Profughi palestinesi in Libano in lotta per l'acqua





Profughi palestinesi in Libano in lotta per l’acqua

La United Nations Relief and Works Agengy (UNRWA), che fornisce assistenza ai profughi palestinesi in Libano, è stata oggetto di attacco per non aver fornito adeguati servizi di base, tra cui il più fondamentale di tutti: l’acqua potabile.
 

di Rameh Hamieh 
Baalbek – “Anche l’acqua è usata per umiliarci”, dice Mona, chiaramente stufa e affaticata dal salire le scale fino al suo appartamento posto al secondo piano del campo profughi al-Jalil a Baalbek. Mona, sulla cinquantina, si arrampica per pochi passi con i suoi pesanti contenitori di acqua e si ferma a prendere fiato. “Io non ho nessuno che mi aiuti,” dice, “ma l’acquisto e il trasporto di due contenitori di acqua al giorno è inevitabile ad al-Jalil, dopo che ci hanno avvertiti di non bere l’acqua contaminata dell’UNRWA. 
La saga della contaminazione dell’acqua nel campo di al-Jalil va avanti da anni, ma ora i comitati popolari palestinesi dicono di essere stati costretti a chiudere il pozzo dopo che il team tecnico dell’UNRWA ha scoperto gravi violazioni di costruzione del pozzo stesso che portavano liquami e altri contaminanti che inquinano gravemente l’acqua. 
“Hanno dato al pozzo l’estrema unzione pochi giorni fa”, dice Mona ridendo. Poi si ferma di nuovo per asciugare le gocce di sudore che scendono sul viso. 
“Noi, palestinesi, siamo stati fatti per pagare per questo con questo caldo torrido e in un momento in cui il campo è sovraffollato a causa dei poveri rifugiati palestinesi e dei profughi provenienti dalla Siria”, ha aggiunto. Mona continua a salire le scale con attenzione, borbottando maledizioni contro “la vita che ora sono costretti a vivere.” 
La piazza principale e i vicoli del campo profughi sono un alveare di attività. I passaggi stretti sono affollati di donne e ragazze che trasportano contenitori trasparenti per l’acqua da 10 litri. Alcuni li hanno acquistati da negozi all’interno del campo, mentre li hanno presi da uno dei tanti negozi al di fuori e all’ingresso principale. 
Un giovane si è assunto il compito di portare acqua più economica da un pozzo di Baalbek, vendendola a metà prezzo rispetto ai negozi locali “per aiutare il nostro popolo nel campo e i rifugiati palestinesi provenienti dalla Siria”, dice. 
Il pozzo, adiacente all’edificio dell’UNRWA, è ora ben sigillato, “morto, vittima della mafia corrotta dell’UNRWA”, recita il graffito sul muro adiacente. 
Espressioni di “dolore, angoscia e…acqua contaminata”, e commenti amari come “nessuna condoglianza sarà ricevuta”, coprono il muro. 
Omar Qassem, segretario del comitato popolare dell’OLP, ha spiegato in un’intervista con Al-Akhbar che la loro decisione di chiudere il pozzo non era volta a fare un “dispetto o a provocare.” 
Il pozzo è stato chiuso, ha detto, “per prevenire la diffusione di epidemie all’interno del campo, che potrebbero uccidere 6.000 cittadini, nonché i rifugiati palestinesi provenienti dalla Siria che sono venuti qui.” 
“I ritardi dell’UNRWA e i suoi rinvii per molti mesi, mentre sosteneva che il problema sarebbe stato risolto, e i vali fallimenti, ci hanno costretto a chiudere il pozzo e a mettere in guardia il nostro popolo a non bere l’acqua né ad usarla per cucinare”, ha detto. 
“Dal momento che l’UNRWA non sta andando a comperare l’acqua per il popolo, chiediamo loro di scavare un nuovo pozzo per l’accesso all’acqua potabile il più presto possibile. La somma di 23.000.000 di Lire Libanesi ($ 15.300) che l’UNRWA paga alla Società “Acqua Bekaa” in cambio di una piccola quantità di acqua di pompaggio dal Maslakh è abbastanza per scavare un nuovo pozzo.”  Karem Taha, segretario dell’Alleanza delle forze dei Comitati Popolari, dice che a un certo punto l’UNRWA ha mandato un team di tecnici, tra cui un geologo svizzero, per esaminare il pozzo e trovare il punto in cui avviene la perdita di liquame.” 
Quello che il team ha scoperto, afferma Taha, è che le gravi violazioni di costruzione da quando è stato scavato il pozzo hanno causato la contaminazione. 
Il pozzo dovrebbe essere a 450 metri di profondità, secondo i piani ufficiali di costruzione, al fine di raggiungere la falda acquifera, e non con canali sussidiari che potrebbero seccarsi o essere riempiti con le acque sotterranee inquinate. Si scopre che il pozzo è stato scavato solo a 328 metri, secondo Taha. 
Un’altra violazione, aggiunge, è che il foglio isolante, che dovrebbe consistere in “un terreno contrafforte sostenuto da più di 200 sacchi di terra”, si è rivelato essere una miscela di calcestruzzo composta da soli 20 sacchi. 
Taha ride mentre ci presenta un rapporto sui risultati conseguiti nel 2011 dall’UNRWA, che sostiene che i pozzi sono stati scavati in tutti i campi palestinesi e che tutti sono “adatti per bere, tra cui quello del campo di al-Jalil.” 
Taha insiste che lo stato attuale del pozzo non è altro che una fogna piena di insetti che sono chiaramente visibili ad occhio nudo. 
Inoltre, aggiunge, i risultati delle analisi di laboratorio effettuate da diversi ospedali nella Bekaa, nonché la Scientific and Agricolture Authority a Tal Amara dimostrano che l’acqua non era potabile. Gravi violazioni di costruzione del pozzo hanno causato la contaminazione. 
“La decisione di chiudere il pozzo è stata difficile, ma il rischio è troppo alto”, dice Taha. Come Comitato Popolare, dobbiamo prenderci cura del nostro popolo e dei profughi che ospitiamo.” 
Il funzionario dell’UNRWA che ha parlato ad Al-Akhbar in “condizione di anonimato” non nega le accuse di violazioni di costruzione, ma insiste sul fatto che il pozzo non è stato sempre contaminato e che non vede “alcuna dei doveri nel trattare il problema” per conto dell’UNRWA. 
Dice che la gente del campo dovrà “aspettare che l’ingegnere incaricato per risolvere il problema del pozzo finisca il suo lavoro”. Nel frattempo, l’acqua è peggiore in questo periodo dell’anno, ma può essere utilizzata, se viene bollita, dice. 
“L’UNRWA non ha lasciato nulla di intentato in questa circostanza”, dice, aggiungendo che ”non è possibile” per l’Agenzia scavare un nuovo pozzo ad al-Jalil al momento, dato lo “stato di emergenza” del resto dei campi in Libano.
(traduzione a cura di PalestinaRossa)
                              

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