La stabilità di Netanyahu e la disintegrazione della politica israeliana.


Sergio Yahni
La stabilità del premier Netanyahu e la disintegrazione della politica d’Israele vanno a braccetto. L’analisi di Sergio Yahni.
Il Likud ha perso consenso dopo il collasso dei negoziati per obbligare i giovani ebrei ultraortodossi a prestare il servizio militare, ma il primo ministro Benjamin Netanyahu non ha bisogno di preoccuparsi, visti i sondaggi pubblicati venerdì che lo confermerebbero vincitore alle prossime elezioni. Secondo il sondaggio pubblicato dal quotidiano Ma’ariv,il Likud manterrà i suoi attuali 27 seggi alla Knesset, mentre secondo Yediot Ahronot il partito del premier scenderebbe a 25.
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Tuttavia, il destino delle altre forze parlamentari non appare roseo. Secondo Yediot Ahronot, il partito Laburista guidato da Shelly Yechimovich passerebbe da 17 a 21 seggi e la terza forza parlamentare sarebbe l’Yisrael Beitenu di Avigdor Liebermam. La nuova formazione politica di Ehud Barak, Atid, non raggiungerebbe la quota minima del 2% dei voti per poter entrare alla Knesset. 
Se i sondaggi del finesettimana confermano Netanyahu alla carica di primo ministro alle prossime elezioni, hanno anche un altro significato: la continua disintegrazione dell’opinione pubblica israeliana dai primi anni Novanta. Le elezioni del 1992 sono state le ultime in cui i due maggiori partiti politici (all’epoca il Likud e i laburisti) rappresentavano il 25-30% del Parlamento. 
Nella storia parlamentare israeliana, nessuna fazione politica ha mai avuto la maggioranza assoluta alla Knesset. Tuttavia, una larga maggioranza relativa ha creato la condizione per cui il partito più forte proponeva politiche condivise dalle altre fazioni di minoranza. La disintegrazione dell’arena politica di Israele negli ultimi vent’anni significa anche la distruzione della possibilità di creare una politica di Stato trasparente. E questo porta il sistema israeliano alla paralisi. 
Infatti, la paralisi e le contraddizioni caratterizzano l’attuale governo israeliano. Sulla questione delle colonie, ad esempio, un’apposita commissione governativa dichiara che l’occupazione non esiste e che tutte le colonie sono legali. Dall’altra parte, la polizia israeliana confisca quasi ogni giorno le costruzioni negli insediamenti illegali, provocando le reazioni violente dei coloni. 
Allo stesso modo, prima il governo dichiara che obbligherà al servizio militare l’80% dei giovani ebrei ultraortodossi – provocando ampie mobilitazioni della comunità religiosa – e subito dopo dice di non voler alterare gli accordi, creando risentimento tra gli ebrei laici. 
Inutile dire che la pace non è più una questione politica in Israele perché nessuna fazione della Knesset ha un’agenda per la pace. 
Sui due argomenti, però, il governo israeliano ha politiche coerenti. È chiaro che non farà mai concessioni al popolo palestinese, sia nei Territori Occupati che all’interno di Israele. Al contrario, l’attuale esecutivo sta consolidando il regime di apartheid all’interno dei confini israeliani riconosciuti e nei territori occupati nel 1967. 
Inoltre, il governo ha reso abbondantemente chiaro che non farà passi indietro sulle politiche neoliberiste. Durante il Consiglio dei Ministri di domenica, il premier – che è anche ministro supervisore per gli affari economici – ha elogiato le politiche economiche israeliane nonostante le critiche e la crescente protesta sociale. 
Nella riunione Netanyahu ha risposto alle critiche nei confronti delle sue politiche economiche. Ha detto che “c’è un’onda che contraddice chiaramente i principi socio-economici del governo. Tuttavia, negli ultimi anni l’esecutivo è riuscito a condurre politiche economiche di successo se comparate a quelle dei poteri economici mondiali”. 
Eppure i più importanti economisti israeliani non concordano con la rosea descrizione che Netanyahu fa della realtà socio-economica del Paese. Tra loro Stanley Fisher, il governatore della Banca di Israele. Mentre Netanyahu dichiara che il deficit di bilancio per il 2013 sarà al massimo al 3%, la Banca centrale e noti economisti ritengono che il deficit raggiungerà il 6-8% e gli impegni di bilancio saranno di 20 miliardi di shekel (4 miliardi di euro) più alti del previsto. 
In un simile contesto, Netanyahu è il politico con le maggiori possibilità di diventare di nuovo primo ministro a causa della totale mancanza di alternative politiche. I due possibili contendenti, Yechimovich e Lieberman, non promuovono una politica nazionale ma politiche che si rivolgono a gruppi di interessi settari al fine di assicurarsi il posto di secondo partito in Parlamento. Mentre Lieberman vuole garantire alcuni ministeri ai suoi compari, Yechimovich punta al ruolo di capo delle opposizioni alle prossime elezioni. 
Nel frattempo, l’opinione pubblica israeliana continua a disintegrarsi, l’apartheid si rafforza e la pace resta un miraggio. 
(Traduzione Palestina Rossa)

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