Killer di Tolosa : MERAH AVEVA SCOPERTO DI ESSERE UNA PEDINA DEI SERVIZI SEGRETI FRANCESI

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I soldi, i viaggi, i contatti con i servizi segreti. La versione del “lupo solitario che si radicalizza da sé” non regge


© - FOGLIO QUOTIDIANO
Il giovane francese di al Qaida che uccide soldati ed ebrei nella zona di Tolosa è un’operazione dei servizi segreti francesi finita male. Mohammed Merah era un agente al servizio di entrambe le parti, un individuo diviso a metà: una quota in mano all’organizzazione terrorista e una quota in mano ai servizi di sicurezza del governo. Fino a quando nel suo foro interiore la metà in mano all’estremismo, quel partito jihadista che teneva nascosto dentro l’anima, ha prevalso, fino alle stragi e alla morte in casa dopo trenta ore di assedio per mano della polizia. La storia ricorda quella dell’informatore arruolato dai servizi giordani e da questi passato all’intelligence americana che, con il pretesto di voler confidare informazioni sulla posizione dei leader di al Qaida, nel dicembre 2009 fu ricevuto in una base della Cia e si fece saltare in aria uccidendo 7 agenti.

Secondo fonti d’intelligence che hanno parlato con il Foglio, mercoledì, durante l’assedio al numero 17 di Rue du Sergeant Vigné, il suo “handler”, ovvero l’agente dei servizi che aveva il compito di tenere i contatti con lui e di seguirlo nella sua “carriera” all’interno della rete islamista (Merah era membro di un gruppo estremista sciolto d’autorità il mese scorso) è entrato senza problemi nell’appartamento a negoziare una resa che non creasse troppi imbarazzi all’organizzazione che lo gestiva. Una conferma indiretta: secondo la rivista francese Le Point, uno dei prossimi obbiettivi sulla lista di Merah era “un funzionario dei servizi segreti di origine islamica”. Le Point non dà il nome e non spiega perché un giovane spiantato della periferia di Tolosa conoscesse un funzionario d’intelligence e anche la sua professione religiosa. Merah intendeva uccidere il suo contatto con i servizi. C’è anche il sospetto che in un primo momento, dopo i due attacchi consecutivi per strada ai soldati, Merah fosse stato escluso dalla lista dei potenziali terroristi perché considerato “uno dei nostri”.

Anzi: il suo handler gli avrebbe chiesto informazioni sulle uccisioni e sui possibili responsabili, invece che inserirlo tra i nomi da controllare e sorvegliare da vicino – come sarebbe dovuto accadere considerati i suoi precedenti, come i viaggi in zone di guerra.

Il Monde scrive che “permangono dubbi sulla capacità di autofinanziamento di Merah, che da solo si sarebbe pagato armi, affitti di case, viaggi in Asia. Dubbi manifestati anche dal procuratore di Parigi, che ha detto: ‘Il livello di reddito era da Rsa’” (Revenu de Solidarité Active, è il sussidio pubblico di povertà). Scrive ancora il Monde: “Ulteriori indagini sembrano necessarie per capire chi lo aiutava, ma per ora si fermano a una zona grigia”.

Più che le note riservate sui suoi rapporti con i servizi, più che la pista dei soldi, è la storia dei suoi viaggi che travolge la versione finora sostenuta dalla polizia francese, quella di un lupo solitario che all’improvviso decide di abbandonarsi a una catena di uccisioni con finale non aperto. Il procuratore di Parigi, Francois Molins, ha parlato di “auto radicalizzazione di un salafita dal profilo atipico”. In realtà la lista dei timbri sul suo passaporto racconta un percorso strutturato verso il jihad. Il 22 novembre 2010 la polizia afghana lo ferma a Kandahar, la città dell’Afghanistan dove la presenza dei talebani è più forte. Consegnato ai francesi del contingente Nato, è rispedito in Francia. Nel mezzo passa brevemente per le mani degli americani ed è un ufficiale americano che ora dice al Monde: “E’ stato in Israele, in Siria, in Iraq e in Giordania”. Prima dell’arresto, va al consolato indiano di Kandahar e chiede un visto per l’India. Aggiunge una fonte militare francese: è stato anche due volte in Iran (la Dcri, i servizi che si occupano di controspionaggio e lotta al terrorismo, nega). Nel 2010 va in Pakistan per sposarsi, ma è espulso. L’anno seguente torna nel paese ed entra clandestinamente nelle due agenzie tribali che fanno da casa al jihad: il sud e il nord Waziristan. Altri legami. I fratelli Merah sono vicini a un gruppo di estremisti arrestato nel 2007 e condannato nel 2009 per terrorismo a Tolosa. Come lui potesse essere presentato come un francese normale e scollegato che vivacchia alla periferia di Tolosa è un mistero. Anche le armi trovate nell’appartamento, un fucile d’assalto e un mitra, farebbero parte del suo “pacchetto di libertà relative” in cambio di informazioni dall’interno della rete estremista. 
http://www.ilfoglio.it/soloqui/12779   di Daniele Raineri
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2   Merah aveva scoperto di essere una pedina dei servizi segreti francesi

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di Daniele Raineri - www.ilfoglio.it.
Con un commento di Megachip in coda all'articolo
Il 22 marzo, grazie a fonti dei servizi, il Foglio scrisse che Mohammed Merah, lo stragista francese di al Qaida, era “un’operazione dell’intelligence francese finita male”. Il capo dei servizi segreti interni francesi (Dcri), Bernard Squarcini, smentì categoricamente all’agenzia France Press l’esistenza di una relazione tra il giovane di origine algerina e l’intelligence. “Merah non era un informatore per la Dcri o per altre agenzie d’intelligence nazionali o straniere”. Ora però salta fuori un video testamento del giovane di origine algerina, che in tre assalti separati uccise a sangue freddo tre soldati, il maestro di una scuola elementare ebraica e tre scolaretti della stessa scuola, prima di essere ucciso dalle forze speciali della polizia dopo un lungo assedio nel suo appartamento a Tolosa.
Uno dei più autorevoli giornali francesi, il Monde, così sintetizza il video testamento del terrorista: “Merah scoprì di essere manipolato dai servizi segreti francesi”.
Ecco cosa dice il testo del quotidiano: “Merah scoprì prima di morire che uno dei suoi amici, che lui pensava fosse un jihadista, era invece un ufficiale dei servizi segreti francesi” e cita il giornale algerino Echourouk – che ha visto il video e ha pubblicato la trascrizione in arabo, poi tradotta in francese dall’agenzia France Press.
“Sono innocente. Ho scoperto che il mio miglior amico Zouheir lavora per i servizi segreti francesi”.
Zouheir, scrive il quotidiano, fece anche parte della squadra di negoziatori che cercò di convincere Merah alla resa durante l’assedio all’appartamento.
“Mi hai mandato in Iraq, Pakistan e Siria per aiutare i musulmani. E ora ti riveli essere un criminale e un capitano dei servizi francesi. Non lo avrei mai creduto”, dice Merah nel video all’indirizzo di Zouheir. “Va’ all’inferno traditore. Mi ucciderete senza un motivo. Siete voi che mi avete messo in questa situazione. Non ti perdonerò mai”.
L’avvocato francese Isabelle Coutant-Peyre, che assiste l’avvocato algerino della famiglia Merah, conferma l’esistenza del video testamento e il contenuto (c’è la possibilità che Merah si autorappresenti come una pedina inconsapevole e in buona fede e non come un informatore già arruolato, per non infangarsi davanti agli altri).
A marzo il Foglio scrisse anche che Merah fu facilitato dai servizi francesi nei suoi viaggi all’estero. Quel “Tu mi hai inviato in Siria, Iraq e Pakistan per aiutare i musulmani” rivolto all’amico-capitano dell’intelligence conferma quanto scritto: c’era un’operazione per infiltrare i gruppi del jihad all’estero. Si sa che nei campi d’addestramento delle fazioni filo al-Qa'ida nelle aree tribali del Pakistan – dove Merah visse due mesi – sono passati almeno ottantacinque volontari con passaporto francese negli ultimi tre anni. Sono l’incubo della Francia, perché grazie alla cittadinanza possono muoversi con facilità. Il tentativo d’infiltrarli da parte dell’intelligence sembra per questo plausibile – anzi, doveroso: di che altro si occupa un’agenzia di sicurezza? – a dispetto delle smentite ufficiali.

Chi sapeva in anticipo
Secondo due giornalisti investigativi francesi, Eric Pelletier e Jean-Marie Pontaut, che hanno scritto un libro sul caso Merah in uscita in questi giorni, un servizio d’intelligence occidentale scoprì nel 2011 il collegamento tra il giovane francese e “un’organizzazione vicina ad al-Qa'ida”. Il libro sostiene che quest’agenzia di spionaggio occidentale non meglio definita notò l’attivazione di due indirizzi Internet collegati a Merah a Miranshah, la capitale del Waziristan del nord, che è un’area in mano ai talebani pachistani e ad al Qaida. Inoltre, il francese usava un numero di telefono in contatto con un gruppo estremista. I giornalisti scrivono che la Dcri riconosce di avere ricevuto l’informazione, ma soltanto “giorni dopo” l’uccisione di Merah nel sud della Francia (quando ormai l’informazione era inutile e ridondante; il collegamento con i campi d’addestramento del jihad in Pakistan era già sui giornali).
Vale la pena notare che il Waziristan è un’area impenetrabile per i servizi occidentali – che infatti sono costretti a montare complesse operazioni d’infiltrazione, come nel caso di Merah; è invece tenuto sotto attentissima osservazione elettronica. Telefoni e Internet sono sorvegliati. I meglio equipaggiati in questo campo – ma questa è soltanto speculazione – sono gli americani. C’è la possibilità che questa “intelligence occidentale” abbia avvertito molto prima i francesi (Merah era interdetto dai voli verso l’America), ma loro abbiano deliberatamente ignorato l’avvertimento per non bruciare il proprio infiltrato.
Twitter @DanieleRaineri
NOTA DI MEGACHIP
L'articolista registra l'importanza delle clamorose rivelazioni sul caso Merah (taciute da molti media), ma si rifiuta di fare 1+1...
Raineri dice in sostanza che le infiltrazioni sono doverose. Giusto, ma dovremmo dirlo di quelle "consapevoli". Se infiltri una persona inconsapevole si aprono mille scenari opachi in cui può accadere di tutto... Come viene usato, quello strano "asset a sua insaputa", e da chi?
E poi: se il capitano dei servizi citato riesce a infiltrare un suo uomo, vuol dire che lui è già dentro l'organizzazione da infiltrare. Dunque, a che scopo infiltrare un agente inconsapevole?
Gran parte delle vicende terroristiche di questo secolo vedono una profonda commistione fra operazioni terroristiche e operazioni speciali di certi settori dei servizi segreti.
Ne abbiamo parlato QUI. Vi riproponiamo quelle riflessioni, quando raccontano il caso del P2OG. Cosa significa questa strana sigla?
«Un comitato di consulenti in seno al Pentagono, il Defense Science Board, nell’estate del 2002 ha proposto la creazione di una squadra di un centinaio di uomini, il P2OG (Proactive, Preemptive Operations Group, ossia Gruppo azioni attive e preventive), con il compito di eseguire missioni segrete miranti a ‘stimolare reazioni’ nei gruppi terroristici, spingendoli a commettere azioni violente che poi li metterebbero nelle condizioni di subire il ‘contrattacco’ delle forze statunitensi.

Il paradosso di una simile operazione è spinto fino a limiti estremi. Pare che il piano debba in qualche modo opporsi al terrorismo causandolo.

In base al documento prodotto presso il Dipartimento della Difesa statunitense, altre strategie comprendono il furto di denaro a delle cellule di terroristi o azioni di depistaggio attraverso comunicazioni false. Viene subito alla mente il caso del falso comunicato n. 7 delle Brigate Rosse durante il sequestro di Aldo Moro, nel lontano 1978, uno dei tanti depistaggi degli ‘anni di piombo’, quando erano in incubazione su scala limitata i metodi poi estesi alla globalizzazione della paura.

Gli atti precisi cui ricorrere per ‘stimolare reazioni’ nei gruppi terroristici non sono stati svelati, il tutto in ragione della riservatezza di fonti e contatti da non compromettere.

Un’organizzazione come questa è perfetta per creare confusione e depistaggi, quel genere di caos che si determina nel passaggio dall’«infiltrazione» alla «provocazione».

Il documento del Pentagono si spinge poi a spiegare che l’uso di questa tattica consentirebbe di considerare responsabili degli atti terroristici provocati quei paesi che ospitassero i terroristi, a quel punto considerati dei paesi a rischio sovranità.»


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