Chiamata da Benjamin


Non sono il tipo che rifiuta le telefonate anonime. Qualche giorno fa ne ho ricevuta una mentre camminavo sulle terre espropriate del villaggio di Nabi Samuel, verso le case dei palestinesi a cui le autorità israeliane impediscono qualsiasi costruzione.

È il villaggio che negli ultimi quarant’anni non ha potuto avere una roulotte per l’ambulatorio medico né espandere il monolocale che ospita la scuola. Famiglie composte da quindici o venti persone vivono in due o tre stanze.

Una famiglia con cui ho parlato era stata costretta a trasformare la rimessa delle capre in una stanza per sei persone. Mi hanno fatto promettere che non avrei parlato del loro abuso edilizio. Temevano che l’esercito isrealiano arrivasse per distruggere la stanzaMentre mi avvicinavo all’ex rimessa delle capre, è arrivata la telefonata. Una voce familiare mi è risuonata nell’orecchio: “Shalom, sono Benjamin Netanyahu”. Era un messaggio registrato. Seguiva un lungo discorso nel quale il primo ministro prometteva di riprendere l’edificazione nelle colonie subito dopo la fine del periodo di congelamento (26 settembre).

Le telefonate sono solo uno dei molti strumenti di pressione usato dalla potente lobby dei coloni. Mandano anche degli sms in cui si parla della crescita naturale dei coloni e del loro diritto di espansione. La fonte degli sms non rivela l’intero numero, ma un codice che – chissà se volutamente – è 1948. L’anno in cui le forze armate israeliane eseguirono l’espulsione di massa del popolo palestinese

Chiamata da Benjamin

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