«Viaggiamo di notte per celebrare le messe in Siria»






«Viaggiamo di notte per celebrare le messe in Siria»

Antonio Picasso
Una cadillac nera, blindata, si ferma alla frontiera tra Libano e Siria. I soldati salutano con rispetto. C’è sua Beatitudine, il patriarca melkita Gregorio III Laham. «Noi cristiani siamo qui da sempre e ora rischiamo di scomparire. Ci vogliono condannare perché siamo stati fedeli ad Assad. Abbiamo solo rispettato il governo e il laicismo transconfessionale che ha sempre ispirato il Baath siriano

Una Cadillac blindata nera sfreccia rumorosa nella valle della Beka’a, in Libano. Si ferma alla frontiera con la Siria. I soldati gettano uno sguardo veloce nell’abitacolo. Un saluto rispettoso e poi lasciano passare. Sua Beatitudine, il patriarca melkita Gregorio III Laham, non ha nulla da nascondere. Per lui i confini tra Libano e Siria sono una semplice linea che tratteggia la carta geografica. L’ampio ascolto di cui gode presso il governo di Beirut, e ancor più a Damasco, gli permettono queste concessioni. Agli onori si affiancano gli oneri però.
Passare indisturbati da uno all’altro Paese non è un appannaggio esclusivo dei vescovi melkiti. Per chiarezza: si sta parlando della Chiesa greco-cattolica, ortodossa nella sua ritualità, ma assoggettata al papa di Roma. Una comunità di 350 mila fedeli in Siria e di altri 300 mila in Libano. Per un totale di 2 milioni sparsi per il mondo. In Siria però i cristiani sono il 10% della popolazione, poco oltre i 2 milioni. Una minoranza ricca, potente e organizzata secondo una struttura familistico-clanica che è tipica di tutto il Paese. Un soggetto forte, che il regime degli Assad – sia con il padre Afez sia oggi con il figlio Bashar – ha sempre tenuto in considerazione. Al punto da assegnare loro ministeri e incarichi amministrativi davvero di peso. Il generale Dawoud Rajiha, ucciso in un attentato dieci giorni fa, era un ortodosso. A lui, Assad aveva prima dato in mano lo stato maggiore delle forze armate, poi il ministero della difesa.
Gregorio III osserva la sua terra dal finestrino della macchina. «Siamo qui da sempre, ma oggi rischiamo di scomparire». È un timore che il patriarca condivide con i leader delle altre Chiese, ma anche con ogni singolo sacerdote. I preti di Damasco, oppure di Homs e al-Qusayr, temono per le proprie parrocchie. Alcuni sono scappati dall’inferno dei combattimenti, non tanto per questi, bensì per il rischio di cadere nelle mani dei ribelli islamisti più intransigenti. Salafiti? «Chi se non loro», dice Abouna Mikael. Lui è di al-Qusayr. «Ho portato qui mia moglie e i bambini (la Chiesa greco-cattolica concede il matrimonio ai suoi sacerdoti, ndr). Ma nemmeno qui sono al sicuro».
Intanto si sente ruggire l’artiglieria di Assad appena fuori Damasco. «Viaggiando di notte, cerco di tornare alla mia parrocchia. Per assistere chi è sotto il fuoco, ma anche per celebrare la messa». Abouna Mikael non è il solo temerario. Racconta di un suo confratello catturato dai ribelli. «Lo hanno picchiato fino a farlo diventare blu e poi gli hanno inciso sulla fronte una croce. “Questo è solo l’inizio”. Hanno detto».
Un canovaccio già visto. In Iraq. Qualche anno fa. Quando, caduto Saddam, la prima minoranza a saltare è stata quella cristiana. Anche lì le Chiese erano presenti fin dalla notte dei tempi. Ma erano troppo vicine al regime. Sicché, crollato questo, ne hanno pagato le spese. All’epoca, molti cristiani iracheni si sono rifugiati proprio in Siria. Accolti a braccia aperte dalle Chiese locali, come anche dal governo di Damasco. Oggi quei profughi sono esposti al rischio rappresaglia etnica minacciata dai ribelli.
«Ci vogliono condannare perché siamo stati fedeli ad Assad», interviene Gregorio III. «Non è così. Noi abbiamo soltanto rispettato il governo costituito. È una colpa questa?» Il patriarca melkita ricorda il laicismo transconfessionale che ha sempre ispirato il Baath siriano. «A scuola, le classi sono miste e quando c’è l’ora di religione chi è musulmano va a studiare il Corano, chi è studiare il Vangelo. Nemmeno in Italia c’è così tanta apertura!» E ancora: «Siamo stati noi, già nel marzo 2011, a pressare affinché si arrivasse alle riforme. Ma è nelle piazze che la rivolta è degenerata. Dalle proteste pacifiche si è passati alla violenza. E così l’esercito ha reagito».
Per i cristiani, l’interpretazione della crisi ha un unico senso di marcia. «Il Paese aveva bisogno di un cambiamento. Non di una rivoluzione». La pensa così il patriarca melkita. E con lui sacerdoti e fedeli. La situazione sarebbe degenerata a causa dell’infiltrazione di interessi stranieri affinché Assad cadesse. C’è chi punta il dito su Israele e Stati Uniti. Altri si orientano verso il Golfo persico, epicentro del fondamentalismo islamico e quindi della Salafyya. La terza chiave di lettura fa di queste due correnti un nemico unico. Per i cristiani in Siria però il problema ora non è di chi sia la colpa. Bensì quale sia il futuro. «Ci aspettano anni di sofferenze e guerra civile». Abouna Mikael osserva i suoi bambini che giocano nel chiostro del patriarcato. «Ma non ci arrenderemo». L’alternativa? «Ecco quello che non capite voi in Occidente: in Siria non c’è un’alternativa. Assad è il presidente, è stato eletto ed è stato confermato insieme al parlamento con un voto regolare. Sono i ribelli a essere fuori dalla legalità».
La Cadillac ritorna sui propri passi. Gregorio III parte per la Germania. Non più da Damasco, dove i voli sono bloccati, ma da Beirut. La frontiera è la stessa attraversata solo cinque giorni prima. Allora c’era poca gente e tanto silenzio. Oggi si aggiunge la tensione. Gli eventi della crisi siriana hanno preso una velocità inarrestabile. Non si sa quanto durerà ancora la guerra. Questo lascia nervosi tutti quanti. Passato il confine: è lo stesso che appena due anni fa veniva attraversato da frotte di turisti e commercianti, occidentali quanto arabi. Gregorio III va in Europa a pregare con i suoi fedeli per la pace del suo Paese. Lo spirito rivolto al Vangelo, la mente concentrata su una politica che, negli ultimi giorni, ha ricevuto scossoni importanti.  
«Viaggiamo di notte per celebrare le messe in Siria»

Commenti

Post popolari in questo blog

Hilo Glazer : Nelle Prealpi italiane, gli israeliani stanno creando una comunità di espatriati. Iniziative simili non sono così rare

Video:Defamation - di Yoav Shamir Film

giorno 79: Betlemme cancella le celebrazioni del Natale mentre Israele continua a bombardare Gaza

JOSEPH KRAUSS Nuove strade aprono la strada alla crescita massiccia degli insediamenti israeliani