Annette Herskovits :Nazismo, sionismo e mondo arabo . Gli Arabi e l'Olocausto


L’architettura intricata e tentacolare dell’inganno che plasma la visione del conflitto israelo-palestinese negli Stati Uniti è probabilmente unica nella storia.  Per più di sei decenni il Congresso degli Stati Uniti, presidenti consecutivi, media e opinione pubblica hanno tutti sostenuto una narrazione che ritrae Israele come totalmente buono e innocente, mentre dipinge quelli che resistono alla sua violenza e ingiustizia come antisemiti, nazisti e terroristi. Il mito che Israele sia la vittima di attacchi non provocati degli arabi incivili persiste, anche di fronte alla brutalità di Israele e alle sue violazioni della legge internazionale nell’occupazione dei Territori Palestinesi che dura da 44 anni.
La presa di questa finzione sulla mentalità collettiva statunitense riflette un insieme di cause: il senso di colpa dell’occidente per l’olocausto, la teologia proto-sionista delle sette evangeliste statunitensi, gli interessi imperiali statunitensi per le riserve petrolifere del Medio Oriente e la diffidenza e il disprezzo consolidati nei confronti degli arabi e dei mussulmani.
La propaganda prodotta dalla classe dirigente israeliana e statunitense rovescia la realtà. E’ materiale grossolano, manifestamente falso per chiunque voglia guardare informazioni pubblicate da una moltitudine di media e organizzazioni  per i diritti umani rispettate. Ma le omissioni e le vere e proprie menzogne sono probabilmente una tattica deliberata: negare, negare … confondere, confondere … Come la realizzazione di “situazioni di fatto sul campo” (insediamenti, strade, ecc.), fa guadagnare tempo. La speranza è che la potenza di Israele sarà alla fine così radicata nel “Grande Israele” che nessuno si ricorderà che i palestinesi abbiano mai vissuto là.
La giustezza della causa palestinese è sempre più riconosciuta in occidente, particolarmente a livello di base. Ciò è dovuto, soprattutto, al coraggio e alla perseveranza degli stessi palestinesi. Ma va dato merito anche agli studiosi – arabi, ebrei e altri – che contrastano la narrazione menzognera. Uno di tali studiosi è Gilbert Achcar, un libanese di nascita, professore all’Università di Londra e autore di numerosi libri sul Medio Oriente e sulla politica estera statunitense.
Una campagna di diffamazione
Il più recente libro di Achcar ‘The Arab-Israeli War of Narratives’  (Henry Holt and Company, 2010) [La guerra arabo-israeliana delle narrazioni] è un ambizioso tentativo di presentare una storia accurata degli atteggiamenti arabi nei confronti del nazismo, degli ebrei e dell’Olocausto. Rifiuta la storia narrata dagli zeloti filo-israeliani, che attribuiscono l’ostilità del mondo arabo nei confronti di Israele non alle azioni di Israele bensì all’odio degli arabi nei confronti degli ebrei: odio, essi sostengono, che ha origine nell’Islam ed è prosperato con la collaborazione degli arabi con i nazisti durante la seconda guerra mondiale.
Il libro ha avuto una buona accoglienza tra gli specialisti in studi ebraici e sul Medio Oriente e Achcar è stato invitato a tenere conferenze in molti campus universitari. Ciò ha scatenato l’ira di David Horowitz, fondatore del Centro Horowitz per la Libertà, la cui missione dichiarata consiste nel “combattere i tentativi della sinistra radicale e dei suoi alleati islamici per distruggere i valori statunitensi e disarmare questo paese … L’offensiva della sinistra è principalmente evidente nei campus della nostra nazione, dove il Centro per la Libertà protegge gli studenti dall’indottrinamento e dalle molestie politiche.”
Lo scorso novembre un articolo sul FrontPage Magazine, una rivista in rete prodotta e pubblicata da Horowitz, ha lanciato una campagna diffamatoria contro Achcar. Concentrato su una presentazione di Achcar sotto gli auspici degli Studi sul Medio Oriente dell’Università della California di Berkeley, l’articolo è comparso su una schiera di siti web affini, quali quello di Campus Watch [Osservatorio del campus], un’organizzazione fondata da Daniel Pipes, uno dei principali fornitori, con Horowitz, di materiale islamofobo e di copertura per Israele. [1]
Un altro attacco diretto contro la conferenza di Achcar al Dipartimento di Studi Ebraici dell’Università della California a Davis è venuto da BlueTruth, un blog dedito a “confutare le accuse e a denunciare le menzogne che sono raccontate … a proposito di Israele, degli ebrei e delle organizzazioni filo-israeliane …” Una simile menzogna, a giudicare dall’articolo, è che Israele è stato “edificato su terra araba”.
Da figlia di padre e madre assassinati ad Auschwitz ed io stessa sopravvissuta al barbaro nazionalismo nazista grazie al coraggio di un gruppo di cattolici, protestanti, comunisti ed ebrei, trovo immorale e insensata l’idea che difendere lo “Stato ebraico” sia superiore a tutti gli altri obblighi morali. Niente, nemmeno l’Olocausto, giustifica il trattamento riservato da Israele ai palestinesi o i costanti sforzi degli zeloti filo-israeliani di dimostrare che gli arabi e i mussulmani sono meno che umani.  Israele e i suoi sostenitori incondizionati sono su una via che conduce alla catastrofe, non solo per i palestinesi, ma, in un futuro non molto distante, per Israele stesso.
Gli arabi e l’Olocausto
Nel suo discorso a Berkeley, Achcar ha detto che lo scopo principale del libro consiste nello smontare l’immagine, dominante in occidente e in Israele, degli arabi come filonazisti. Basandosi su una serie estesa di fonti originali e di studi storici, Achcar presenta un “mondo arabo” con una gran diversità di convinzioni e opinioni, una molteplicità di correnti ideologiche in evoluzione, proprio come in occidente. I molti paesi arabi non sono popolati da una massa indistinta di milioni di persone animate da un odio ancestrale contro gli ebrei. “Gli arabi”, scrive Achcar, non esistono “come gruppo politico e intellettuale uniforme.” [2]
La prima parte del libro di Achcar copre il periodo che va dal 1933, quando Hitler salì al potere, alla fondazione di Israele nel 1948.  All’epoca i “liberali occidentalizzanti” e i marxisti assunsero una posizione forte contro il nazismo e l’antisemitismo. Nei vari movimenti nazionalisti arabi la simpatia per l’Asse variava ma in generale era bassa e l’opposizione al sionismo non si traduceva in odio contro “gli ebrei”. E’ solo tra “i reazionari e/o i pan-islamisti fondamentalisti” che si potevano riscontrare un antisemitismo e un sostegno al nazismo significativi.
Numerosi studi recenti lo confermano. Ad esempio, il libro di Achcar cita Israel Gershoni, un professore di Storia Mediorientale all’Università di Tel Aviv, che ha scritto negli anni ’30:
La maggioranza predominante delle voci egiziane – nell’arena politica, nei circoli intellettuali, tra le classi medie professionali, istruite e urbane e persino nelle culture popolari alfabetizzate – rifiuta il fascismo e il nazismo sia come ideologie sia come prassi e come “nemici del nemico.” [3] [un riferimento al detto “il nemico del mio nemico è mio amico”, un’idea che in effetti determinò un certo sostegno alla Germania nazista tra gli arabi che vivevano sotto il giogo della colonizzazione francese e inglese.]
Questi ritratti degli arabi come eredi del nazismo usano come “prova” un unico episodio particolare: il “pogrom” di Baghdad del 1941 (il Farhud).  Nell’aprile 1941, nazionalisti iracheni filotedeschi condussero un colpo di stato contro il reggente filo britannico dell’Iraq.  La propaganda della legazione tedesca, rinvigorita dalla presenza del Mufti filonazista di Gerusalemme, aveva montato un sentimento antiebraico a Baghdad.  Le forze inglesi invasero l’Iraq, misero in fuga il governo filotedesco, e si assicurarono Baghdad ma le loro truppe restarono posizionate nei sobborghi.  Circolarono voci che gli ebrei stavano aiutando gli odiatissimi inglesi. Seguirono due giorni di uccisioni e saccheggi; furono uccisi circa 180 ebrei. I rivoltosi furono fermati quando le truppe irachene entrarono a Baghdad e ristabilirono l’ordine, uccidendo molti nella folla.
Achcar osserva che la gran maggioranza degli iracheni mussulmani condannò la violenza e che molti protessero i loro vicini ebrei a rischio della propria vita. All’azione si erano uniti saccheggiatori provenienti dai quartieri degradati, spinti dal bisogno piuttosto che da un sentimento antisemita.  Con il reggente di nuovo in carica, il governo iracheno offrì risarcimenti alle famiglie delle vittime ebree.
Il resoconto del Fahrud secondo Achcar concorda con quello di numerosi autori, come Nissim Rejwan, un autore israeliano originario di Baghdad. [4] Ci sono scarse prove che il Fahrud sia stato indicativo di un odio diffuso e profondamente radicato nei confronti degli ebrei nell’intero “mondo arabo”.  Si noti che nessun disordine antiebraico si è verificato in alcun paese arabo durante la seconda guerra mondiale, nonostante gli appelli alla jihad trasmessi da Berlino dal Mufti dal novembre 1941 in poi.
In realtà gli arabi svolsero un ruolo davvero notevole nello sconfiggere Hitler, un fatto cancellato dai francesi dopo la guerra con tale meticolosità che non ne ho saputo nulla in 15 anni di studi in Francia. Come parte dell’esercito della Francia Libera di De Gaulle, le truppe arabe del Nord Africa francese contribuirono in misura massiccia alla liberazione dell’Europa. Si batterono, con grandi perdite, al fianco degli Alleati dallo sbarco in Sicilia nel luglio 1943 all’invasione della Germania nel 1945. Ad esempio, 233.000 dei 550.000 soldati della Francia Libera sbarcati nel novembre 1944 sulla costa mediterranea della Francia occupata dai nazisti erano nordafricani mussulmani. [5]
La seconda parte del libro di Achcar fa risalire l’ascesa dell’antisemitismo nel mondo arabo a dopo la fondazione di Israele nel 1948. Temi antisemiti occidentali, come la “cospirazione ebraica internazionale” dei falsi Protocolli degli Anziani di Sion, si fecero strada nel dibattito pubblico.  Achcar non giustifica né minimizza l’antisemitismo arabo. Egli deplora la “stupidità abissale” di questi “deliri antisemiti o insensate negazioni dell’Olocausto”. Ma queste farneticazioni indicano un desiderio arabo di sterminare gli ebrei, un progetto che si suppone ereditato dai nazisti? Tali affermazioni sono assurde, secondo Achcar e molti altri. Nissim Rejwa, ad esempio, scrive:
Né la loro cultura religiosa né i loro precedenti storici danno credito alla pretesa che gli arabi mussulmani di oggi siano capaci del genere di compimenti storici che trovarono espressione in Auschwitz e in altri campi di sterminio nazisti … Considerata in una prospettiva che almeno si approssimi alla correttezza storica, l’idea di una “Auschwitz araba” è un’assurdità.” [6]
E, naturalmente, ci sono deliri paralleli nel discorso politico israeliano/ebraico: riferirsi agli arabi con nomi di animali, chiedere la loro espulsione e il loro annientamento, e così via. Si veda la famigerata dichiarazione del generale israeliano Rafael Eitan: “Quando avremo colonizzato il territorio tutto quello che gli arabi saranno in grado di fare sarà di agitarsi inutilmente come scarafaggi drogati in una bottiglia.” [7]
Achcar scrive: “Oggi ci sono più antisemiti tra gli arabi che presso qualsiasi altra popolazione per motivi storici ovvii.” [corsivo mio] [8] Questi motivi storici, che sono davvero ovvii, se non fossero continuamente offuscati dagli apologeti filoisraeliani, includono: la pulizia etnica israeliana di 750.000 arabi palestinesi nel 1948-49 e la sua sistematica distruzione di 418 villaggi palestinesi per impedire il ritorno dei profughi; la creazione di 300.000 ulteriori profughi nel 1967; un’occupazione brutale e tirannica accompagnata da continue pulizie etniche da allora e atrocità contro le popolazioni civili in guerre nella West Bank, nella Striscia di Gaza e in Libano.
L’antisemitismo arabo contemporaneo non è odio immotivato, atavico. Esso è radicato nella rabbia per le politiche concretamente aggressive e distruttive di Israele. Persino Bernard Lewis, uno storico che ha favore dei difensori di Israele ha scritto “per gli antisemiti cristiani il problema palestinese è un pretesto e un canale per il loro odio; per gli antisemiti mussulmani è la causa.” [9] Si rimuova la causa, cioè si ponga fine all’etnocentrismo e all’espansionismo di Israele, e l’antisemitismo arabo probabilmente svanirà.
Achcar mostra come l’antisemitismo arabo sia “reattivo” e modificabile, dipendente dalle azioni di Israele, dalla sua violenza, dalla sua propaganda (ad esempio chiamare “nazisti” gli arabi) e dalle particolari situazioni storiche e politiche dei vari paesi arabi/mussulmani. Non è “l’odio nei confronti degli ebrei basato sull’immaginario che fu, ed è, tipico dei razzisti europei.” [10]
Suppongo che ‘The Arabs and the Holocaust’ sia stato scritto avendo in mente un pubblico arabo e anche uno occidentale.  Il libro è stato tradotto in arabo ed è, tra l’altro, un tentativo di gettare dei ponti, un appello a tutte le parti ad ascoltarsi reciprocamente. Egli scrive:
“E’ la fede nella ragione umana che giustifica la speranza che quella che costituisce la verità su un lato della Linea Verde o, piuttosto, del muro di separazione, non rappresenti per sempre un errore sull’altro lato.” [11]
In conclusione, descrivendo il “sionismo statalista” come “un Giano bifronte, con una faccia rivolta all’Olocausto e l’altra rivolta alla Nakba, una rivolta alla persecuzione subita, l’altra alla persecuzione inflitta”, Achcar torna al bisogno che ciascuna parte riconosca le sofferenze dell’altra:
“Solo il riconoscimento di entrambe le facce di Giano – l’Olocausto e la Nakba – può portare gli israeliani, i palestinesi e gli altri arabi a un dialogo sincero.” [12]
Il libro di Achcar evidenzia una conoscenza formidabile delle correnti di pensiero di entrambi i lati della divisione arabo/ebraica nonché una brillante mente analitica. Collocando gli atteggiamenti arabi nei confronti dell’Olocausto nel loro contesto storico e psicologico, egli apre ai lettori occidentali ottiche che vanno al di là della visione piatta e deformata dei principali media statunitensi. Egli comprende le ferite storiche degli ebrei e ne ha compassione. La sua integrità e apertura risplendono in tutto il testo.
Hasbara
Gli autori dell’articolo su FrontPageMag, Cinnamon Stillwell e Rima Greene, sembrano non interessati al contesto storico. Essi mischiano allusioni, distorsioni e falsità, citazioni fuor di contesto e citazioni distorte e poi aggiungono una tesi dogmatica o l’altra. Non contrastano in alcun punto Achcar con prove contrarie. Parlano invece in termini generici, ad esempio il libro di Achcar “maschera le sue conclusioni bizzarre con un apparato colto mentre conferma i pregiudizi dell’inclinazione a sinistra, anti-israeliana degli studi accademici sul Medio Oriente.”
L’ “Hasbara Handbook: Promoting Israel on Campus” [Manuale dell’hasbara: promozione di Israele nei campus] (hasbara è il termine ebraico per ‘pubbliche relazioni” o “propaganda”), pubblicato nel 2002 dall’Unione Mondiale degli Studenti Ebrei, consiglia come guadagnare punti “evitando una vera discussione”: invece di affrontare la tesi dell’avversario, fare “il maggior numero possibile di commenti positivi su Israele attaccando contemporaneamente determinate posizioni palestinesi e cercando di mantenere un aspetto dignitoso”;  ripetere i propri punti in continuazione, “se la gente sente qualcosa abbastanza frequentemente, finisce per crederci:” La stessa tattica sembra essere utilizzata nella stesura della maggior parte degli articoli di FrontPageMag.
Nakba e Olocausto
Stillwell e Greene scrivono: “Achcar ha terminato traendo una correlazione asinesca tra l’Olocausto … e la ‘Nakba’ o ‘catastrofe’, il termine arabo che descrive la creazione dello stato di Israele: ‘La Shoah è finita nel 1945, ma la sofferenza dei palestinesi è senza fine.’”
In realtà, Achcar, nel suo discorso ha caratterizzato la Nakba come “fortunatamente non un genocidio, ma quello che potremmo chiamare un atto di pulizia etnica.” Ha proseguito affermando che un dialogo che realmente conduca alla pace richiede
“il mutuo riconoscimento delle tragedie di ciascuno senza porle sullo stesso piano … poiché la dimensione dell’Olocausto non può essere paragonata a quella della Nakba … Ciò nonostante questo non riduce l’importanza di ciò che i palestinesi hanno sofferto. Non solo le traversie dei palestinesi stanno continuando … ma essi sono passati attraverso … il genere peggiore di esperienza proprio di recente, nell’inverno 2008-2009 a Gaza.”
Nel suo libro Achcar condanna il non operare “distinzioni tra l’usurpazione colonialista di un territorio e lo sterminio razzista di un’intera popolazione.” [13] Egli cita Edward Said: “Chi vorrebbe parificare moralmente lo sterminio di massa con l’espropriazione di massa?” [14] Ma egli afferma anche che la sofferenza palestinese continua e sta diventando peggiore.
In realtà è raramente utile paragonare l’Olocausto alle sofferenze dei palestinesi; non ci aiuta a capire la realtà né dell’una né dell’altra esperienza. Sono trascorsi 64 anni dalla Nakba, 64 anni durante i quali i palestinesi sono stati sottoposti ad altre guerre, espulsioni ed espropri. Sono stati loro negati i diritti politici, economici e i diritti umani. Attualmente a Gaza 1,5 milioni di persone, metà di loro bambini, sono imprigionate dietro un recinto alto 25 piedi (più di 7,5 metri – n.d.t.) e regolarmente attaccate da droni israeliani ed elicotteri Apache, uccisi dal fuoco di blindati e cecchini ai confini di Gaza; nella West Bank, i palestinesi sono cacciati dalla loro terra per far spazio ai coloni israeliani che molestano e uccidono con impunità; e Gerusalemme Est sta diventando “giudaizzata”, cioè svuotata dai suoi abitanti palestinesi.
Questo non è un genocidio, ma qual è il termine per definirlo?
Razzismo antiarabo in Israele
Stillwell e Greene affermano che, diversamente dall’antisemitismo nel mondo arabo, “gli atteggiamenti antiarabi in Israele non sono né diffusi, [né] promulgati attraverso l’istruzione statali e altri mezzi ufficiali.”  Ma tutti i sondaggi degli ebrei israeliani rivelano profondi sentimenti antiarabi.  Ad esempio, l’Israel Democracy Institute ha pubblicato nel gennaio 2011 un sondaggio che ha rilevato che quasi la metà degli ebrei israeliani non vuole vivere accanto a vicini arabi. [15] Il razzismo è più forte tra i giovani: il giornaleYedioth Adronoth  ha riferito che gli insegnanti di educazione civica di tutto il paese lamentano un razzismo antiarabo rampante e virulento tra gli studenti ebrei. [16]
Nuri Peled-Elhanan, una professoressa israeliana di educazione civica e autore di un libro sui testi scolastici israeliani [17], pensa che l’”istruzione fornita dallo stato” sia la principale responsabile della promozione del razzismo. Intervistata dal Guardian, ha affermato che i testi scolastici israeliani descrivono gli arabi “come ignobili, devianti e criminali, gente che non paga le tasse, che vive da parassita dello stato, che non vuole lo sviluppo … La sola rappresentazione è quella di profughi, agricoltori primitivi e terroristi.”
Lei ha aggiunto: “Una domanda che preoccupa molti è come spiegare il crudele comportamento dei soldati israeliani nei confronti dei palestinesi, l’indifferenza nei confronti delle sofferenze umane, l’imposizione di sofferenze … Penso che il principale motivo di ciò sia l’istruzione.”
“Altri mezzi ufficiali” per promulgare il razzismo includono leggi che sono le fondamenta stesse dello stato israeliano: la Legge del Ritorno, del 1952, e la Legge sulla Cittadinanza, del 1952, che consentono a ogni ebreo del mondo di immigrare in Israele e diventare cittadino israeliano. Queste stesse leggi vietano il ritorno dei palestinesi che furono costretti a fuggire dalle loro case dal 1947 al 1952. Questa ingiustizia può essere apparsa sensata a quelli che in occidente avevano vissuto gli anni successivi alla seconda guerra mondiale, quando gli orrori dell’Olocausto e la generale accettazione del colonialismo rendevano quasi tutti ciechi di fronte alle ingiustizie perpetrate contro gli arabi palestinesi. Ma è di gran lunga scaduto il tempo per guardare alla situazione con gli occhi dei palestinesi.”
Le leggi più recenti dimostrano che il razzismo sta diventando sempre più istituzionale in Israele. Adalah, il Centro Legale per i Diritti della Minoranza Araba in Israele, riferisce che “l’attuale coalizione di governo ha proposto un’alluvione di nuove proposte di legge razziste e discriminatorie”.  Una di tali leggi legalizza “i comitati di ammissione” che operano in circa 700 piccole città, consentendo loro di respingere le richieste “inadatte alla vita sociale della comunità … o al tessuto sociale e culturale della città”; per “candidati inadatti” si devono intendere principalmente “gli arabi”. [18]
Negazione dell’Olocausto, negazione della Nakba
La recente legge israeliana sulla Nakba vieta, in effetti, la commemorazione pubblica della Nakba.  Israele ha depositato una protesta quando il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, ha usato il termine in una conversazione telefonica con Mahmoud Abbas nel maggio del 2008, il sessantesimo anniversario della Nakba.  Tzipi Livni, allora ministro degli esteri di Israele, dichiarò: “I palestinesi potranno celebrare una Giornata dell’Indipendenza se, in quel giorno, cancelleranno il termine Nakba dal proprio vocabolario.”
Parlando con la sua consueta sicurezza gelida, la Lini ha essenzialmente detto alla minoranza araba di chiudere il becco a proposito di un fatto che nessuno storico nega, nemmeno lo storico sionista Benny Morris che ha affermato: “Non penso che le espulsioni del 1948 siano state dei crimini di guerra. Non si può fare una frittata senza rompere le uova.” [19] Poiché lei parla da ministro del governo di uno stato con un esercito molto potente e diverse centinaia di armi nucleari, le sue pronunce sono allarmanti.
La Livni rende chiaro in modo accecante che Israele non è una democrazia per tutti i propri cittadini. Per gli ebrei, sì, anche se i diritti dei dissenzienti vengono sempre più limitati. In effetti, “uno stato ebraico e democratico” è un ossimoro, indipendentemente da quanto inchiostro sia stato consumato per negarlo; uno stato così definito deve privilegiare gli ebrei sugli altri cittadini. Ed essere ebraico è diverso dall’essere, ad esempio, francese. Si può diventare francesi partecipando alla vita comunitaria del paese per cinque anni, ma non c’è modo di diventare ebreo e aver titolo alla Legge del Ritorno eccetto che convertendosi al giudaismo o essendo “figlio o nipote di un ebreo, coniuge di un ebreo/a, coniuge di un figlio di un ebreo/a e coniuge di un nipote di un ebreo/a.”
Israele: innocente, vittima, diffamato …
Gail Rubin J.D., autore dell’articolo su BlueTruth, blatera indignato contro Achcar per la sua descrizione di Israele come “progetto di insediamento coloniale” edificato su “terra araba” e per aver accusato “i sionisti di pulizia etnica dei palestinesi.”
Che Israele sia stato edificato su terra araba, acquistata o confiscata, è innegabile. Quanto alla “pulizia etnica”, Benny Morris, che nei suoi primi libri sosteneva che i palestinesi erano fuggiti a causa della guerra, ora ammette il ruolo di una politica sionista deliberata: “Ho concluso che il pensiero anteriore al 1948 ha avuto un grande effetto su ciò che è accaduto nel 1948 di quanto io abbia ammesso …” [20]
In ogni caso nessuno nega che Israele abbia impedito il ritorno dei profughi, una violazione della legge internazionale. E’ stata politica israeliana sparare agli “infiltrati” palestinesi che cercavano di ritornare di notte nei loro villaggi. Centinaia di villaggi sono stati distrutti per cacciare il ritorno dei loro ex abitanti.
Le tesi a proposito della natura coloniale dello stato d’Israele assumono solitamente la forma di pedanterie semantiche. Il sociologo Maxime Rodinson, un ebreo francese che per primo ha rotto il tabù riguardo al definire Israele uno “stato coloniale d’insediamento”, conclude così il suo notevole saggio del 1967:
… la creazione dello Stato d’Israele su suolo palestinese è il culmine di un processo che si adatta perfettamente al movimento di espansione europeo-statunitense dei secoli diciannovesimo e ventesimo il cui scopo è consistito nell’insediare nuovi abitanti in seno ad altri popoli o a dominarli economicamente e politicamente. Questa è, inoltre, una diagnosi ovvia, e se ho impiegato tante parole per dichiararla è solo a causa degli sforzi disperati che sono stati compiuti per celarla.” [21]
Stillwell e Greene raccomandano una recensione del libro di Achcar da parte degli “atipici professori” Matthias Küntzel e Colin Meade. La lunga recensione [22] riprende i temi del libro di Küntzel ‘Jihad and Jew-hatred: Islamism, Nazism and the Roots of 9/11’  [La jihad e l’odio contro gli ebrei: islamismo, nazismo e le radici dell’11 settembre] quali ad esempio: i movimenti islamisti – al-Qaeda, Hamas, Hezbollah, il regime iraniano – hanno avuto origine dal collegamento letale tra islamismo e nazismo; gli arabi hanno ereditato “l’antisemitismo sterminatore” dei nazisti; il jihadismo e l’antisemitismo jihadista sono oggi le maggiori minacce per il mondo.  Secondo Achcar il suo libro “è una narrazione di fantasia in cui si mescolano fonti secondarie e narrazioni di terza mano.” [23]
Secondo Küntzel, la responsabilità del conflitto israelo-palestinese è tutta dei palestinesi e degli arabi:
… non è stata l’intensificazione del conflitto mediorientale a far crescere l’antisemitismo; è stato piuttosto l’antisemitismo che ha determinato l’intensificazione del conflitto mediorientale … sempre più … In realtà ciò cui stiamo assistendo è il risorgere dell’ideologia nazista in una veste nuova.” [24]
Questa è ancora un’altra versione del mito che Israele agisce solo in reazione all’aggressione araba. In realtà, dopo la conquista del territorio e l’espulsione degli abitanti arabi nativi, Israele ha continuamente fatto molto del male agli arabi e ai mussulmani – principalmente ai palestinesi, ma anche a quelli che vivono negli stati confinanti – attraverso azioni che non possono essere attribuite alla necessità israeliana di sopravvivere. Si considerino l’annessione di Gerusalemme, una città sacra all’Islam; l’occupazione dei territori palestinesi e delle alture del Golan; e le guerre, quali quella contro il Libano nel 2006, una presunta reazione al rapimento di due soldati israeliani, che ha avuto come conseguenza 1.200 morti libanesi, quasi tutti civili.
Un esempio fornisce una prova forte del fatto che gli arabi non hanno ereditato la volontà sterminatrice dei nazisti. L’Iniziativa Araba per la Pace del 2002, sottoscritta nuovamente all’unanimità dalla Lega Araba nel 2007 [25], chiede a Israele di ritirarsi dai territori occupati dopo il 1967 e la creazione di uno stato palestinese sulla West Bank e la Striscia di Gaza, con Gerusalemme Est come sua capitale.  I paesi arabi s’impegnerebbero allora a stabilire relazioni normali con Israele e a provvedere alla sicurezza di tutti gli stati della regione. Israele viene pregata di accettare l’iniziativa per consentire “ai paesi arabi e a Israele di vivere in pace e in rapporti di buon vicinato e di garantire sicurezza, stabilità e prosperità alle nazioni future.”  L’iniziativa sollecita una “giusta soluzione del problema dei profughi palestinesi” ma esprime sostegno a qualsiasi soluzione negoziata tra Israele e i palestinesi.
E’ difficile rinvenire antisemitismo sterminatore in tutto questo. Non sorprendentemente, i politici israeliani hanno ignorato l’iniziativa.
Tutti i segni indicano il fatto che Israele non ha mai voluto un’equa soluzione di pace. I governi israeliani, sin dall’inizio di Israele, compresi i governi laburisti, hanno tutti agito per perseguire l’obiettivo di un Grande Israele privo di palestinesi.
Il come e il perché dei controllori di Israele nei campus
I canali di propaganda filoisraeliana come Frontpage Magazine hanno poco peso presso gli studiosi del Medio Oriente, ma sono protagonisti di rilievo nell’appoggiare negli Stati Uniti la visione capovolta del conflitto israelo-palestinese. Usano l’intimidazione per impedire la libertà di espressione nei campus e avvelenano la fonte del dibattito pubblico.
Consigliano agli studenti di prendere note e riferire sui professori, il che intimidisce specialmente i membri di facoltà più giovani e fuori ruolo. Pubblicano sui propri siti web i numeri di telefono e gli indirizzi e-mail dei dipartimenti e delle facoltà che vengono molestati da chiamate telefoniche rabbiose e sommersi da e-mail minatorie.
Pipes e Horowitz incoraggiano lo scontro e la creazione di disturbo, seguiti da proteste circa il fatto che la loro libertà di espressione è impedita.  Ecco dunque il resoconto di Gail Rubin della parte dedicata alle domande e risposte della conferenza di Achcar all’Università della California di Davis:
… le domande impegnative non sono state apprezzate nella fase dedicata a esse.   Io sono stata bruscamente censurata mentre tentavo di stabilire dei fatti per contestare la distorta conclusione di Achcar che l’antisemitismo del Gran Mufti aveva avuto solo un impatto minimo sia sugli ebrei sia sugli arabi. I professori Miller e Biale mi hanno detto rabbiosamente che le domande erano insultanti e di smetterla o andarmene.”
In realtà, secondo la direttrice degli Studi Ebraici, professoressa Diane Wolf, la Rubin era stata chiamata a porre la sua domanda, aveva letto un testo preparato senza alcun rapporto con la conferenza di Achcar e gli aveva chiesto se egli non stesse attribuendo agli ebrei la colpa dell’Olocausto.  Quando lui ha cominciato a dire che era sconvolto e offeso, lei ha tentato di leggere di nuovo la sua dichiarazione. A quel punto il professor David Biale e altri le hanno detto di zittirsi e la professoressa Susan Miller ha spiegato che nell’ambiente accademico si attende la risposta dell’oratore alle domande.  La Rubin poteva andarsene se non era in grado di attenersi a tali regole. Dunque l’interrogante è stata fermata solo quando lei ha interrotto Achcar per ripetere la sua dichiarazione.
In un’intervista successiva alla presentazione di Achcar, la professoressa Emily Gottreich, vicepresidente del Centro per gli Studi Mediorientali a Berkeley, ha commentato che se questi attivisti filoisraeliani del campus fossero davvero interessati al dibattito accademico, presenterebbero il loro dissenso direttamente agli studiosi in un forum pubblico o ai presidi di dipartimento o ai direttori di programma; invece essi si appellano direttamente ai donatori, che tendono a non essere né esperti del Medio Oriente né particolarmente versati nelle regole del dibattito accademico, affinché ritirino i finanziamenti; oppure avvicinano i presidenti o i rettori delle università con accuse di antisemitismo e di erudizione “di parte”.
Campus Watch e il Freedom Center di Horowitz sono soltanto due tessere di una vasta rete di gruppi di pressione filoisraeliani che operano nei campus. La Israel on Campus Coalition [Coalizione di Israele nei Campus] comprende non meno di 33 organizzazioni indipendenti, compreso il Comitato Israelo-Statunitense per gli Affari Pubblici (AIPAC) e la Lega Contro la Diffamazione [ADL, Anti-Defamation League] (ma non le organizzazioni di Horowitz o Pipes il cui lavoro può non adattarsi bene all’immagine della coalizione). La coalizione opera “per impegnare i leader dei college e delle università su temi che interessano Israele e per creare un cambiamento positivo nei campus a favore di Israele.”
Perché questo vasto spiegamento di risorse nei campus? La risposta è semplice. Un recente documento del David Project, dedicato a garantire che “nei campus e nelle nostre comunità prosperi un efficace sostegno a Israele”, afferma: “L’AIPAC ha avuto una storia vincente nella creazione di collegamenti nei campus a futuri membri del Congresso e a leader universitari.” [26] I leader di domani sono nei campus oggi, è questa l’idea, e devono essere raggiunti dalla propaganda di Israele quanto prima possibile.
Cambiare la visione che gli statunitensi hanno dei palestinesi
Philip Weiss, fondatore e co-redattore di Mondoweiss.net, un sito web di notizie e Israele e Palestina, racconta un “convegno” via Skype con la gioventù di Gaza: “La maggior parte delle domande veniva da giovani. Erano domande intelligenti ma leggermente astratte … Poi Rawan Yaghi si è seduto al microfono e ha chiesto: “Cosa si può fare per cambiare la visione che gli statunitensi hanno dei palestinesi?”
Weiss scrive di essere stato travolto dall’emozione da questa “giovane diciottenne dignitosa che indossava occhiali dalla montatura d’acciaio … C’era una tale delicatezza nei suoi modi e la sua domanda … ho combattuto contro un flusso di emozioni per rispondere alla sua domanda: ‘Questa è la domanda più grande di tutte, e non conosco la risposta’”.
Per tutti noi che viviamo all’esterno della prigione di Gaza, la domanda di questa giovane dovrebbe rappresentare un appello a ricordare il male immenso creato dal pregiudizio, dall’ignoranza e dalla demonizzazione. Voci come quella di Gilbert Achcar devono essere udite nei campus e in arene pubbliche più vaste.
Annette Herskovits, sopravvissuta dell’Olocausto e figlia di vittime dell’Olocausto, ha una laurea in linguistica alla Stanford University ed è autrice di ‘Language and Spatial Cognition’ [Lingua e cognizione spaziale] (Cambridge University Press, 1987, 2009). Ha scritto un paio di dozzine di articoli pubblicati sulla Palestina e Israele ed è un’attivista per i diritti dei palestinesi. Altri articoli di Annette [in inglese] qui.
1.Fear, Inc.: The Roots of the Islamophobia Network in America, Center for American Progress, Agosto 2011.
2.Achcar, The Arabs and the Holocaust, p. 33.
3.Israel Gershoni, “Beyond Anti-Semitism: Egyptian Responses to German Nazism and Italian Fascism in the 1930s” (EUI Working Paper no. RSC 20001/32, San Domenico, 2001, p.6.
4.Nissim Rejwan, The Jews of Iraq: 3000 years of history and culture. London: Weidenfeld and Nicolson, 1985.
5.Benjamin Stora, L’armée d’Afrique: Les oubliés de la Libération, ?Volume 692 of Textes et documents pour la classe TDC. ?C.N.D.P., 1995.
6.Nissim Rejwan, Arabs aims and Israeli attitudes. The Leonard Davis Institute, Davis Occasional Papers, No 77, 2000.
7.“Israel Washes Away the Sins of Former Army Chief of Staff,” Washington Report on Middle East Affairs, gennaio/febbraio 2005.
8.Achcar, The Arabs and the Holocaust, p. 274.
9.Bernard Lewis, Semites and Anti-Semites: An Inquiry into Conflict and Prejudice. Reissued with new afterword. New York: W. W. Norton, 1999. p. 259.
10.Achcar, p. 275.
11.Achcar, p. 273.
12.Achcar, p. 291.
13.Achcar, p. 130.
14.Achcar, The Arabs and the Holocaust, p. 26.
15.“Israeli intolerance shows up on Internet, in Knesset, on the street,” Los Angeles Times, 23 gennaio 2011.
16.Tomer Velmer, “Student’s answer on civics test: Death to Arabs,” YNet Magazine, 19 gennaio 2011.
17.Nurit Elhanan-Peled, Palestine in Israeli School Books: Ideology and Propaganda in Education. Library of Modern Middle East Studies, 2012.
18.“The Inequality Report,” Adalah, marzo 2011. Vedere anche  “New Discriminatory Laws and Bills in Israel,” giugno 2011. Entrambi possono essere scaricati da Adalah.
19.“Survival of the Fittest? An Interview with Benny Morris,” with ?Ari Shavit, Logos 3.1, inverno 2004.
20.Birth of the Palestinian Refugee Problem Revisited, p. 5.
21.Maxime Rodinson, Israel: A Colonial-Settler State?, New York: Monad Press, 1973.
22.“In the Straightjacket of Anti-Zionism,” sul sito web di Engage, “una risorsa intesa ad aiutare a contrastare la campagna di boicottaggio contro Israele” Il libro di Küntzel Jihad and Jew-hatred, tradotto da Colin Mead, è stato pubblicato da Telos Press Publishing (2008).
23.Achcar, p. 169-170.
24.Da un discorso tenuto all’Università di Yale “Hitler’s Legacy: Islamic Antisemitism in the Middle East.”

ZNet – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Dissident Voice
traduzione di Giuseppe Volpe
© 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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