Pirati somali e mafia italiana: ecco le prove


Luciana Coluccello
Una commissione di esperti nominata dall’Unione Europea sta indagando sui legami esistenti tra pirati e signori della guerra somali e mafie italiane, in materia di rifiuti tossici.
Le indagini dell’Ue sono partite dal recente libro d’inchiesta di Michel Koutouzis, criminologo che al momento sta svolgendo indagini sul tema per l’Onu e per l’Ue.

Secondo quanto scrive Koutouzis nel libro Crime, Trafficking and Networks, infatti, la criminalità organizzata basata nel sud Italia (Camorra, ‘Ndranghetta e Sacra Corona Unita) – rifornisce i signori della guerra somali con armi provenienti dal mercato nero dei Balcani occidentali in cambio del permesso di smaltire i rifiuti. Sarebbe la Sacra Corona Unita pugliese, da anni “specializzata nel commercio clandestino balcanico e curdo di armi”, a rifornire Ndrangheta e Camorra. Queste ultime, poi, farebbero la seconda parte del lavoro commerciando con gli africani.
“Tonnellate di rifiuti vengono scaricati ogni anno al largo nelle coste somale, sudanesi ed eritree sotto il naso di innumerevoli navi da guerra che avrebbero proprio il compito di controllare il trasporto nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden”, ha spiegato il consulente Onu e Ue. “Una parte dei ricavi, del valore di centinaia di milioni di euro l’anno, viene riciclato da industrie turistiche in Kenya e Tanzania”, ha detto ancora Koutouzis, aggiungendo che si tratta di una pratica non certo nuova.
A confermare queste affermazioni, c’è anche un rapporto delle Nazioni Unite del 2005, secondo il quale lo tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano ha rotto alcuni depositi di piombo, cadmio e mercurio, oltre che altri depositi di rifiuti ospedalieri e chimici. Rifiuti che, arrivando sulle rive delle città di Hobbio e Benadir, avrebbero ucciso almeno 300 persone.
Alexander Rondos, ex diplomatico greco e attuale inviato speciale dell’Unione europea per il Corno d’Africa, lo scorso 19 giugno ha affermato a Bruxelles che è molto plausibile ciò che Koutouzis analizza nel suo libro, e che è necessario monitorare più assiduamente la situazione dei traffici.
Anche l’ammiraglio inglese Duncan L. Potts, al comando della missione diplomatico-militare Atalanta, ha affermato la necessità di mantenere in Seychelles un centro regionale anti-pirateria e intelligence al fine di controllare i traffici. A parer di Potts, però, non ci sarebbero ancora prove certe che testimonierebbero il legame italiano con i pirati somali.
Da parte sua, Koutouzis, riferendosi ai depositi di rifiuti tossici ritrovati nell’Oceano Indiano, ha affermato: “sono certo che in molti sono a conoscenza di quei traffici ma preferiscono non fare niente per cambiare le cose”. Queste parole hanno incuriosito E-ilmensile, che ha deciso di intervistare il criminologo.
Koutouzis, come mai è così sicuro dell’esistenza di legami tra i pirati somali e la mafia italiana?
Ne sono sicuro perché non è una cosa nuova, è solo una cosa di cui si parla molto poco nel vostro Paese. Il motivo è che ci sono interessi fortissimi che impediscono di farlo. Io però sono certo di questi legami anche perché, ormai quasi vent’anni fa, sono stati alcuni mafiosi “pentiti” della Ndrangheta a confessarlo. Hanno detto di essere stati pagati per sbarazzarsi in mare dei rifiuti radioattivi di 32 imbarcazioni. In mezzo a questi rifiuti sono state ritrovate le sostanze più tossiche: plutonio, torio-234, solfato di ammonio. Dopo qualche anno delle organizzazioni ecologiste e dei magistrati italiani hanno denunciato il silenzio dello Stato in merito a questi episodi. Molte denunce, quindi, sono state depositate dopo il 1994, ma si è trattato sempre di indagini che hanno finito per essere archiviate in tempi brevissimi.
Perchè secondo lei?
A mio avviso le autorità italiane hanno volutamente deciso di mettere la sordina a quei loschi affari. Sono certo di questo. È stato proprio Sebastiano Venneri, vice presidente della Ong napoletana Legambiente a confermarmelo. C’è interesse, ripeto, a seppellire questi affari, però sono cose che alla lunga vengono a galla. Nel settembre del 2008, per esempio, grazie ad un robot teleguidato si è scoperta una nave affondata nel 1992 nelle coste occidentali della Calabria. Questo ha permesso successivamente di individuare un carico costituito da 120 bidoni di rifiuti radioattivi che si trovava a 500 metri di profondità. Ovviamente il carico era stato affondato nella costa calabrese dalla mafia locale e, come spiego anche nel mio libro, quel carico era solo uno dei tanti (una trentina in tutto) che riposano nei fondi marini italiani. Si tratta di uno dei fatti che Venneri vi può confermare. Ma sono storie iniziate molto tempo fa. Lo sapevano bene la giornalista italiana Ilaria Alpi e il fotografo che è stato ucciso con lei nel 1994 a Mogadiscio. A questo proposito, vi ricordo che nel 2007 il giudice Emanuele Cersosimo, non convinto di come le indagini erano state liquidate, ha chiesto che queste potessero essere riaperte. Cersosimo era sicuro che l’omicidio di Ilaria Alpi e del fotografo Miran Hrovatin fossero stati ordinati da qualcuno al fine di impedire che i due continuassero a raccogliere informazioni proprio sulla relazione tra il traffico d’armi e i rifiuti tossici. Chi ha ammazzato Alpi e Hrovatin semplicemente non voleva che l’opinione pubblica italiana sapesse.
Ma allora perché, nonostante tutte queste prove che la rendono certo dell’esistenza di legami tra pirati somali e mafia italiana, l’ammiraglio Potts ha affermato che non ci sono forti evidenze che testimoniano tali legami?
In realtà l’ammiraglio Potts conosce molto bene la situazione. Se da un lato è vero che ha sostenuto che bisogna fare delle verifiche ulteriori, dall’altro ha affermato la necessità di creare una task force con base a Seychelles proprio al fine di controllare i traffici illeciti che sfuggono completamente al controllo statale. Questo significa che c’è consapevolezza della questione. Bisogna poi tener conto del fatto che la situazione nell’Oceano Indiano è molto complessa. Per venirne a capo bisognerebbe controllare anche il traffico di pietre preziose che interessa tutta la regione. Tutto è collegato laggiù, e avere una visione di insieme del problema è fondamentale, per questo io sono ben felice che si sia deciso finalmente di inviare una task force ad hoc. Si tratta di un problema veramente vasto e quando dico che molti ne sono a conoscenza ma fanno finta di non vedere, mi riferisco soprattutto alle regioni vicine che non fanno niente per cambiare le cose.
Troppi interessi forti, quindi, a parer di Koutouzis. Troppi interessi che sono riusciti finora a mettere la sordina a un problema che c’è anche se non si vede. Non si vede perché, evidentemente, è molto ben organizzato. D’altronde, afferma il criminologo nel suo libro “chi dice caos non dice necessariamente assenza di autorità. La Camorra e la Ndrangheta italiane hanno trovato degli interlocutori per riuscire a liberarsi annualmente dei rifiuti sulle coste somaliane, sudanesi ed eritree davanti agli occhi dormienti di un numero incalcolabile di navi da guerra il cui compito sarebbe proprio quello di controllare il trasporto di merci del Mar Rosso e del Golfo di Aden”.

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