Progetto Tulkarem di Stefano Fusi



SScuola aperta Progetto
Tulkarem
di Stefano Fusi
Alaa, Ihab, Mohammed e Mouheb sono quattro studen- ti di lingua araba, di religione musulmana e di nazionalità pale- stinese, in Italia per un progetto della nostra scuola che, prendendo il nome dalla località della Cisgiordania da cui essi provengono, prevede la loro com- pleta ospitalità a Firenze, nel triennio scolastico 2009-2012, per il conse- guimento del diploma professionale di Tecnico Chimico Biologico presso il nostro Istituto.
Le origini del Progetto
Il progetto, approvato dal Collegio docenti nel maggio 2008, era nato per iniziativa di alcuni insegnanti che già da qualche anno si erano impe- gnati per la sua realizzazione. Due degli originari promotori, Stefano Fusi e Daniele Leoni, avrebbero rispetti- vamente assunto i compiti di referente culturale e docente in copresenza sulle ore di Storia/Italiano, il primo, e di referente tecnico-operativo e co- ordinatore degli stage della specializzazione chimico-biologica, il
secondo. Il terzo promotore, Mariano Mingarelli, ex collega di chimica e presidente dell’ Associazione di Amicizia Italo Palestinese Onlus, avrebbe invece messo a disposizione del progetto la sua profonda e diretta conoscenza della Palestina, insieme alla costante disponibilità a ogni ini- ziativa.
La proposta, messa a punto anche con la consulenza dell’ associazione Ingegneria Senza Frontiere sulla gestione e sulla qualità delle risorse idriche del territorio di Tulkarem, tro- vò nell’ allora dirigente scolastico Massimo Batoni un convinto soste- nitore, capace di attrarre i principali partner finanziatori (Regione Tosca- na, Provincia e Comune di Firenze, Publiacqua, Unicoop, Fondazio- ne Giovanni Paolo II), indispensa- bili per rendere operativa l’accoglien- za e le spese di viaggio, soggiorno e rientro dei quattro ragazzi, mentre il collega Alessandro Martini, in quali- tà di Direttore della Caritas fiorenti- na, si prodigò da subito per l’individuazione di un adeguato allog- gio per l’ intero triennio. Importanti
Un’opportunità per esprimere concreta solidarietà al popolo palestinese
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contributi personali sarebbero stati anche quelli di due colleghe: la prof.ssa Daniela Cucchi, anch’essa referente del progetto, in particolare per le comunicazioni in lingua inglese con le autorità palestinesi di Tulkarem; la prof.ssa Mirella Franci, impegnata nei corsi di lingua italiana per stranie- ri e coordinatrice del Consiglio di clas- se per l’intero triennio del corso chi- mico-biologico.
Le finalità ideali e materiali
Scopo del Progetto Tulkarem non è, come sarebbe facile supporre, quello semplicemente di una “adozione” per motivi di studio. Infatti, oltre a costi- tuire un’opportunità di formazione professionalizzante per i quattro gio- vani palestinesi (con tutte le ricadute educative, anche interculturali, a be- neficio di tutti gli studenti del corso), l’iniziativa si propone altre due fina- lità, che contraddistinguono il proget- to con intenti solidali più ampi, riguar- danti un’intera comunità.
La prima di queste finalità, di carattere più pratico e immediato (compatibil- mente con i tempi di realizzazione), è quella di aiutare concretamente gli abitanti del distretto di Tulkarem nella lotta al grave inquinamento che mina la loro salute, sia tramite le professiona- lità acquisite nella nostra scuola dai loro concittadini, sia grazie al potenziamento della strumen-tazione del locale labo- ratorio di analisi che speriamo di poter realizzare.
La seconda, ma non secondaria fina- lità, ha un carattere più “politico”, quel- lo di esprimere la solidarietà all’intero popolo palestinese, attraverso la pro- mozione di tutta una serie di iniziative pubbliche che ne facciano conoscere la travagliata storia, il drammatico pre- sente, l’incerto futuro: l’espulsione in massa di più della metà della popola- zione palestinese originaria (quasi 800.000 persone) dalle proprie case e dalla propria terra nel 1948, secondo una precisa strategia di “pulizia etnica” attuata dallo Stato di Israele fino dalla sua nascita e andatasi estendendo nel 1967 alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania (divenuti “Territori occu- pati” dopo la “guerra dei 6 giorni”); le ripetute violazioni israeliane delle riso-
Alaa, Ihab, Mohammed e Mouheb a Tulkarem con il Prof. Batoni, Mohammad Alqubbaj (Direttore dell’Educazione di Tulkarem) e Cecilia Gallia (Associazione Amicizia Italo-Palestinese).
luzioni dell’Onu e dei fondamentali diritti umani dei palestinesi nei territori sotto attacco o sotto occupazione da parte di Israele; le aspirazioni del po- polo palestinese a una “pace giusta” che, per le implicazioni strategiche del- l’area mediorientale, dovrebbero es- sere condivise da tutti i paesi, a mag- gior ragione da entità nazionali come l’Italia e sovranazionali come l’Unio- ne Europea, che invece le ignorano volutamente per moltiplicare gli accordi economici e militari con Israele.
Una scelta consapevolmente “partigiana”
Naturalmente questa connotazione del progetto è anche quella più “scomo- da” al momento di ricercare la colla- borazione e l’aiuto materiale, in primo luogo economico, di istituzioni e asso-
ciazioni. E il rischio di “annac- quamento” e quindi di snaturamento delle originarie finalità del progetto è sempre presente. Infatti c’è chi, in nome di una presunta “obiettività educativa” che si vorrebbe “equidistante” tra le due parti israeliana e palestinese, ha parlato di “faziosità” del progetto. A tali critiche rispondiamo semplicemente rivendicando la scelta di stare “dalla parte” del popolo palestinese, al quale è negato il diritto di muoversi libera- mente sul territorio che abita, di colti- varne la terra o scavarne i minerali, di usarne l’acqua, il mare, il cielo. Che libertà può mai essere quella che ridu- ce i palestinesi all’inumana condizione di vivere segregati in ghetti recintati che separano materialmente famiglie e comunità, rendendo difficile o im- possibile l’accesso ai beni personali o comuni, a scuole o ospedali? Che con-
Il presente articolo vuole essere un contributo all’informazione e uno stimolo al- l’approfondimento sulla Questione palestinese, in risposta alla diffusa ignoranza sull’argomento e alla manipolazione delle notizie di cui sono responsabili i principa- li mass media. (Stefano Fusi)
La redazione, obbedendo ai principi del pluralismo cui si è sempre ispirata, ha deciso di pubblicare questo contributo, nonostante l’unilateralismo che lo contraddistingue e che, ovviamente, impegna solo il suo autore. L’intento è di sollecitare studi e approfondimenti che possano contribuire a riaccendere l’interesse su una realtà umana per molti aspetti ignorata, se non addirittura totalmente dimenticata.
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dizione di pace si pensa di realizzare, se i palestinesi possono ricevere rifor- nimenti alimentari, acqua, elettricità, gas e benzina solo a discrezione dello stato israeliano, i cui confini sono in continua estensione attraverso gli insediamenti illegali dei propri coloni (ormai cresciuti a oltre mezzo milione), mentre a cinque milioni di palestinesi non è riconosciuta alcuna sovranità sui territori “a macchia di leopardo” della Cisgiordania e sulla “prigione a cielo aperto” della Striscia di Gaza? Questa non è “vera” pace, perché non è una pace “giusta”. Infatti, come so- steneva don Milani, “l’ingiustizia più grande è fare parti uguali tra disugua- li”. La proclamata “equidistanza” tra disuguali, fuori da ogni ipocrisia, porta chi la sostiene a stare dalla parte del più forte, cioè dalla parte dello stato di Israele, che è la principale potenza militare e neocolonialista del Medio Oriente.
Esistono poi altri metodi di soggiogare un popolo, disperdendone le popola- zioni, logorandone la dignità, negando- ne la storia, le tradizioni e lo stesso nome (“Palestina” è parola bandita dalle carte geografiche di Israele, così come la parola “palestinesi”, sostituita da “arabi” in ogni documento ufficia- le), per cancellarne l’ esistenza identitaria (etnocidio), prima ancora di cancellarne l’ esistenza materiale (genocidio).
È per questi motivi che non possiamo non dirci “partigiani” della causa palestinese e del diritto di quel popolo alla resistenza contro l’occupazione straniera, diritto peraltro previsto dalla stessa Carta dell’Onu. Con questo spirito, ci auguriamo che il progetto Tulkarem possa esser portato a buon fine anche per quanto riguarda il potenziamento del laboratorio di anali- si del luogo, dove dovrebbero inserirsi come tecnici Alaa, Ihab, Mohammed e Mouheb al loro rientro a casa, nella prossima estate, così soddisfacendo, insieme alle loro speranze personali, quelle del loro popolo.
Perché Tulkarem
La scelta della città di Tulkarem, su specifica segnalazione del prof. Mingarelli, non è stata casuale. Con
i suoi circa 60.000 abitanti, è una delle nove maggiori città palestinesi della Cisgiordania, nella zona nord-occi- dentale della regione. Fin dal passato più remoto è stata un centro noto per la fertilità dei suoi campi e di impor- tanza strategica perché alla confluen- za di importanti vie carovaniere. Tuttora Tulkarem conserva un certo ruolo agricolo-commerciale e di ri- lievo è anche il suo ruolo sul piano dell’istruzione superiore e universi- taria. In realtà, il benessere che po- trebbe derivare dalle sue potenzialità economiche è stato fortemente com- presso e condizionato da Israele, at- traverso le devastazioni compiute dall’ esercito israeliano su proprietà, mercati, serre e fabbriche, attraver- so i rallentamenti e le deviazioni delle comunicazioni viarie soggette a nu- merosi posti di blocco, attraverso il discrezionale rilascio dei permessi di guida, circolazione e trasporto, attra- verso infine le limitazioni alla produ- zione e commercializzazione dei pro- dotti locali, sempre a discrezione delle autorità israeliane.
Nonostante la vicinanza di Tulkarem al mare (15 chilometri), che influen- za il clima mite e un’estate con non più di 27° C a causa delle brezze marine, i suoi abitanti non possono beneficiare delle spiagge né della pesca, perché l’ accesso alla costa è interdetto dalle autorità israeliane. Montagne d’immondizia, provenien- ti da Israele e dalle sue colonie illega- li in Cisgiordania, vengono accata- state nelle vicinanze degli abitati palestinesi, mentre questi non hanno l’autorizzazione a trasferire all’ester- no i rifiuti che si accumulano nelle di- scariche a cielo aperto. Al degrado
Una delle attrezzature dell’acquesotto di Tulkarem.
Una fabbrica isrealiana di fertiliz- zanti, costruita a ridosso del muro di Tulkarem.
ambientale concorrono anche le emis- sioni di gas degli impianti industriali israeliani più tossici. Sono ben 17 le fabbriche di fertilizzanti, anticrit- togamici, alluminio, metalli e altri gene- ri altamente inquinanti, allontanate dalle città israeliane per essere collocate a ridosso di Tulkarem.
L’erogazione di gas, elettricità e ben- zina, qui come in tutti gli altri territori palestinesi, dipende da società o au- torità israeliane, che a loro discrezio- ne possono sospendere o ridurre i rifornimenti. Anche l’acqua, la risor- sa fondamentale per la vita di qualsi- asi comunità, è sottoposta al control- lo di Israele, che ne disciplina direttamente il prelievo, vietando ai palestinesi di scavare nuovi pozzi e costringendo a pagare a caro prezzo risorse idriche loro sottratte e distri- buite in misura di gran lunga inferiore e spesso insufficiente rispetto alle erogazioni riservate agli insediamenti abusivi circostanti dei coloni israelia- ni. Tulkarem, a differenza della gran parte degli altri centri abitati palestinesi esclusi da ogni accesso all’acqua, sembrerebbe costituire una delle rare eccezioni, perché dispone
L’inquinamento di suolo ed acqua nella zona di Tulkarem.
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di ben sei proprie sorgenti sul suo ter- ritorio e il suo sottosuolo contiene il maggiore bacino idrico dell’intera Pa- lestina. In realtà, molti dei 44 villaggi e i due campi profughi che fanno capo all’amministrazione di Tulkarem sono privi di acqua o ne dispongono in scar- sa quantità per la mancanza di struttu- re di distribuzione e per le sottrazioni abusive dei coloni degli insediamenti israeliani. Le stesse condizioni di sicu- rezza igienica e alimentare della popo- lazione di Tulkarem sono assai preca- rie per diversi motivi: la vicinanza delle falde acquifere alla superficie e l’alto livello di inquinamento del suolo, dovu- to alle infiltrazioni dei liquami locali e ai gas inquinanti degli impianti industriali israeliani confinanti; l’arretratezza di alcuni impianti del suo acquedotto, dotati di strumentazioni idrauliche risalenti all’inizio del XX secolo, quando la Pa- lestina faceva ancora parte dell’Impe- ro ottomano; le limitazioni tipologiche delle analisi del locale laboratorio chi- mico, non in grado di rilevare tutti i ri- schi ambientali.
La progressiva contaminazione del- l’aria, delle falde acquifere e dei pro- dotti agricoli si ripercuote quindi sulla salute degli abitanti di Tulkarem, che a una situazione economica e sociale sempre più difficile (il 70% della po- polazione vive in condizione di po- vertà) aggiunge il triste primato di essere la seconda città palestinese nella graduatoria della mortalità per tumori e della diffusione dell’asma.
Una “democrazia” che pratica la discriminazione etnica
Nel corso di questi tre anni sono state organizzate varie iniziative nell’am- bito del progetto Tulkarem, destinate agli studenti della scuola (ma in certi casi aperte anche alla cittadinanza) e finalizzate a far conoscere la “Que- stione palestinese” nei suoi diversi aspetti storico-politici ed economico- sociali. In particolare, le condizioni di vita delle popolazioni civili e le viola- zioni dei diritti umani nei territori sot- to occupazione israeliana sono stati argomenti al centro di importanti ini- ziative nell’ A ula Magna della scuo- la. Tra queste, si ricordano in partico- lare la presentazione il 6 novembre
2009 del libro di racconti “Gabbie”, con la partecipazione dell’ autrice Miriam Marino, impegnata nell’ as- sociazione “Ebrei contro l’ occupa- zione”, l’ esposizione dal 13 al 20 novembre 2010 della mostra foto- grafica “Effetti collaterali” dell’ As- sociazione culturale GRAFFITI, e l’incontro-dibattito del 14 marzo 2011 con il prof. Danilo Zolo, giurista di diritto internazionale, su “La Que- stione palestinese come Questio- ne mediterranea”.
In tre anni si sono imparate molte cose. Intanto che lo stato di Israele, definito “l’unica democrazia del Medio Orien- te” dai governi e dai mass media oc- cidentali, ha violato una sessantina di risoluzioni dell’Onu e ricorre alle “ese- cuzioni mirate” (assassinii legalizzati senza processo) di esponenti di movi- menti o partiti della resistenza palestinese, attraverso raid aerei che coinvolgono chiunque si trovi occasionalmente vicino all’obiettivo dei “missili intelligenti”.
Uno Stato che, proclamandosi “ebrai- co”, all’interno dei suoi confini e dei territori occupati applica leggi di tipo discriminatorio sul piano etnico, per eliminare ogni presenza arabo- palestinese dall’area. Infatti agli stessi palestinesi con cittadinanza israeliana vengono negati i diritti civili riconosciu- ti agli altri cittadini di Israele, come nel caso della legislazione discriminatoria nei confronti della riunificazione delle famiglie palestinesi o dell’eredità di beni immobili appartenenti a parenti rifu- giatisi in altri paesi alla nascita dello Stato di Israele.
Il martirio di Gaza
Uno Stato, quello israeliano, che fa uso indiscriminato di armi e di metodi di guerra proibiti dalle convenzioni inter- nazionali, come nell’operazione mili- tare “Piombo Fuso” del dicembre 2008-gennaio 2009 contro la Striscia di Gaza, nel cui bombardamento sono morti 1400 civili, un terzo dei quali bambini. L’unica, imperdonabile colpa della popolazione palestinese di Gaza, agli occhi del governo di Tel Aviv (ma anche delle grandi potenze occidentali che hanno condiviso l’embargo eco- nomico contro la Striscia), è quella di
aver democraticamente votato per Hamas, il partito palestinese bollato come “terrorista” per la sua ostinazio- ne a non riconoscere le “frontiere mobili” di Israele e a resistere con le armi alle aggressioni israeliane. E ades- so ne paga le conseguenze, non solo con le stragi e devastazioni dei bom- bardamenti (che lasciano macerie, morti e invalidi), ma anche con la tat- tica altrettanto brutale dell’assedio. Israele ostacola sistematicamente gli aiuti umanitari internazionali in tutti i modi, anche con azioni di pirateria nelle acque internazionali, bloccando via mare e via terra l’arrivo di generi ali- mentari, medicinali e macchinari, op- pure consentendone l’accesso solo quando i prodotti più deperibili non possono più essere consumati o utiliz- zati. Come se non bastasse, la marina israeliana impedisce la pratica della pesca e lo sfruttamento delle risorse naturali locali (gas) da parte dei palestinesi, mentre lungo la linea di confine l’esercito israeliano spara a chiunque si rechi a coltivare i campi circostanti. A sua volta, l’inquinamen- to dovuto ai materiali tossici dispersi nell’ambiente dai bombardamenti al fosforo ha determinato una contami- nazione ambientale che si protrarrà molto a lungo, mentre il blocco delle comunicazioni e dell’import-export ha impedito gran parte della ricostruzio- ne, con conseguente aumento della di- soccupazione, dell’impoverimento e della mortalità.
Il Muro dell’apartheid Uno Stato, quello israeliano, che eser-
cita la sua oppressione sulla Cisgiordania palestinese anche attra- verso la cosiddetta “barriera di sicu- rezza”, la cui costruzione è iniziata nel 2002 con finanziamenti Usa, allo scopo ufficiale di separare, in funzio- ne antiterroristica, Israele dai Terri- tori occupati (ma comprendente an- che alcuni sobborghi di Gerusalemme est). Suo reale obiettivo è isolare i principali centri abitati palestinesi (tra cui Tulkarem), in previsione della loro concentrazione in “cantoni-ghetto” sul tipo di quelli del vecchio regime di apartheid sudafricano, con accessi controllati dall’ esercito israeliano e
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Una parte del muro israeliano in costruzione nella zona da noi visitata.
operatore di “Noi con gli altri”, parte- cipò a un viaggio che deviava dai soliti percorsi dei Luoghi Santi della Palesti- na, tipici dei pellegrinaggi religiosi e del turismo tradizionale, per includere, ol- tre a Gerusalemme, Be-tlemme e Gerico, anche Tulkarem, dove incon- trare le famiglie dei quattro studenti ospitati in Italia, le autorità locali e i responsabili dell’acquedotto. Sarebbe stato un viaggio difficile da scordare, fin dall’inizio alla partenza dall’aeroporto romano di Fiumicino. Per oltre un’ora, in una grande sala esclusivamente destinata ai controlli dei bagagli e dei passeggeri in volo per Tel Aviv, tutta la delegazione fu sottoposta a un serrato e invasivo interrogatorio incrociato da parte degli addetti alla sicurezza israeliana, giovani donne e uomini molto perentori nella loro fred- da efficienza. Separatamente, uno ad uno sia ragazzi che adulti, fummo sot- toposti alle stesse domande, le cui ri- sposte venivano poi messe a confron- to, per verificare eventuali contrad- dizioni o discrepanze, e quindi rivolge- re nuove domande: “perché vi recate in Israele?”, “in quali località sog- giornerete o vi recherete?”, “dove avete fatto la valigia, chi era pre- sente, membri della vostra famiglia o altre persone?”, “portate oggetti destinati a qualcuno? cosa? a chi?”, “quali altri paesi confinanti
intorno cinture di insediamenti ebrai- ci autonomamente annessi a Israele. Nonostante il carattere illegale, con- dannato anche dall’ Onu, il Muro si allunga per oltre 700 chilometri, in gran parte costituito da una barriera di cemento armato di 8-9 metri di altezza, composta da pannelli larghi un metro e mezzo del costo di 5.000 dollari ciascuno e dotata di una recinzione elettronica con torrette, guardie armate e campi minati. Tale costruzione modifica, arbitrariamente a favore di Israele, i confini con la Cisgiordania stabiliti dall’armistizio del 1949 (Linea Verde), perché è edificato all’interno dei territori as- segnati all’ Autorità nazionale palestinese per circa l’80% della sua estensione. Inoltre costituisce una grave violazione dei diritti umani per gli effetti devastanti sulla vita delle popolazioni arabe locali, provocati non solo dallo sradicamento di frut- teti e uliveti e dalla demolizione di case e infrastrutture in aree adiacenti alla barriera, ma soprattutto dalla li- mitazione della libertà di movimento dei palestinesi. Infatti il Muro separa gli abitanti dei villaggi dai loro campi e dalle fonti d’acqua, i villaggi dai mercati e dalle città, i bambini dalle scuole, gli operai dalle fabbriche, i malati e le partorienti dagli ospedali, le famiglie dai loro parenti. I contadi- ni impossibilitati alle coltivazioni dei propri campi sanno che quest’ultimi, dopo tre anni, verranno considerati “terra incolta” dalle autorità israelia- ne e definitivamente confiscati, per essere ceduti ai coloni israeliani.
Un viaggio per superare il muro dell’indifferenza
Nel primo anno scolastico del progetto Tulkarem, avemmo l’occasione di col- laborare in modo sinergico con il pro- getto “Noi con gli altri” dell’Unicoop che, coinvolgendo studenti di istituti superiori sui temi della globalizzazione e della solidarietà, ogni anno organizza viaggi per andare a conoscere diretta- mente quelle realtà prima analizzate in classe. Così, dal 18 al 23 marzo 2010, una delegazione dell’ISIS “Leonardo da Vinci”, composta da 5 docenti (Ba- gni, Fusi, Giambi, Leoni, Martini) e 7 studenti di III, IV e V del corso chimi- co-biologico e accompagnata da un
La delegazione di docenti ed allievi dell’ISIS “Leonardo da Vinci” che ha visitato Tulkarem in una foto ricordo a Gerusalemme.
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con Israele avete visitato, in quali anni?”. Il controllo fu particolarmente stressante, anche perché noi non risul- tavamo dei semplici pellegrini o nor- mali turisti, ma componenti di una de- legazione scolastica di un progetto che aveva a che fare con l’ospitalità di stu- denti palestinesi (!) provenienti da Tulkarem (!!), dove oltretutto ci sarem- mo recati per incontrare i familiari dei ragazzi (!!!). Tutto questo sembrava sconcertare i funzionari israeliani, ali- mentando il loro atteggiamento sospet- toso e inquisitorio nei nostri confronti. Finalmente riuscimmo a imbarcarci, ma l’ impatto traumatico iniziale avrebbe avuto poi continue confer- me nel proseguimento del viaggio: la temporanea interdizione della parte araba di Gerusalemme; la relativa brevità di attesa per l’ accesso al “Muro del pianto” e la fila sfibrante per la Spianata delle moschee; le bandiere israeliane piantate come vessilli di vittoria su terrazzi e fine- stre di appartamenti espropriati ai legittimi proprietari palestinesi; i mi- nacciosi check point lungo le strade di collegamento con le diverse loca- lità dei Territori occupati; il serpeg- giare instancabile, a perdita di vista all’ orizzonte, del Muro di cemento e metallo che divide e imprigiona vite e speranze di un’umanità reietta ma non vinta, come testimoniano i graffiti e i murales che colorano le grigie pareti della barriera israeliana.
Di forte impatto fu anche la visita a Tulkarem, raggiunta sulle veloci stra- de destinate esclusivamente agli au- tomezzi israeliani, senza dover sotto- stare al calvario di posti blocco imposto ai palestinesi sui contorti e assai più lunghi percorsi stradali loro destinati. Qui ci limitiamo solo a qual- che istantanea della memoria: il fati- coso fluire delle acque inquinate dei canali che attraversano la città, in- sieme ai colori del mercato di frutta e verdura, la cui vivacità di tinte non sappiamo quali veleni potesse nascon- dere per gli effetti tossici dei confi- nanti impianti per la produzione di fertlizzanti chimici, a ridosso del tratto di Muro che passa vicino a Tulkarem; l’ inaspettata ospitalità ed estrema gentilezza della popolazio- ne palestinese, simboleggiata an-
che dai caffè offertici dovunque andassimo, insieme all’orgoglio cit- tadino per il locale Luna Park, con- siderato la principale attrazione di Tulkarem, che meritava l’ accom- pagnamento degli ospiti più impor- tanti, come fummo considerati noi.
La “Scuola di Gomme”
Una sera, ritornando da Gerico ver- so Gerusalemme, ci fermammo per una visita improvvisata, ma sicura- mente tra le più coinvolgenti sul pia- no emotivo. Si trattava della “Scuola di Gomme” del villaggio di Khan al Ahmar, donata dalla ONG italiana “Vento di Terra” ai 100 bambini della comunità beduina Jahalin e costruita usando copertoni di automezzi, per aggirare il divieto israeliano di sca- vare fondamenta che, impedendo la realizzazione di nuovi edifici scola- stici, di fatto inibisce anche il diritto all’istruzione. Al nostro arrivo, verso le 20.30, ci corse incontro una frotta di bambini vocianti, che ci accompa- gnò fino al gruppo di costruzioni re- alizzate con gomme di camion desti- nate alle discariche ma riutilizzati come pratici e isolanti moduli per comporre le pareti di aule, refettori e
La “Scuola di Gomme”, servizi igienici.
La “Scuola di Gomme”, ingresso.
bagni, accuratamente intonacate e provviste di porte e finestre. La com- mozione di tutti noi venne infine ac- cresciuta dalla notizia che quella scuola elementare “ecologica”, rea- lizzata con materiali riciclati e mo- dello di risparmio economico, fosse considerata una “minaccia” da parte dei coloni degli illegali insediamenti della zona, che ne pretendevano la demolizione.
Al ritorno in Italia eravamo tutti cam- biati. Non solo i nostri studenti, che avevano ammesso di esser partiti con dei pregiudizi sugli “arabi” e di cui poi avevano compreso l’ errore, ma an- che noi adulti, che certo eravamo più informati su una realtà di cui aveva- mo letto, ma che adesso, sia pure fugacemente, avevamo direttamen- te “respirato”...
Un ponte tra due città
Durante la visita a Tulkarem, appro- fittammo per compiere un primo sopralluogo al suo acquedotto pub- blico e il sindaco, accompagnandoci nella visita degli impianti, avanzò l’esi- genza di un corso di formazione del personale del laboratorio municipale di analisi per il controllo di qualità della rete, allo scopo di rendere possibile la piena utilizzazione di alcune dota- zioni strumentali e apparecchiature, frutto di donazioni umanitarie inter- nazionali. A tale richiesta il nostro Istituto dette una prima risposta ope- rativa in quella stessa estate 2010, con l’invio del prof. Daniele Leoni che, coadiuvato dal collega Pietro Ruffo, eseguì l’addestramento dei tecnici locali, riguardante le proce- dure di analisi chimico-fisiche e microbiologiche delle acque destina- te al consumo umano e la relativa refertazione, compatibilmente con le difficoltà di approvvigionamento di reagenti chimici e soluzioni standard dovute alle restrizioni israeliane sulla ricerca di base nei territori dell’ A u- torità palestinese. Per quanto breve, questa esperienza confermò la con- vinzione che la cooperazione tecni- co-scientifica vada proseguita, al fine di vedere estesi gli ambiti d’interven- to e le capacità operative del labora- torio di analisi al controllo di qualità
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dell’aria, del suolo, delle acque reflue e della filiera agro-alimentare. E la questione fu risollevata in quel no- vembre, in occasione dell’ invito a Firenze del direttore dell’Ufficio del- l’Istruzione di Tulkarem. Oltre a una visita all’acquedotto fiorentino e a un incontro-dibattito nella nostra scuo- la, dove fu anche organizzata una cena con piatti tipici palestinesi, la delega- zione palestinese fu accolta in Palaz- zo Vecchio dall’ assessore all’ istru- zione Di Giorgi, che avanzò l’idea di un “patto di amicizia” tra le due mu- nicipalità, per favorire una continuità di proficue relazioni anche dopo la fine del nostro progetto.
Una responsabilità di “rappresentanza” piuttosto impegnativa
Quando arrivarono a Firenze, Alaa, Ihab, Mohammed e Mouheb non par- lavano una parola di italiano, non ave- vano mai viaggiato in treno né in aereo (mezzi di trasporto proibiti dagli isra- eliani ai palestinesi), non avevano mai visto il mare (anch’ esso non acces- sibile per divieto israeliano), non era- no mai stati in una grande città (la vicina Gerusalemme, nonostante sia considerata “città santa” anche dai musulmani, è interdetta ai palestinesi della Cisgiordania). Nonostante il comprensibile disorientamento inizia- le per il contesto “alieno” in cui si
trovavano catapultati alla loro gio- vane età, fino dai primi giorni essi dimostrarono, nei comportamenti estremamente educati e sempre di- gnitosi, una maturità insolita per dei sedicenni. Si poteva leggere in loro la consapevolezza del ruolo di “rap- presentanti” di un’ intera comunità, di cui sentivano la gravosa respon- sabilità, oltre che quella verso le ri- spettive famiglie, a loro volta orgo- gliose ma anche preoccupate per i propri ragazzi così lontani da casa e che avrebbero rivisto nel triennio di studi solo per i rientri delle vacanze estive (e, per i soli primi due anni, per le vacanze natalizie).
Dei compagni di scuola molto “diversi”
Rispetto ai loro coetanei italiani, Alaa, Ihab, Mohammed e Mouheb hanno del resto alle spalle espe- rienze di vita e modelli culturali tanto diversi da farli apparire non solo assai più maturi ma anche più “genuini”, perché non ancora “con- taminati” dai modelli consumistici occidentali, sebbene sia-no tutti e quattro molto a loro agio con le tecnologie elettroniche, del resto in- dispensabili per chi è abituato, come i palestinesi, a vivere nell’ iso- lamento di comunicazioni imposto da Israele, in cui internet diventa spesso l’ unico strumento per su-
La delegazione palestinese durante la visita presso il nostro Istituto.
perare le barriere fisiche che li im- prigionano. Nonostante la loro giovane età, essi hanno vissuto situazioni difficilmen- te paragonabili a quelle dei loro com- pagni di classe fiorentini. Le stesse lungaggini burocratiche, alle quali sono stati sottoposti ripetutamente in Italia, per il rilascio dei permessi di soggiorno in questura, non li hanno turbati più di tanto, essendo abituati, per esperienza diretta o per quella di parenti e conoscenti, a ben altro nel loro paese: le interminabili ore ai posti di blocco israeliani, dove l’ attesa è logorante perché non c’è mai la cer- tezza di passare e perché il permes- so dipende esclusivamente da un ra- gazzo come loro, magari di pochi anni più grande, ma che indossa una divi- sa dell’esercito israeliano che gli con- ferisce un potere personale sugli “arabi” in transito, in primo luogo il potere di infliggere umiliazioni più do- lorose di ferite; i disagi delle giornate senza elettricità per l’improvvisa de- cisione dell’autorità israeliana, che a suo esclusivo arbitrio può interrom- pere qualsiasi erogazione energetica o di altri servizi pubblici sotto il suo controllo; le brutali irruzioni dei sol- dati israeliani, che entrano nelle case palestinesi con le armi spianate per una perquisizione e che, se vogliono, possono arrestare chiunque, con il rischio che i giudici militari applichi- no la cosiddetta “detenzione ammi- nistrativa” che, senza alcun proces- so, consente di imprigionare per anni i palestinesi sequestrati sulla base di semplici sospetti e non di prove con- crete; la distruzione delle abitazioni di chi sia accusato di atti terroristici, che privano della casa non solo i fa- miliari ma anche i vicini degli altri appartamenti dell’edificio, abbattuto
La cena palestine che si è tenuta nei locali dell’ISIS Leonardo da Vinci il 16 ottobre 2010.
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senza corrispondere indennizzi di sorta; i traumi psicologici inferti a chiunque abbia subito tali forme di sopraffazione, ma soprattutto il ter- rore impresso nella memoria dei bam- bini, che anche all’età di dieci anni possono essere sottoposti a interro- gatori di un’intera giornata dall’eser- cito israeliano d’occupazione; l’ar- resto di ragazzini dai 12 ai 17 anni, sottoposti a processi senza avvocato e ai quali i genitori non possono par- tecipare, confessioni in ebraico che gli adolescenti sospettati sono costretti a firmare senza comprendere, cel- le malsane e sovraffollate di minori stipati insieme a prigionieri adulti; la minaccia (e la pratica) di abusi men- tali e fisici, come la privazione del sonno, la violenza sessuale e l’impri- gionamento a tempo indefinito sono metodi normalmente usati per estor- cere le confessioni di minori palestinesi che la maggior parte delle ordinanze militari applicate nei Terri- tori occupati non distingue dagli adul- ti, contro ogni diritto internazionale; le continue provocazioni e violenze dei coloni israeliani, i cui insediamenti illegali crescono di giorno in giorno con la complice protezione militare del governo di Tel Aviv e con la giustificazione di una superiorità etnica del “popolo eletto da Dio” che ricorda tristemente altre
discriminazioni e persecuzioni, in altri luoghi e in altri tempi, che la memoria storica delle vittime della shoa non dovrebbe permettere di ripetere adesso, per consentire l’ espansionismo dello stato ebrai- co sotto l’alibi di difenderne la si- curezza.
Le speranze di quattro giovani, le speranze della Palestina
Al terzo anno insieme con noi, Alaa, Ihab, Mohammed e Mouheb han- no ormai familiarizzato con lo scin- tillio dei negozi del centro, anche se continuano a stupirsi del fatto che sugli autobus i giovani non si alzino per offrire il loro posto a sedere alle persone anziane... I filtri protettivi della loro cultura d’ origine resisteranno sino alla fine della loro avventura o il suadente miraggio occidentale del successo come scopo di vita o, più semplice- mente, l’ idea di vivere una vita “normale” riuscirà a incrinare la nostalgia di una patria alla quale è negato anche il nome?
Scrivendo queste righe, a marzo del 2012, non conosciamo la rispo- sta a questa domanda, come non sappiamo ancora se il “patto d’ ami- cizia” tra Firenze e Tulkarem sarà realizzato o se il potenziamento del
La cartina geografica che indica i “territori” palestinesi all’interno dello stato di Israele.
laboratorio di analisi di Tulkarem sarà davvero finanziato... in fondo anche questo rientra nell’ incerto futuro di tutti i palestinesi. Sta però anche a noi contribuire alla sicu- rezza del loro futuro, che è anche quella del nostro futuro. Nessuno infatti può dirsi sicuro né innocen- te, se non conserva la sua umanità.
Bibliografia
Amnesty International, Sopravvivere sotto assedio. Violazioni dei diritti umani dei palestinesi nei Territori Occupati, EGA Editore, Torino 2006. V. Arrigoni, Gaza dicembre 2008-gennaio 2009. Restiamo Umani, Manifestolibri, Roma 2009. A. Azoulay, Atto di Stato. Palestina-Israele 1967-2007. Storia fotografica dell’occupazione, Bruno Mondadori, Milano 2008. Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Missione di inchiesta delle Nazioni Unite sul conflitto di Gaza, Zambon Editore, Milano 2011.
M. Emiliani, La terra di chi? Geografia del conflitto arabo-israeliano-palestinese, Casa Editrice il Ponte, Bologna 2008. A. Gresh, Israele, Palestina. Le verità su un conflitto, Einaudi, Torino 2004. S. Marcenò, Le tecnologie politiche dell’acqua. Governance e conflitti in Palestina, Mimesis, Milano 2005. I. Pappe, Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli, Einaudi, Torino 2005.
I. Pappe, La pulizia etnica della Palestina, Fazi Editore, Roma 2008. E. Weizman, Architettura dell’occupazione. Spazio politico e controllo territoriale in Palestina e Israele, Bruno Mondadori, Milano 2009. K. W. Whitelam, L’invenzione dell’antico Israele. La storia negata della Palestina, ECIG, Genova 2005.
Le immagini e le fotografie presenti nell’articolo sono a cura dell’autore.
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