’offensiva di terra israeliana, crebbe il flusso della gente in fuga. Non c’è dubbio che molti civili si aggregarono alle forze dell’esercito siriano in fuga sia prima che dopo l’offensiva. Molti, ma non tutti. Una valutazione fatta dalla Siria una settimana dopo l’inizio della guerra stabilì che solo circa 56.000 civili avevano abbandonato il Golan fino a quel momento. Il 25 giugno, il Ministro dell’Informazione siriano, Mahmoud Zuabi, ad una conferenza stampa tenutasi a Damasco, dichiarò che appena 45.000 civili avevano lasciato la regione conquistata. Nel calore della battaglia, non si tenne nota sistematicamente di nulla, tant’è che oggi risulta impossibile verificare o confutare le cifre, ma anche testimonianze fornite da soldati israeliani affermano che un discreto numero di civili siriani rimasero nel Golan. “Ricordo che si videro dozzine e talvolta perfino centinaia di loro nei campi, fuori dai villaggi,” racconta Elisha Shalem, comandante del 98° Battaglione paracadutisti della riserva. Dopo che il suo battaglione ebbe preso parte alla conquista della West Bank settentrionale, le sue truppe l’ultimo giorno della guerra vennero aerotrasportate nel Golan meridionale, vicino a dove ora si trova il kibbutz Meitzar. “ La nostra missione era quella di penetrare in profondità nel Golan quanto più fosse possibile prima che entrasse in vigore il cessate il fuoco,” racconta. “Noi a mala pena ci si doveva preoccupare di impadronirci di avamposti o villaggi. Nel nostro settore, il numero di scontri con i siriani che comportavano combattimenti fu abbastanza basso. Loro erano impegnati principalmente nella ritirata. Mentre ci si stava calando dagli elicotteri, dalla Valle del Giordano stava salendo una forza corazzata e una compagnia di pattuglia e non appena si stabilì il contatto con i veicoli, ci spostammo molto rapidamente verso est. Non ci fermammo lungo la strada, così non ne potemmo valutare realmente la portata. Ma durante tutto il tempo del nostro procedere verso est, tutti i villaggi grandi e piccoli per i quali passammo sembravano essere abbandonati. Anche gli accampamenti dell’esercito erano completamente vuoti, fatta eccezione per qualche soldato che si arrese subito non appena ci vide. Ma ricordo con chiarezza di aver visto centinaia di persone nei campi fuori dei villaggi. Ci guardavano, da una distanza di sicurezza, in attesa di vedere che cosa avrebbe portato il giorno. I civili non erano parte in gioco, né qui né in qualsiasi altra parte delle Alture del Golan. Nonostante alcuni fossero armati, non ci si occupò affatto di loro, almeno nel mio battaglione, sebbene operassimo in un’area con una concentrazione particolarmente elevata di villaggi.” Shalem ritiene che gli abitanti abbiano lasciato i villaggi, non appena cominciò il cannoneggiamento, ma afferma che essi non avevano abbandonato la loro terra e sembrava che stessero aspettando la conclusione degli scontri per ritornare a casa.: “E’ un modo di comportarsi che avevamo visto durante la guerra in precedenti conquiste…..I civili fuggono dalle loro case, ma restano laddove possono mantenere il contatto visivo con il villaggio, per vedere l’evolversi delle cose. Questi, per la maggior parte, erano semplici popolani, non erano per nulla grossi politici e in assenza di una direzione avevano fatto ciò che era necessario per salvaguardare le loro terre e le loro proprietà.” Il resoconto di Shalem è supportato dalla maggior parte delle testimonianze di combattenti che sono stati intervistati per questo articolo. Quasi tutti coloro che avevano ficcato la testa fuori dal loro tank o veicolo blindato, ricordano di aver visto centinaia di civili siriani radunati fuori dei villaggi durante i due giorni di combattimenti nel Golan. I resoconti concordano affermando che, di fatto, molti civili erano diretti in convogli verso est , talvolta insieme all’esercito in ritirata, ma che molti erano pure rimasti, nella speranza che potesse riprendere la vita normale persino sotto la potenza occupante.

Un taccuino lasciato indietro

“Il giorno in cui i mezzi blindati dettero inizio alla conquista del Golan, facemmo un piccolo fagotto di oggetti e ci dirigemmo fuori nei campi,” riporta Nadi T., che era nato e cresciuto a Ramataniya e ora vive negli Stati Uniti. Aveva 13 anni quando scoppiò la guerra e ricorda che a parte alcuni vecchi e i paesani ammalati che erano rimasti a casa, anche gli altri abitanti se ne andarono nei campi.
“Prendemmo poche cose, un po’ di cibo, coperte e vestiti, perché nel Golan le notti di giugno possono essere fredde. Io volevo prendere anche i miei taccuini e due libri che avevo preso in prestito da un amico che viveva a Hushaniya, ma mia madre disse che non era necessario perché saremmo ritornati presto a casa, per cui era bene che prendessi con me solo le cose delle quali avevo bisogno.”
Ancor oggi, Nadi si rammarica di non aver preso quei taccuini, e tra essi un diario dell’infanzia. Se ne andarono così anche i suoi libri, la sua bicicletta nuova e la medaglia d’oro per la corsa dei 100 metri che aveva vinto in una gara del distretto di Quneitra prima della guerra. Ma i ricordi non erano andati perduti.
“Siamo vissuti bene, in modo semplice e modesto, senza la televisione e tutti quei lussi nei quali crescono i bambini al giorno d’oggi. Forse si tratta di nostalgia, ma tutto ciò che resta nel mio ricordo di Ramataniya è dipinto con magnifici colori. Da ragazzo avrei fatto il bagno nella sorgente vicino al villaggio. Ricordo ancora il sapore dell’acqua….Anch’io avevo l’abitudine di fare spesso escursioni a piedi nei campi attorno al villaggio e quando ebbi 10 anni costruii una capanna su un albero di fichi nel nostro cortile….
“L’agricoltura rappresentava la risorsa principale per il sostentamento degli abitanti del villaggio,” continua Nadi. “Fin da giovani avremmo lavorato nei campi. Per noi era più un gioco e ci faceva piacere aiutare i nostri genitori a lavorare gli appezzamenti di terreno che erano molto piccoli. Non c’erano trattori o altri attrezzi meccanici. Se ricordo bene, non c’erano neppure le pompe per l’acqua. La maggior parte degli appezzamenti venivano annaffiati con canali d’irrigazione alimentati dall’una o l’altra delle due sorgenti vicine al villaggio. Le case ricevevano la corrente elettrica solo di sera quando entrava in funzione il generatore.”
Durante il combattimento, Nadi, insieme al suo cane Khalil, ai suoi quattro fratelli, ai suoi genitori e alla nonna anziana, se ne stette per tre giorni nei campi vicino a Ramataniya, tenendo d’occhio la loro casa e cercando di indovinare che cosa sarebbe successo. Rievoca come una notte suo padre fosse ritornato al villaggio per mungere le loro due mucche e portare loro qualche pezzo di manzo essiccato e della marmellata di fichi che aveva fatto sua madre. Ma, dopo di allora, non gli venne permesso ricongiungersi a suo padre e non ritornò più a casa sua.
Nadi proveniva da una delle poche famiglie circasse che vivevano a Ramataniya; gli altri abitanti erano di origine turkmena. Oggi vive nel New Yersey in una piccola comunità carcassa che vi emigrò dopo la guerra. Alcun i dei suoi parenti vivono tuttora in Siria e questo è il motivo per cui non ha voluto che venisse rivelato il suo nome completo e che fosse fotografato per questo articolo.
Come Ramataniya, anche gli altri villaggi delle Alture del Golan siriano avevano una popolazione in gran parte omogenea. Ad esempio, cinque villaggi nel nord, proprio ai piedi del monte Hermon, erano abitati da drusi. Gli alawiti vivevano in tre villaggi ad occidente – uno dei quali, Ghajar, esiste tuttora. Attorno a Quneitra c’erano 12 villaggi circassi; a sud c’erano 14 villaggi turkmeni. I cristiani vivevano in gran parte nei villaggi lungo la strada che porta dalla zona meridionale delle Alture del Golan all’incrocio di Rafid. Il Golan era patria anche di minoranze armene, kurde, magrebine e hourane.
Circa l’80% degli abitanti del Golan erano musulmani sunniti, la maggior parte discendenti di tribù nomadi che, nel 19° secolo, vi pascolavano greggi e più tardi vi si insediarono. Nel 1967, solo il 2% della popolazione dell’area era ancora costituita da nomadi. Nel Golan vi vivevano anche 7.000 profughi palestinesi i cui villaggi erano stati distrutti durante la Guerra d’Indipendenza.
In prevalenza la gente viveva in piccoli villaggi di agricoltori di 200 – 500 abitanti. Le principali risorse per il sostentamento per i 20.000 abitanti di Quneitra erano costituite dal commercio dei prodotti agricoli e dalla lavorazione delle materie prime. Diversamente dall’idea diffusa a livello popolare in Israele, e confermata da ricerche di studiosi, solo una piccola minoranza della gente era impiegata dagli organi dirigenti dei servizi siriani.
Documentazioni provenienti dall’agenzia del ministero degli interni siriano a Quneitra rivelano che, al tempo della guerra, nel Golan c’erano anche 3.700 mucche, da uno a due milioni di pecore e capre (a seconda della stagione) e 1.300 cavalli.

I primi 10 giorni

Ze’ef Shiff, corrispondente di guerra di Ha’aretz, il 16 giugno riportò che, “Ieri, gli abitanti dei villaggi che si tenevano nascosti nella zona hanno cominciato ad ottenere il permesso di ritornare nei loro paesi. Sulle strade delle Alture del Golan si possono vedere gli abitanti dei villaggi in marcia con i loro beni verso le loro case. Sono stati forniti loro automezzi per il trasporto delle donne e dei bambini.”
Il reporter dal Golan di Davar, Idit Zertal, scrisse: “Su uno stretto sentiero sterrato, tutto ad un tratto, appare una strana carovana….Donne, bambini e qualche vecchio a piedi o a cavallo di un asino. Hanno bianchi pezzi di stoffa attaccati a bastoni come segno di resa. Quando sono arrivati alla strada principale, è giunto un autobus Egged carico di soldati israeliani. La gente della carovana, tremando dalla paura, si è affollata contro l’autobus allungando le braccia verso i finestrini. I soldati sfiniti e impolverati che avevano combattuto in quei luoghi…[contro i soldati siriani] e che si erano nascosti nelle case di quella gente che stava chiedendo loro compassione, hanno girato da parte la testa. Non potevano guardare questa atroce mostra di umiliazione e di resa.Un ufficiale israeliano dice a quei paesani che stavano ritornando di andarsene nelle loro case e promette a un vecchio che montava un asino che non sarà fatto loro alcun male. Solo un esercito con un incredibile senso del potere, con un senso del destino, avrebbe potuto comportarsi in questo modo con i vinti.”
Ma l’atteggiamento di questo potente esercito cambiò: difatti, nello stesso giorno in cui i corrispondenti di guerra visitavano il Golan e descrivevano il rientro dei siriani nei loro villaggi, il colonnello Shmuel Admon, comandante dell’IDF responsabile della regione, emise un ordine con il quale dichiarava l’intera zona del Golan “area chiusa”. “Nessuno potrà entrare, venendo da fuori, nella regione delle Alture del Golan e nessuno potrà andarsene dal Golan per trasferirsi in una regione al di fuori di quest’area, senza il permesso del comandante delle forze dell’IDF in loco,” recitava l’ordine, minacciando che i trasgressori sarebbero stati puniti con pene detentive fino a cinque anni di carcere.
In tal modo, il movimento dei civili siriani venne interrotto. Documenti dell’IDF rivelano che ogni giorno dozzine di residenti del luogo che avevano cercato di tornare a casa venivano arrestati e portati in tribunale a Quneitra. Lì, la maggior parte testimoniò di essere venuti per raccogliere beni di loro appartenenza che erano stati lasciati alle spalle. Altri dissero di aver avuto l’intenzione di ritornare per sempre. Tutti furono imprigionati e successivamente espulsi.
Ma quelli che erano riusciti a sgattaiolare fino in fondo e giungere a casa spesso trovarono che nulla era stato lasciato. “Non ricordo esattamente quando successe, ma pochi giorni dopo la fine dei combattimenti, forse dopo meno di una settimana, ricevetti l’ordine di cominciare a distruggere i villaggi,” racconta Elad Peled, durante la guerra comandante della 36° divisione dell’IDF. Per 10 giorni dopo la fine dei combattimenti, la sua divisione fu responsabile per la parte conquistata delle Alture del Golan, al tempo in cui gli abitanti dei villaggi del posto all’apparenza erano in attesa di ritornare alle loro case.
Peled non ricorda quali forze demolirono le case. “Fu una questione amministrativa, io ero assorbito dagli aspetti del combattimento,” racconta, ma aggiunge, “Nel caso di alcune case non fu necessario il trattore. Poteva essere fatto addirittura con una zappa.”
Peled rammenta che c’era una evidente decisione politica, stabilita dagli alti comandi dell’IDF – “e tutto ciò doveva essere stato calato dalla componente politica” – nel non danneggiare i villaggi drusi e circassi. “Per varie ragioni, lo stato aveva interesse a tenerli lì,” dice, sebbene non rammenti quale fosse la politica al riguardo per gli altri abitanti.
Alla fine della guerra, altri ufficiali della divisione di Peled scrissero un rapporto, nel quale venivano descritte le battaglie e le attività svolte dalle diverse sub-unità della divisione. Alla fine, una sezione include descrizioni di operazioni faccia a faccia con la popolazione civile durante quei 10 giorni nei quali le Alture del Golan erano sotto il suo controllo, e afferma: “A partire dall’11 giugno, l’Amministrazione militare cominciò a trattare con la popolazione civile che era rimasta nell’area conquistata, con una particolare attenzione per le minoranze druse e circasse…”
Questo rapporto confidenziale del tempo addietro risulta declassificato e si trova ora negli archivi dell’IDF, ben prima che fossero trascorsi i consueti 50 anni – com’è di norma con documenti delicati di quel tipo. Coloro che lo resero apparentemente di pubblico dominio cercarono di nascondere il prosieguo di quella frase, pratica corrente riguardo a questioni che potrebbero danneggiare la sicurezza nazionale, e a quanto pare fornendo anche qualcosa che sarebbe servita a rafforzare la versione dell’esercito su determinati avvenimenti o a prevenire situazioni imbarazzanti. Tuttavia, è possibile compilare la continuazione della frase: “…e per l’evacuazione di una popolazione che non era partita.”
Peled non rammenta questa parte del rapporto o con precisione gli ordini che erano stati dati, ma valuta che nel Golan fossero rimasti circa 20.000 civili in quei primi giorni del dopoguerra, che “furono evacuati o partirono non appena videro che i villaggi cominciavano a essere distrutti dai bulldozer e loro non avevano un posto dove tornare.”
Testimonianze raccolte in anni recenti e fornite da civili siriani e dalle Nazioni Unite indicano che in quel primo stadio dopo la guerra vennero demoliti dai bulldozer solo i villaggi prossimi al vecchio confine.
Tzvi Reski, responsabile durante i combattimenti di quello che era chiamato il Tell Hai bloc, e una delle persone più vicine al comandante del GOC [Ground Operations Command] del nord, David Elazar, è stato per tutta la guerra nella sede del comando. Egli ricorda che “laddove fu possibile, le case vennero fatte saltare immediatamente dopo la fine dei combattimenti.”
Yehuda Harel, uno dei primi coloni israeliani nel Golan, ricorda di aver visto, subito dopo la guerra, le rovine del villaggio di Bania. Eli Halahmi, l’ufficiale responsabile a quei tempi dei servizi di spionaggio militare in Siria, Libano e Iraq, afferma che i villaggi distrutti erano probabilmente “quelli con i quali avevamo un conto in sospeso approssimativamente dal tempo della guerra per l’acqua, villaggi dai quali avevano sparato su comunità israeliane o quelli dai quali partivano cellule per sistemare mine o per portare a termine attacchi terroristici in Israele.”
Amnon Asaf del kibbutz Ma’ayan Baruch, che evidentemente è stato uno dei primi civili israeliani a visitare il Golan, fa un po’ di luce sulla distruzione israeliana dei villaggi prossimi al confine, nella zona meridionale delle Alture del Golan e sui loro abitanti: “Proprio nei primi giorni dopo la guerra, feci un giro con un amico del kibbutz verso le Alture del Golan. Avevamo un amico che aveva prestato servizio in una unità corazzata d’elite e non avevamo più saputo nulla di lui, eccetto che avrebbe potuto essere nell’area di Nataf. Allora era proibito ai civili israeliani recarsi nel Golan, così sporcammo di fango la nostra jeep per cui i soldati avrebbero potuto pensare che fosse un mezzo militare e non ci avrebbero fermato. Quando fummo sulla strada attorno al lago Kinniret, sotto le rupi del Golan, vedemmo un gruppo consistente di civili siriani, alcune centinaia di persone, che erano radunati di fronte a dei tavoli con dei soldati che vi erano seduti dietro. Ci fermammo e chiedemmo a un soldato che cosa stessero facendo. Lui rispose che stavano facendo una registrazione di pre-espulsione.
“Io non sono una persona dal cuore tenero, ma ebbi subito la sensazione che lì qualcosa non era giusto. Ricordo ancora quale brutta impressione tale vista lasciò in me. Ma, di fatto, era lo stesso che era capitato [alla popolazione araba] a Lod, Ramle e in altri luoghi durante la Guerra d’Indipendenza. In quella guerra, ero nel terzo battaglione Palmach e, anche se venni ferito in battaglia prima della conquista di Lod e di Ramle, seppi che questo è ciò che i miei camerati avevano fatto. Mi parlarono della espulsione quando vennero a trovarmi in ospedale e anche dopo.”
Nel frattempo, pure Nadi T e la sua famiglia avevano lasciato il Golan: “Dopo che la guerra finì, restammo per circa un’altra settimana da parenti a Hushaniya. Ci era stato proibito di entrare a Ramataniya. All’inizio mio padre si intrufolò ancora per mungere le mucche, ma una volta ritornò sconvolto e raccontò che i soldati gli avevano sparato. Disse che era un miracolo che fosse tornato indietro salvo; aveva visto un altro paesano colpito. Il giorno dopo ebbe il coraggio di sgattaiolare indietro, portò le mucche fuori dalla stalla e in una coperta avvolse alcune vecchie fotografie , dei libri sacri e dei gioielli di mia madre che erano stati nascosti.
“Fu il giorno successivo o quello dopo che i soldati israeliani radunarono tutte le persone che erano rimaste a Hushaniya. Ricordo che parlarono lungamente con mio padre e con gli altri uomini. Poche ore dopo eravamo su una automezzo per Quneitra.”
Ultimi abitanti
Da luglio a tutto settembre, si videro ancora civili siriani spostarsi o si nascondersi nel Golan, ma l’esercito si dette da fare per limitare i loro spostamenti. Il 4 luglio, Dado Elazar promulgò l’ordine di coprifuoco per i civili in tutto il Golan “tra le 6 pomeridiane e le 5 del mattino.” Emise anche altri due ordini che limitavano gli spostamenti dei civili. L’uno si riferiva al sconfinamento degli abitanti di Quneitra entro la parte cristiana della città. Il secondo dichiarava che diversi villaggi sarebbero stati considerati “aree chiuse” e proibiva l’ingresso o l’uscita dei civili da un gran numero di località del Golan centro-meridionale.
Menahem Shani, uno dei primi componenti del gruppo ristretto Nahal che si insediò ad Aleike, giunse in zona durante questo periodo di tempo. “Il nostro primo compito fu quello di radunare gli animali abbandonati sparsi per tutto il Golan. Per lo più c’erano mucche, ma c’erano anche pecore e capre. La maggior parte degli abitanti dei villaggi erano fuggiti e avevano lasciato gli animali liberi di vagabondare.”
Notizie dei giornali del tempo riferiscono che vennero radunati più di 2.000 capi di bestiame e 40 di cavalli. “Noi ci sistemammo in una parte del territorio che allora era “nel cuore dell’accordo”, “ continua Shani. “La gente ci guardava con ammirazione. Ci sentivamo come dei pionieri. Dado insisteva sempre che il tenersi attaccato alla terra significava ararla.
“Una volta andai su un grande trattore Ellis nell’area del villaggio circasso di Mansura. I siriani avevano l’abitudine di lavorare la terra in piccoli appezzamenti e senza l’utilizzo di macchine; rimovemmo le barriere tra gli appezzamenti per creare campi più estesi che si sarebbero potuti coltivare con il trattore. Quando mi recai a Mansura per abbattere le barriere, venne un abitante del villaggio che si pose lì davanti a questo mostro gigantesco con le mani alzate. Se ne rimase fermo, di fronte a qualcuno che si sentiva completamente nel giusto, e guardava il suo piccolo appezzamento a grano che veniva calpestato dal trattore.”
Ci sono altri resoconti di israeliani che si trovavano nel Golan, in quei mesi iniziali dopo la guerra, che affermano che civili siriani erano stati scoperti anche nei villaggi di Jalabina, Hushaniya, Dabah, Elal, Wasat, Za’ura, ecc.
“Due mesi dopo la guerra c’erano ancora dei contadini che erano rimasti per lavorare la loro terra,” conferma Emmanuel (Manu) Shaker, al quale Elazar aveva assegnato il comando delle Alture del Golan circa un mese e mezzo dopo i combattimenti. Durante la guerra fu testimone del fatto che gli abitanti dei villaggi fuggivano nei campi, e ora il suo compito consisteva nell’evacuarli.
Shaker: “Quando vennero mandati dei nostri soldati di lingua araba a parlare loro per spiegare che se ne sarebbero dovuti andare, loro non sembrarono particolarmente arrabbiati od ostili. Dopo aver chiarito la situazione, li radunammo in un gruppo. Lasciammo prendere loro gli effetti personali che avrebbero potuto portare in uno zaino, e in taluni casi li aiutammo perfino con degli automezzi. La maggior parte se ne andò a piedi e alcuni su carri trainati da cavalli. A Quneitra li consegnammo alla Croce Rossa e alla Nazioni Unite, che si preoccuparono del loro trasporto nella parte siriana del confine. Taluni protestarono o gridarono, ma nessuno fece resistenza o si scontrò con noi.”
Shaker insiste che né lui né le forze che prestarono servizio sotto di lui avevano espulso un solo civile siriano, ma conferma che, in conformità ad un ordine dell’alto comando, ogni abitante di villaggio trovato nell’area sottoposta al suo controllo veniva portato a Quneitra e da lì, in coordinamento con la Croce Rossa e con le Nazioni Unite, veniva trasferito in Siria. Afferma che ci furono solo poche dozzine di casi ti quel tipo.
I portavoce della Croce Rossa sostengono che a ogni civile che loro [gli israeliani] trasferirono in territorio siriano dopo la guerra chiesero di firmare un documento nel quale attestava che ciò che stava facendo era di sua spontanea volontà. Ma loro non mostreranno i documenti sottoscritti o ogni tipo di informazione attestante il numero delle persone trasferite in Siria in queste circostanza, fino a che non siano trascorsi 50 anni.

Nessun ritorno

Entro la fine dell’estate del 1967 era molto difficile che ci fossero rimasti dei civili siriani sulle Alture del Golan. Le forze dell’IDF avevano impedito ai residenti che erano partiti di ritornare, e quelli che erano restati in dietro erano stati evacuati in Siria. Il 27 agosto, il Comando Generale dell’IDF promulgò un ordine nel quale 101 villaggi del Golan venivano classificati come “abbandonati” e che era vietato l’ingresso in essi. Tutti coloro che avessero violato questo ordine “erano soggetti a cinque anni di pena detentiva o a una multa di 5.000 lire, o entrambe.”
Ogni due settimane venne presentata una relazione concernente la vita dei civili nel Golan sotto l’amministrazione dell’esercito. Circa a metà di settembre, una relazione di questo tipo dichiara: “Le nostre forze hanno aperto il fuoco 22 volte per scacciare dei pastori e degli infiltrati che si arano avvicinati agli avamposti. Sono stati fermati tre infiltrati siriani e uno libanese per sottoporli a interrogatorio. “E’ importante notare che è stato esplicitamente confermato che si trattava di tre civili disarmati.
La precedente relazione dichiara anche che: “Rispetto alle settimane passate, è diminuito il numero degli infiltrati provenienti dal territorio siriano a causa dello stato d’allerta delle nostre forze che sparano su [coloro] che si avvicinano.”
Questo e ogni altro rapporto ha in elenco pochi incidenti. Il 22 di settembre, ad esempio, “un’ispezione della Golani ha individuato 15 persone a Dabah. Un mezzo dell’esercito è uscito dirigendosi verso il villaggio e ha sparato nella loro direzione. A seguito della sparatoria, essi sono fuggiti.”
In queste due settimane l’esercito ha setacciato 7 villaggi, tutti sono stati scoperti abbandonati. Secondo il rapporto, anche in questo periodo 24 persone sono state trasferite in territorio siriano dalla Croce Rossa.
Il rapporto delle due settimane successive, all’inizio di ottobre, fece riferimento a più di 20 incidenti di truppe che hanno aperto il fuoco per tener lontani degli infiltrati. Il 3 ottobre, ”l’avamposto 7 nell’area di Salita ha aperto il fuoco su una donna araba e suo figlio, che avevano cercato di attraversare il confine per entrare in Siria. Dopo la sparatoria, i soldati hanno cercato di arrestarli, ma erano scomparsi.” L’8 ottobre, l’avamposto 10 nell’area di Ufaniya ha fatto fuoco sparando tre raffiche su delle mucche e un pastore disarmato: “Il gregge e il pastore sono fuggiti.”
Nelle stesse due settimane, una pattuglia dell’amministrazione militare ha trovato a Katzrin una famiglia composta dal padre, quattro bambini e un vecchio paralizzato; il rapporto ha riferito che quest’ultimo era stato trasferito in Siria, ma non veniva detto che cos’era capitato al resto della famiglia. In quel periodo erano state emesse incriminazioni anche nei confronti di 14 residenti nel Golan – sette per aver cercato di entrare dal territorio siriano e sette per averlo voluto attraversare in direzione opposta.
La censura aveva proibito la pubblicazione di tutti gli avvenimenti inclusi nelle relazioni di quell’epoca, mentre gli incidenti nei quali le forze dell’IDF si erano scontrate con civili armati o con combattenti ricevevano un’ampia copertura mediatica.
Il 3 ottobre, nel sommario di un incontro del comitato responsabile per gli affari civili “nell’area occupata” tenutosi nell’ufficio del ministro della difesa, c’era una rara svista di scrittura che il verbale aveva corretto: “L’espulsione sarà portata a termine in base delle direttive relative a impedire l’infiltrazione ( e non com’era scritto, in base alla “legge” che è applicabile solo in Israele).
Tuttavia, in via ufficiale Israele ha continuato a negare ogni evacuazione o espulsione di civili. Nel suo pezzo su Life Magazine, Moshe Dayan scrisse che dopo la guerra, la Croce Rossa si era rivolta a Israele perché venisse concesso il permesso agli abitanti del Golan di ritornare ai loro villaggi, ma che il governo siriano stesso non aveva supportato tale richiesta, ma piuttosto si era preoccupato unicamente di “rinnovare la guerra contro Israele.”
Dayan aggiunse che se ci fosse stato un inverno rigido, era in dubbio se molte delle case nei villaggi abbandonati sarebbero rimaste in piedi, siccome erano state danneggiate durante i combattimenti. Alcune risultavano danneggiate, altre parzialmente distrutte nel combattimento e le baracche di fango bituminoso avrebbero avuto bisogno di essere puntellate prima delle piogge.
Di fatto, molte delle case nel Golan non superarono il primo inverno. Le casette collassarono, come aveva predetto Dayan. L’estate successiva, le pietre finemente tagliate degli edifici vennero raccolte per la costruzione di avamposti militari. W
(tradotto da mariano mingarelli













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