La morte di Arafat perseguita nemici e compagni




Le recenti rivelazioni riguardo al presunto complotto che avrebbe portato all’uccisione di Arafat rischiano di dare il colpo di grazia a un’Autorità Palestinese già in crisi – scrive il giornalista Osama al-Sharif
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Chiedete a qualsiasi palestinese riguardo alla morte dell’ex leader e simbolo della resistenza nazionale, Yasser Arafat, e lui o lei vi risponderà immediatamente che è stato ucciso da Israele per aver rifiutato di cedere alle pressioni affinché accettasse un accordo di pace finale ingiusto.
La morte di Arafat, avvenuta in circostanze misteriose in un ospedale militare francese, nel novembre 2004, rimane una delle questioni più controverse per milioni di palestinesi.
E addirittura nessuna indagine ufficiale è stata in grado di confermare che il padre della lotta per la liberazione è stato vittima di un gioco sporco. Il segreto dietro la sua morte, avvenuta pochi giorni dopo che la sua salute si era rapidamente aggravata, è sepolto insieme a lui nel mausoleo di Ramallah. Così è stato finora.
Un reportage investigativo di al-Jazeera ha però rivelato giorni fa che alcuni risultati dello svizzero Institute of Radiation Physics hanno mostrato che oggetti personali di Arafat contenevano un elevato livello di un agente radioattivo – una sostanza mortale nota come Polonio. I risultati del laboratorio svizzero non sono conclusivi, ma le rivelazioni hanno provocato gli appelli della vedova di Arafat, Suha Tawil, e di alcune figure palestinesi di primo piano affinché venissero riesumate le spoglie e ad eseguiti ulteriori esami.
Il successore di Arafat, il presidente Mahmud Abbas, ha annunciato che l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è pronta ad autorizzare un’autopsia, ma la decisione finale è ancora in sospeso. La stampa palestinese e araba è andata in subbuglio, e i cronisti hanno puntato l’indice contro il precedente Primo Ministro israeliano, Ariel Sharon, e hanno insinuato che funzionari palestinesi facessero parte di un complotto organizzato dal Mossad per eliminare l’assediato  leader palestinese, il quale aveva giurato di difendere i diritti del suo popolo o di morire da martire.
Altri reportage hanno immediatamente paragonato la morte di Arafat all’avvelenamento mortale del disertore del KGB Alexander Litvinenko per mezzo del polonio, a Londra nel 2006. Della sua morte  fu incolpato il governo russo. Israele ha formalmente smentito questi reportage, dicendo di non aver nulla a che fare con la morte di Arafat. E due indagini palestinesi non sono riuscite a stabilire come sia morto il leader palestinese.
Alcuni funzionari palestinesi hanno accusato l’ANP e Israele di aver fatto pressione sugli investigatori affinché sospendessero la loro inchiesta. Il vice portavoce del Consiglio Legislativo Palestinese (CLP), Hassan Khreisheh, ha dichiarato che funzionari palestinesi e arabi hanno rifiutato di rivelare importanti informazioni sulla morte di Arafat nel 2004.
Secondo quanto riportato, Khreisheh avrebbe dichiarato che alcuni leader dell’ANP sono coinvolti nella morte di Arafat, e sarebbe questo il motivo per cui hanno impedito al suo medico, il dott. Ashraf al Kurdi, di dare informazioni ad un comitato del CLP.
Un altro comitato ministeriale venne formato nel 2005 e ricevette copie dei rapporti dell’ospedale militare francese, ma Khreisheh ha riferito che anche a lui fu chiesto di sospendere il suo lavoro.
Non c’è dubbio che la vita di Arafat sia stata in pericolo fin dal fallimento dei colloqui di pace e dallo scoppio della rivolta (Intifada) di al-Aqsa nel 2000. Nel marzo 2002, Israele mise in atto l’Operazione Scudo Difensivo, prendendo d’assalto la Cisgiordania e mettendo Arafat sotto assedio nel suo compound di Ramallah. Egli rimase là fino alla sua malattia terminale. Pochi giorni dopo, fu trasportato in aereo a Parigi per essere curato.
La dichiarazione ufficiale che annunciò la sua morte non fu in grado di stabilirne la causa, riferendo solo che egli aveva avuto un “misterioso disturbo del sangue”, e secondo la legge francese, solo i parenti stretti, in questo caso sua moglie e suo nipote, Nasser al-Qudwa, avevano il permesso di accedere alla sua cartella clinica. Alla fine, al-Qudwa ha ricevuto una copia del dossier medico di 558 pagine su Arafat da parte del Ministro della Difesa francese.
Dopo la sua morte, molti stretti collaboratori di Arafat mossero delle accuse riguardo alle circostanze del suo decesso. Al medico personale, al Kurdi, fu negato l’accesso al corpo da parte di Suha che, ha riferito al Kurdi, rifiutò di condurre un’autopsia. E il precedente consigliere di Arafat, Bassan Abu Sharif, sostenne che il Mossad aveva avvelenato il leader palestinese manomettendo le sue medicine.
Da allora, la controversia sulla morte di Arafat si è acquietata. Ma ora, con le nuove rivendicazioni di al-Jazeera, il caso è di nuovo al centro dell’attenzione pubblica, specialmente nella West Bank. La tempistica delle rivelazioni ha fatto sorgere molti interrogativi. Perché al-Jazeera ha condotto la sua indagine investigativa proprio ora, e come mai Suha ha cambiato idea riguardo all’autopsia? E chi c’è veramente dietro quest’ultima crisi? Chi ne trae vantaggio e chi potrebbe perderci?
Alcuni esperti hanno speculato sul fatto che l’attuale controversia mirerebbe a gettare ulteriori dubbi sull’attuale leadership palestinese. Per molti palestinesi, l’assassinio di Arafat può essere attribuito solo a Israele, ma i veri killer sono quelli che stavano vicino ad Arafat e che erano in grado di far scivolare il materiale radioattivo nel suo cibo o nei suoi medicinali. Il circolo degli stretti collaboratori non esclude nessuno. È questo senso di dubbio e di sospetto che mina la leadership palestinese in questo momento.
I risultati del laboratorio svizzero hanno solo confuso la situazione. Ora la pressione sta montando nei confronti dell’ANP affinché faccia riesumare le spoglie di Arafat e conduca esami dettagliati. Un dirigente palestinese, Saeb Erekat, ha invocato un tribunale internazionale che indaghi sulle circostanze della morte di Arafat, alla stregua dell’indagine ONU riguardo all’assassinio dell’ex Primo Ministro libanese Rafik Hariri.
Ma anche se il corpo di Arafat venisse riesumato e il suo assassinio venisse confermato, le ripercussioni politiche di un tale sviluppo sarebbero troppo grandi perché l’ANP e il suo bersagliato presidente Abbas riescano a contenerle.
In assenza della riconciliazione palestinese, ed alla luce dei profondi problemi finanziari dell’Autorità di Ramallah, e del fallimento del processo di pace, il dissidio sarebbe mortale. I palestinesi sono ormai stanchi e frustrati riguardo a tutte queste questioni. L’ultima cosa di cui hanno bisogno ora è di credere ad una cospirazione che leghi la loro stessa leadership all’uccisione del proprio eroe nazionale.
Anche dopo la sua morte, Arafat resta una figura potente nella psicologia nazionale palestinese. Le ultime rivelazioni perseguiteranno i suoi detrattori  e getteranno una pesante ombra sulla già misera scena palestinese.
Osama Al-Sharif è un giornalista residente ad Amman
(Traduzione di Lucia Lanzini)

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